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ALDO PIROMALLI,
IL ‘GINSBERG ITALIANO’

ALDO PIROMALLI, <BR> IL ‘GINSBERG ITALIANO’

 “Sono Sinbad il marinaio / Sono l’Olandese Volante / Sono le quattordicimila e una notte. / Su montagne e mari / Profumati di petali / Sono le quattro stagioni” (poesia, 15 aprile 1969).

Difficile dire chi sia Aldo Piromalli, 78 anni di cui oltre 50 vissuti in esilio “volontario” ad Amsterdam. Più semplice dire chi non è voluto diventare. Innanzitutto non un figlio “regolare” (nato nel 1946 nella periferia operaia del Tufello, in una numerosa famiglia di origine calabrese, padre corso), neanche per una borgata romana, neanche per il ‘68: prime rime ad 8 anni, una adolescenza tra fermenti civili e contestatari nutrita da tragedie greche, maledettismo francese ma, soprattutto, della potente linfa del beat d’oltreoceano. A fine anni '60, ventenne, la poesia di Piromalli è quella della sottocultura romana che vede nel Beat72 uno dei suoi primi templi ma i suoi versi, estemporanei, possono risuonare anche sui gradini di una fontana, al tavolino di un bar, nei reading improvvisati dei ragazzi di allora che non sanno ancora di essere quelli del '68 ma hanno solo voglia di vivere senza la guerra dei padri, liberi, creativi, trasgressivi. Piromalli assorbe fin nel midollo il ribollire del suo tempo, si affaccia su vertigini mistiche, fa atto di fede nei valori “beat-ificanti” del beat e - forse per questo - una giovanile delusione d’amore vissuta in un viaggio ad Amesterdam lo scuote in modo devastante. E’ il 1969 ed i dissidi già nati con la famiglia si aggravano. I genitori tentano di “raddrizzarlo” internandolo. Uscirà dopo tre mesi grazie all’intervento del giornalista Carlo Silvestro, ne 1972 tra i fondatori della comunità di Terrasini, primo esempio di comunità hippy naturista italiana. Una violenza che renderà Piromalli randagio ed errante, nel corpo e nello spirito. Viaggia in autostop tra paesi europei e del mediterraneo, si arrangia in lavoretti, poi torna a Roma entrando in una comune, in via Lanza, vicino il Colosseo, insieme ad altri giovani. Lo narra uno di loro, l’attore e scrittore Fabio Ciriachi nel suo racconto “Un poeta all’inferno” pubblicato nel 2005 in “Renault 4. Scrittori a Roma prima della morte di Moro”. Si mantengono con una rivista ciclostile militante, Madria, che si vende fuori dal Filmstudio, a piazza Navona e ai vernissage nelle gallerie d’avanguardia e mangiano, frugalmente, cibo macrobiotico. Il 1970, con l’innalzamento di livello del movimentismo della sinistra extraparlamentare, seguito alla strage di piazza Fontana, vede i giovani comunardi sentirsi avvicinare il maglio dell’autorità. Molti amici vengono arrestati e quindi, in estate, entrano in una 850, in direzione Sud. Si fermano in un casolare, senza acqua e luce, ad Agnone in Cilento.

“Era il paradiso” scrive Ciriachi (che tra i suoi ultimi, raffinati libri ha pubblicato “Cervellati. Ai margini del campo” ispirato alla figura della gloria calcistica e “mite calciatore” del Bologna d’antan Cesarino Cervellati). Davanti il mare, tutt’intorno, alberi di fichi pieni di frutti, carrubi giganteschi, olivi, migliaia di cicale, e “il dio Pan che saltava felice da un sasso all’altro lasciando intendere che c’era posto anche per noi, lì, se volevamo” scrive Piromalli in una poesia dell’1 giugno 1970 scritta davanti al mare: “Un flauto fa ombra alle stanze della casa sulla collina / Il cielo è azzurro e rosso / bagnato da alcune nuvole grilli / Toccano le mie orecchie e le ginestre coprono la montagna  Tutto è calmo gli alberi la montagna il mare Il mare è d’argento”. Si misero anche a girare un film: Piromalli, che impersonava un guerrigliero, “in seguito provò a entrare in contatto con dei veri combattenti per la libertà, e non ci riuscì (a prezzo di una grave crisi) solo perché la sua non-violenza gli impediva tassativamente ogni complicità con la morte” ricorda Ciriachi. La nascita della figlia di quest’ultimo segna il ritorno a Roma della brigata. Poi “una sera di fine novembre del ’70 il poeta non tornò a casa. Era la prima volta, in tanto tempo, e non la prendemmo bene – prosegue -. A informarci dell’accaduto fu il Messaggero del giorno dopo. Un articolo in cronaca di Roma diceva che nel corso di un’operazione antidroga avevano arrestato, tra gli altri, ‘Aldo Piromalli, senza fissa dimora’. Il poeta, il compagno poeta, quindi, non aveva dato l’indirizzo della comune. Lo tennero dentro da dicembre del ‘70 a giugno del ’71 per un grammo e mezzo di hashish. Lo stato italiano, che pure guadagnava lautamente sulla vendita dei ben più dannosi tabacchi e superalcolici, si vendicava della propria misera doppiezza morale colpendo, come al solito, l’innocenza dei più deboli”. E qui il racconto dello stesso Piromalli in una lettera del 2019 a Lorenzo Spurio: “Ero stato messo in prigione in una cella con una finestra coperta da uno spesso strato di vetro attraverso cui non si poteva scorgere nulla se non il pallore di una luce biancastra che vi trapelava”.

In cella scrive componimenti che comporranno poi la raccolta di poesie “Uccello nel guscio”, sottotitolo “Versi per lottare contro le cose difficili”, edita da Simone Carella nel novembre dello stesso anno. 18 giugno 1971: “Stelle della notte / Ricordo quando cercai con voi la mia comunione / Ora che il soffitto di questa cella / Mi separa dalla vostra vista / Campi di grano e mare / Uliveti e castelli della mia terra / Voi siete in me più di quanto lo siate / Là nel vostro mondo di fuori / Pioggia e vento e uragano / Signore dell’Universo infinito / Io Ti cerco per questa mia sete d’armonia/ Aiutami a trovare il giusto cammino / La prigione è lontana dal mondo / Un detenuto è un monaco (…)  Scrivere una poesia è soprattutto dire la verità / Poi dirla al momento giusto / Tu lo sai bene, Corà (critico d’arte e letterario, nda), che significa sbottonarsi la camicia davanti a tutti e gridare siamo feriti, qui e qui, profondamente, ce n’andiamo in cancrena,  poi ti assicurano un martirio umano e ti cancellano dal Karma / Allora mi metterò a scrivere una poesia Quando sarà suo tempo. Vale aspettare”. Poi l’addio definitivo dall’Italia verso Amsterdam. Un indulto ed una rapida ma epocale apparizione al festival dei poeti di Castelporziano, sul litorale romano, a fine giugno 1979 con una invettiva che sarà una delle poche a far ammutolire un indisciplinato e sfrenato pubblico di diverse migliaia di giovani: “Affanculo con lo Stato la piccola e grossa borghesia la retorica del proletariato mente in prigione lame a doppio taglio. Affanculo con questa dimensione che comporta questo pensiero che comporta questa limitazione. La mia non è costruzione è solo un modo di sbattervelo in faccia. (…) Ho voglia di chiudere gli occhi e immergermi nel pieno silenzio. Si alzino le vele”.

In seguito poche altre volte Piromalli romperà l’esilio di Amsterdam dove il suo ricercare artistico lo porta, nel 1980, a coordinare la rivista di nuova poesia Camion, a collaborare con Simon Vinkenoog, esponente della beat generation olandese, ad avviare la scuola di poesia “School of Analphabetica”.  E ad approfondire i legami tra spiritualità e scienza. Nel 1995, dopo aver letto dei testi sulla meccanica quantistica, comincia ad esprimersi per lo più con sequenze di vignette disegnate a matita color pastello (di solito in sequenze di 6) con simboli ricorrenti come le stelle, gli alberi, la barca. E ancora l'uccello. La fuga e l’approdo, lo slancio e il ritorno. “E’ l’essere umano più mite e disarmato che abbia mai conosciuto – scrive ancora Ciriachi -. Questo lo ha reso molto vulnerabile. Ancora giovane, le sue ferite erano già così numerose che oggi meriterebbe il risarcimento di qualche pensione, se alla sensibilità fosse attribuito uno spazio di riguardo tra i valori socialmente riconosciuti. Da molti anni, Aldo vive ad Amsterdam, forse grazie al sostegno dell’assistenza comunale. Scrive, disegna. Da un po’ di tempo fa anche mostre. Cerca un riconoscimento minimo, un angolo di mondo dove persone e cose si accorgano delle sue qualità e glielo dicano con la stessa delicatezza da lui usata nel bussare alle tante porte che gli si sono sempre chiuse davanti”.  Una personalità così non ha certo avuto la scaltrezza necessaria per darsi quel ruolo storico che lo avrebbe potuto forse far diventare il “Ginsberg italiano”, a capo di una misconosciuta beat generation letteraria italiana, riunita intorno ad un destino collettivo. Un tentativo cui, nel 2010, ha tentato di dare forma l’ingresso di Piromalli nell’archivio di Cesare Pietroiusti per un "Museo dell'arte contemporanea italiana in esilio". Alla sua figura di esule, l’artista spagnola Dora Garcia nel 2011 ha dedicato la performance “L’inadeguato” alla Biennale di Venezia e, nel 2013, il progetto “Exile” a Tel Aviv. Sono poi arrivati i libri “Se io sono la lingua - Aldo Piromalli e la scrittura dell’esilio” del 2013 di Giulia Girardello e Mattia Pellegrini ed “I figli dello stupore. La beat generation italiana” di Alessandro Manca del 2018. I tre autori sono entrati tra i corrispondenti cui il poeta - rigorosamente analogico – riserva lettere pullulanti di versi, disegni e note. Condensati di grafica naif che sono anche finiti, nel 2016, nella mostra collettiva “Arte - Altra Letteratura” al Festivaletteratura di Mantova dedicata alle connessioni tra estetica e narrativa di quelli che sono stati definiti “artisti irregolari” e marginali ma dal lavoro “molto incisivo e di forte impatto comunicativo”. Nel gennaio 2020, a Livorno, a Piromalli è andato il Premio Ciampi/Premio l’Altrarte come artista visivo e performativo. Lui non vi ha partecipato (hanno ritirato il premio Girardello, Pellegrini e Manca) ma ha inviato degli spartiti per una performance musicale. “So benissimo di essere un uomo con dentro uno specchio d’acqua chiara /  Tutto veramente tutto in me è un lago d’acqua chiara / Come i miei occhi / Chi mi vuole male avrà male perché rifletto il male degli altri / Non voglio creare il mito di me stesso per poi / Seppellirmici dentro /  Niente letteratura…” si legge ancora nelle sue poesie giovanili di Agnone finite nella raccolta “Uccello nel guscio” che si apre con una lettera aperta di Piromalli ai suoi lettori che suona profetica dell’uomo solo e silenzioso di oggi: “Sono un vecchio animalaccio che vuole sopravvivere alle trasformazioni trasformandosi anch’esso, di dentro”, “il poeta deve essere mago”, “dietro la prima pelle deve osservare e spiegarsi, deve esplorare il regno dello sconosciuto. Lo sconosciuto esiste per essere esplorato”. (Marina Greco)

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