Un progetto fotografico realizzato da Luigi Ghirri a Maranello prende vita nella Project Room del MAUTO - Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, dallo scorso 2 maggio al 2 giugno, in occasione di EXPOSED Torino Foto Festival. La mostra, dal titolo “Luigi Ghirri. Rosso Ferrari”, ripercorre il lavoro – tra commissioni e ricerca personale – che il fotografo ha dedicato allo storico marchio di automobili. Nella seconda metà degli anni Ottanta, infatti, Luigi Ghirri documenta le fasi di produzione all’interno dello stabilimento: dagli uffici dei progettisti ai laboratori per la lavorazione del pellame, fino alle officine meccaniche, in un racconto incentrato su quei processi di assemblaggio e trasformazione che caratterizzano e accomunano l’automobile e la fotografia. In questa direzione va anche la serie dedicata a una replica in scala di una Ferrari F40 prodotta dalla ditta Agostini. Lo scenario, un campo da golf, e la presenza del pilota-bambino accentuano il senso di surreale sospensione che scaturisce dalla vettura in miniatura. La stessa estraniazione che si ritrova nell’ultima sezione, dedicata all’allestimento di Pierluigi Cerri per l’esposizione del 1988 al Forte di Belvedere di Firenze, dove le architetture rinascimentali dello sfondo partecipano alla composizione insieme ad alcuni dei modelli Ferrari più iconici e alle strutture in vetro di Cerri. La mostra è completata da un importante nucleo di fotografie provenienti dalla collezione di Jacobacci & Partners, realtà che dal 1872 riconosce, valorizza e tutela le eccellenze della creatività italiana. Questa selezione di opere fa parte dello stesso ciclo su Ferrari ed è la sintesi di un percorso in cui il fotografo interpreta l’identità del prestigioso marchio automobilistico. In totale, sono cinquanta gli scatti esposti – 28 provenienti dall’Archivio Luigi Ghirri e 22 dall’Archivio di Jacobacci & Partners – accompagnati dalla Ferrari F40 del 1990 in prestito dalla Fondazione Gino Macaluso per l’Auto Storica e da una scocca in vetroresina della F40 Baby. Il 23 maggio, inoltre, si terrà un talk alle ore 18.30 con Francesco Zanot, curatore, saggista e storico della fotografia, e Monica Zanetti, prima meccanica di Maranello, Lady F40, per ripercorrere l’epopea della Ferrari F40 attraverso la documentazione attenta e, al tempo stesso, onirica, di Luigi Ghirri. (gci)
A COMO LORENZA MORANDOTTI E LA SUA “COSMOS’ FLAG”
In uno dei luoghi più suggestivi di Como, bandiere, acquarelli, bronzi e fotografie documentano la nascita e lo sviluppo di una delle performance più intense dell’artista milanese Lorenza Morandotti. Dallo scorso 3 maggio fino al 30 giugno, il Castel Baradello, antica torre di origine medievale edificata da Federico Barbarossa che domina la città e il primo bacino del Lario, ospiterà la personale di Morandotti, dal titolo “Cosmos’ Flags”, a cura di Luigi Cavadini. L’esposizione documenta la nascita e lo sviluppo di una performance diffusa nel tempo e nello spazio, che consiste nel viaggio di una bandiera, portata dal suo alfiere, ovvero la stessa Lorenza Morandotti, fotografata mentre sventola in particolari siti, selezionati dall’artista secondo un criterio d’importanza storica, culturale e sociale. Le bandiere, che nascono come evoluzione della serie di acquarelli “Infiniti infiniti”, sono realizzate in un tessuto finissimo per poter essere attraversate dallo sguardo, e presentano un archetipo universale, che accompagna l’uomo fin dalla preistoria: un cerchio dipinto con pigmenti, i cui colori sfumano verso l’interno, lasciando al centro un vuoto luminoso. A differenza dei vessilli ufficiali degli stati che mirano a marchiare il territorio e a indicare il suo possesso a un determinato gruppo etnico o politico, quelli di Lorenza Morandotti trasmettono l’idea di un’appartenenza al genere umano, senza distinzione di razza, nazionalità e classe sociale. “La mia bandiera - afferma Morandotti - è anche un’antibandiera, perché non vuole dire questo luogo è mio, quanto io sono qui in questo luogo, ho la mia identità, ho la mia nazionalità, ho la mia storia personale, individuale ma nella mia piccolezza so di essere parte di qualcosa di molto più grande. Le bandiere storicamente sono simbolo di appartenenza, in pace e in guerra. Le mie Cosmos' Flags sono simbolo di un’appartenenza allargata che ci accomuna nella ricerca dell’essenziale. Fare proprio questo punto di vista può essere utile per gestire i confini del pensiero, da un’ottica di predominio, alla tutela condivisa. Tema sempre attuale”. La storia di “Cosmos’ flags” prende avvio nel 2019 nell’isola greca di Creta, durante l’allestimento dell’installazione site-specific “Ombelichi e Cosmi” che prevedeva oltre a una serie di “Ombelichi”, ovvero piccole sculture in argilla dalla forma rotonda, anche otto Cosmos’ Flags. Da quella esperienza è nata l’idea di creare una performance, selezionando dapprima i luoghi dove portare il suo messaggio, rendendo omaggio a chi ha lasciato testimonianze positive del suo passaggio. Le bandiere, inizialmente pensate con otto temi diversi (ne sono previsti più degli stati del mondo, tutti diversi gli uni dagli altri), hanno quindi iniziato a viaggiare e a essere fotografate, a volte con l’ausilio di professionisti, a volte grazie all’aiuto di compagni di viaggio o di amici incontrati casualmente, a volte in autonomia con il proprio smartphone. In questo suo muoversi tra i vari siti si è instaurata con le persone una profonda empatia che è diventata parte integrante dell’azione e volàno del messaggio che queste bandiere vogliono trasmettere. “Percepire dentro di sé - dichiara Morandotti - l’allargamento dei confini di pensiero e di appartenenza a qualcosa di più grande, partendo dall’infinitamente piccolo della nostra individualità (ombelico) all’immensità degli universi (cosmo), oltre a un certo smarrimento, può regalarci la responsabilità di dirigere al meglio le nostre azioni durante la breve vita terrena”. (gci)
L’ARTE DEI MANIFESTI PER OCCHIALI ESPOSTA A TREVISO
Un’esposizione tra arte e design: il Museo nazionale Collezione Salce di Treviso, in collaborazione con Punti di Vista, organizza, dal 18 maggio al 6 ottobre, l’esposizione “Arte del Vedere. Manifesti e occhiali dalle Collezioni Salce e Stramare”, a cura di Elisabetta Pasqualin e Michele Vello con la collaborazione di Mariachiara Mazzariol, con il patrocinio di Comune e Provincia di Treviso, con la collaborazione di CertotticaGroup, Fondazione ITS Cosmo e Modapuntocom e con il contributo di Alessia Vardanega. La mostra, allestita nell’ex Chiesa di Santa Margherita, esplora il mondo dell’occhiale attraverso due piani di lettura: la rappresentazione, mediante i manifesti pubblicitari della collezione Salce, e la forma, grazie agli occhiali storici della collezione Stramare. “Arte del Vedere” è un ideale dialogo tra due collezionisti e le loro passioni. Le policrome visioni di carta dei manifesti di Ferdinando Salce, accanto alle mille declinazioni del tondo degli occhiali di Lucio Stramare. Ed è anche la prima volta che il Museo Salce pone il suo inestimabile patrimonio grafico a complemento del design, in un continuum di rappresentazioni di forme che vanno dal Cinquecento fino agli anni Cinquanta del Novecento. Il visitatore può divertirsi a confrontare gli occhiali con la loro raffigurazione, che si fa astratta o puntuale a seconda della mano dell’illustratore e dello stile proprio di ogni epoca. Non è casuale la scelta di allestire questa mostra a Treviso: un filo sottile lega la città agli occhiali, nello specifico nella loro rappresentazione. Nel 1352 Tomaso da Modena, già autore delle storie di Sant’Orsola un tempo proprio a Santa Margherita, affresca la Sala del Capitolo dei Domenicani nel convento di San Nicolò. Tra i prelati, uno in particolare colpisce, perché indossa un paio di occhiali: la più antica testimonianza iconografica di questo oggetto, che il Museo Salce intende celebrare con un’esposizione che combina l’illustrazione al design, lì dove tutto “visivamente” ebbe inizio. A firmare i manifesti esposti in mostra ci sono nomi noti del cartellonismo prima e della grafica progettata poi, non solo italiani. Tre sono le sezioni dell’esposizione, che rappresentano un percorso cronologico nell’evoluzione delle forme del vedere. Dalle prime rudimentali creazioni dove il dispositivo era ancora tenuto in mano o fissato al volto con dei cordini di spago, all’invenzione delle aste nel Settecento, che ha segnato la svolta formale di un oggetto che ci accompagna nella vita di tutti i giorni. Non mancano le curiosità, perché almeno fino al primo decennio del Novecento coesistevano, accanto agli occhiali veri e propri, altre forme, come i vezzosi ed elaborati fassamani e i pince-nez di cavouriana memoria. Lo stile di vita e il progresso industriale cambiano il design dell’occhiale, e ciò è ben rappresentato dai dettagli ai limiti dell’oreficeria negli anni Trenta, i colori degli anni Quaranta e le indimenticabili forme “a gatto” degli anni Cinquanta. Di grande interesse per gli amanti del design è la teca dedicata agli occhiali speciali e da lavoro, dalle fogge talvolta improbabili ma efficaci nell’accordo tra forma, funzione e studio dei materiali: quelli preziosi come oro e argento; quelli naturali come corno, tartaruga, legno e pelle; fino ai primi ritrovati dell’industria chimica come la bachelite e la celluloide. A completare il percorso espositivo c’è il significativo contributo del design dell’occhiale contemporaneo, rappresentato dalla selezione dei migliori project work degli allievi dell’ITS eyewear product manager. Il corso, promosso dalla Fondazione ITS Cosmo di Padova e l’ente Certottica di Longarone, intende formare i progettisti dell’occhiale del domani. Gli elaborati esposti in questa sede rappresentano un ponte tra passato e futuro attraverso i linguaggi complementari della grafica e del design. (gci)
ALLA GALLERIA BORGHESE DI ROMA LE OPERE DI LOUISE BOURGEOIS
“Louise Bourgeois. L'inconscio della memoria” è la prima mostra dedicata a un’artista contemporanea donna alla Galleria Borghese e la prima esposizione romana dell’artista franco-americana tra le più influenti del secolo scorso. Ideata da Cloé Perrone e curata insieme a Geraldine Leardi e Philip Larratt-Smith, l’esposizione è realizzata in collaborazione con The Easton Foundation e l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, ed è incentrata sul grande contributo della Bourgeois alla scultura e sulla profonda connessione tra la sua pratica artistica e la Galleria Borghese. La mostra, che si terrà dal 21 giugno al 15 settembre, intreccerà la memoria personale dell’artista a quella collettiva del museo pubblico: il percorso espositivo attraverserà alcune sale, i Giardini segreti e il padiglione dell’Uccelliera, luoghi che Louise Bourgeois aveva esplorato con ammirazione durante la sua prima visita a Roma nel 1967. Circa 20 opere scultoree dialogheranno con l'architettura unica del Casino Borghese e con la sua collezione, focalizzandosi sui temi della metamorfosi, della memoria e sull'espressione di stati emotivi e psicologici. Queste tematiche, esplorate anche dagli artisti della collezione Borghese, sono rinvigorite dalla lente contemporanea di Bourgeois, che offre nuove prospettive sull'esperienza umana, grazie anche alla sua straordinaria diversità di forme, materiali e scale, che le hanno permesso di esprimere una gamma di stati emotivi. Con la mostra “Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria”, infatti, la Galleria Borghese conferma l’importanza del rapporto tra arte antica e contemporanea, diventando luogo di incontro e dialogo tra maestri di epoche e provenienze diverse. Le installazioni contemporanee di oggi riaffermano e attualizzano ciò che la Galleria incarnava per Scipione Borghese: uno scrigno di tesori personali e un luogo per custodire un’eredità che va costantemente rinnovata, favorendo nuove letture della sua storia e della storia dell’arte. La mostra è accompagnata da un catalogo che include installation view delle opere della Bourgeois contestualizzate nella Galleria, e da una guida breve. Entrambe le pubblicazioni sono edite da Marsilio Arte. In occasione della mostra, anche l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici ospita un’opera dell’artista, allestita negli appartamenti storici del Cardinale Ferdinando de’ Medici: “No Exit”, un’installazione formata da una scala incorniciata lateralmente da pannelli e da due grandi sfere situate alla sua base. Nella scala si trovano appese due forme di gomma a cuore, elementi ben celati e che possono essere sbirciati attraverso una piccola porta dietro la struttura. L’esposizione è stata realizzata grazie al supporto di FENDI, sponsor ufficiale della mostra. “La mostra su Louise Bourgeois fin dal titolo insegue due aspetti molti significativi del percorso dell’artista: l’inconscio e la memoria - afferma Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese - Nella Galleria Borghese la conservazione della memoria del collezionista suo fondatore, Scipione Borghese, è per noi centrale e tutte le opere da lui raccolte raccontano la sua storia che è poi diventata la storia di uno dei musei più importanti al mondo. Le singole opere conservano la memoria dei loro autori e delle loro vite, a volte anche i loro ritratti nascosti come nel caso della Minerva di Lavinia Fontana, artista che all’inizio del Seicento usa la mitologia come suo specchio. Bourgeois sembra invece non nascondersi, ma esporsi il più possibile, cercando di raccontare anche il suo inconscio, i livelli di coscienza che sono poco dicibili. In questo rimando continuo fra memoria personale e collettiva, fra specchi e gabbie, risiede la forza estetica della mostra, che grazie alle opere della grande scultrice novecentesca attua la mise en abyme della collezione Borghese”. (gci)
L’ARTE DI PIERO FOGLIATI AD ARZIGNANO (VI) CON “LA CITTÀ FANTASTICA”
Un’occasione per scoprire l’arte di Piero Fogliati (Canelli, 1930 – Torino, 2016). Atipografia ospiterà “La città fantastica”, mostra personale dedicata a Piero Fogliati e aperta al pubblico dal 25 maggio al 14 settembre ad Arzignano (VI), negli spazi di quella che era l’antica tipografia di famiglia che Elena Dal Molin ha trasformato in uno spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea. L’esposizione, realizzata in collaborazione con l’Archivio Fogliati, è il primo appuntamento che Atipografia dedica a un artista storicizzato e vede la presentazione di una selezione di dieci sculture realizzate da Fogliati tra il 1968 e il 1993. Filo rosso della mostra è la ricerca e la costruzione della “città fantastica”, progetto che l’artista inaugura a partire dai primi anni Sessanta in risposta al progressivo dilagare del fenomeno dell’urbanizzazione e al suo impatto sull’ambiente e sul paesaggio. Nell’opera di Fogliati il disegno assume una valenza progettuale e la scultura diventa momento di realizzazione dell’utopia. Per questo motivo, a completamento della mostra sono esposti una serie di disegni rappresentanti “la città fantastica”. La struttura urbana è la protagonista indiscussa dell’universo creativo di Fogliati, che allo sviluppo tecnologico pervasivo risponde immaginando una città ideale dove ogni unità artificiale interagisce con l’elemento naturale. La “città fantastica” di Piero Fogliati si articola come un vero e proprio progetto urbanistico dove ciascuna opera, interamente realizzata dall’artista, dalle viti ai bulloni che la compongono, attinge alla fascinazione dell’artista per il sapere tecnico-scientifico per riprodurre un’esperienza sensoriale unica. La mostra si inserisce nella programmazione culturale di Atipografia, dove l’estetica di Piero Fogliati incontra il territorio e dialoga con l’ampia produzione industriale e il forte legame con la macchina che lo contraddistingue. Con la mostra “La città fantastica”, l’immaginazione dell’artista combina natura e tecnologia creando sinergie inattese, giocando con la percezione del visitatore fino a creare vere e proprie esperienze sensoriali. Originario di Canelli (1930), Piero Fogliati ha vissuto e lavorato prevalentemente a Torino. A partire dagli anni Cinquanta si dedica alle arti visive, sperimentando da autodidatta l’espressione pittorica, sia figurativa sia astratta-informale. La ricerca di uno stile personale e la fiducia nei confronti dell’autonomia del linguaggio artistico si coniugano ben presto con la forte passione per la scienza e la tecnologia. Esplorando la percezione sensoriale e i fenomeni naturali, Fogliati costruisce macchine dotate di un’estetica sublime e raffinata connessa alla sfera visiva-acustica. Fogliati coniuga bellezza e percezione, manifestando la sua fiducia nell’immaginazione ma anche il suo affetto sincero e gioioso nei confronti dell’uomo. Le opere dell’artista sono infatti legate all’ideazione della “città fantastica”, un vasto progetto di interventi urbani in cui i suoni, le luci, gli elementi atmosferici e gli ecosistemi idrogeologici si trasformano in esperienze estetiche e sensoriali (un “sogno globale” che Fogliati sviluppa a partire dai primi anni Sessanta). In questo periodo si segnalano le prime mostre personali a Firenze, Roma e Torino, fino alla partecipazione alle due Biennali di Venezia del 1978 e del 1986, alla Biennale giapponese ARTEC di Nagoya del 1997, alla mostra “FASTER! BIGGER! BETTER! Signet works of the collections” del 2006 dedicata all’arte contemporanea degli ultimi cinquant’anni presso lo ZKM di Karlsruhe. La consacrazione torinese giunge nel 2003 con un’importante antologica dal titolo “Piero Fogliati il poeta della luce”. Sue opere sono presenti alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, al Museion di Bolzano, alla Galleria Comunale di Cagliari, al MACRO di Roma, allo ZKM di Karlsruhe, al Museo Technorama der Schweiz di Winterthur, al Musée de l’énergie électrique di Mulhouse, all’AT&T Foundation, alla “Cité des Sciences et de l’Industrie” di Parigi (che nel 1992 gli ha dedicato la mostra personale “Sculpter l’invisibile”), nonché in numerose e importanti collezioni private, tra cui la Fondazione Giuliano Gori a Santomato, la Collezione Panza di Biumo di Lugano e la VAF-Stiftung di Francoforte sul Meno, le cui opere sono in comodato presso il MART di Rovereto. Fogliati si è spento a Torino il 25 marzo 2016, all’età di 86 anni. (gci)
FOTO. Courtesy MAUTO
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