Già Rino Gaetano non risparmiava nemmeno loro, i cantautori: “Cazzaniga (nun te reggae più) Avvocato Agnelli, Umberto Agnelli Susanna Agnelli, Monti Pirelli Dribbla Causio che passa a Tardelli Musiello, Antognoni, Zaccarelli (nun te reggae più) Gianni Brera (nun te reggae più) Bearzot (nun te reggae più) Monzon, Panatta, Rivera, D'Ambrosio Lauda Thoeni, Maurizio Costanzo, Mike Bongiorno Villaggio, Raffa, Guccini”.
Ma per almeno 30 anni (periodo temporale su cui Cacciari docet) l’egemonia culturale in Italia passava anche per il cantautorato. Lo stesso Guccini, per esempio, ha appena presentato il suo ultimo disco e il Corriere della Sera del 11 novembre ne parla così:
«L’antifascismo chiude il disco. E lo apre: con una versione della sempiterna Bella ciao» Riveduta e corretta però: «L’ho dedicata alle ragazze iraniane perseguitate dal regime. Vi ho messo delle parti in farsi, la loro lingua, e l’ho declinata al femminile». Mentre l’invasore si trasforma in «oppressore». Guccini però non ce l’ha solo con gli ayatollah: «Gli oppressori sono anche da noi. E per sapere chi sono basta chiederlo a Fazio, a quelli cacciati della Rai».
E’ proprio Rai 3, culla del progressismo illuminato e figlia della brillante intellettualità di Angelo Guglielmi, che è stata svuotata da Giorgia Meloni.
"Ma il cielo è sempre più blu" di Rino Gaetano segna l'ingresso della canzone d'autore italiana nelle prime manifestazioni del Pd. Walter Veltroni sceglie "Mi fido di te" di Jovanotti, Pier Luigi Bersani usa una frase di Vasco Rossi per la campagna 2009 ("Un senso a questa storia") e da neosegretario recupera "La canzone popolare" di Ivano Fossati (che già aveva fatto da colonna sonora alla stagione dell'Ulivo). Nel 2011 è stata la volta di Neffa con "Cambierà", dopo il leader del Pd ha scelto "Inno", brano del nuovo album di Gianna Nannini.
Oggi, la canzone popolare, cioè la voce degli intellettuali nel dibattito italiano al tempo della peggiore destra al governo, sembra afona come viene tacciato di essere lo stesso Pd. Ma Perché?
C’è da tempo Fulvio Abbate che sintetizza nel neologismo “amichettismo”, il male della sinistra italiana. Per quel che vale si potrebbe dire che siamo alla dialettica della critica organica al partito da un sedicente (ma anche emarginato, scriveva sull’Unità e se non ricordo male la De Gregorio lo cacciò) intellettuale di sinistra. Amichettismo è la malattia di fare tutto in conventicola, non di scegliere le risorse più intelligenti (cioè lui). Ma un po’ individua il problema che è un corollario della declinazione salottiera e dunque elitaria imboccata dalla sinistra italiana (e non solo italiana). Il famoso geografico auto-confinamento nel centro città (la Ztl), perdendo per strada la parola popolare, per l’appunto, perché il popolo sta in periferia, e non si può permettere né le scarpe inglesi, né l’armocromista.
Proprio la parolina magica “popolare”, che Meloni sta cercando di scippare alla sinistra, la cui colpa è di averla lasciata a disposizione di tutti, abbandonata come un cane senza guinzaglio che ora, per via del referendum costituzionale, la destra scatena come un morso seducente verso le masse.
Ricordava Roberto Vecchioni sabato sera su La7 di come nacquero i Girotondi, a cui aderì uno degli ultimi intellettuali che ancora hanno lo stigma dell’impegno, cioè Nanni Moretti. Insomma, allora la protesta aveva come bersaglio Berlusconi, a cui seppure con qualche colpevole flirt (D’Alema), la sinistra le ha cantate e suonate di brutto, è il caso di dire. Mentre adesso, la cosa più rivoluzionaria che si fa è cantare Bella ciao o leccare la papalina a Francesco, sperando che lui dall’altissimo faccia il comunista che gli altri non sanno essere più.
Perlopiù ci facciamo sputacchiare da figure che dall’alto del proprio gomito alzato, sbeffeggiano quelli che alzavano fieramente il pugno. Uno di questi è Vittorio Feltri, che ha da poco pubblicato un libro, I Fascisti della Parola; la tesi è che l’Italiano è stato vituperato: dalla «schwa» che abolisce maschile e femminile ai termini vietati dalla sinistra convinta della propria superiorità. Eccola là, il censore che fa il censurato, ricorda un po’ quei rovesciamenti semantici di piena attualità, come la dialettica oppresso/oppressore.
È vero che abbiamo ancora chi combatte, gente armata di intelletto rosso come Tomaso Montanari o Chiara Valerio, ma la sensazione che non basti per far tornare la voce a chi l’ha persa e non sa più cantare, è forte.