Il bilancio delle vittime degli attacchi di domenica nella regione russa meridionale del Daghestan è salito a 19 persone, di cui 15 agenti di polizia, ha reso noto questa mattina il comitato investigativo russo. Secondo i media locali, uomini armati hanno aperto il fuoco in due città del Caucaso settentrionale, prendendo di mira una sinagoga, due chiese ortodosse e un posto di polizia. Nella città di Derbent, uomini armati hanno attaccato una sinagoga, sede di una comunità ebraica nella regione a maggioranza musulmana. La Tass ha reso noto che gli aggressori hanno sparato anche contro due chiese ortodosse vicine, uccidendo un agente di polizia e un prete. In una sparatoria separata avvenuta contemporaneamente, un gruppo ha aperto il fuoco sulla polizia a Makhachkala, la capitale del Daghestan, situata a circa 75 miglia a nord lungo la costa del Mar Caspio. Secondo le autorità locali, almeno un agente di polizia è stato ucciso.
In un video pubblicato su Telegram, il capo dell’amministrazione regionale, Sergei Melikov, ha parlato genericamente anche di “diversi civili uccisi” aggiungendo che sono stati dichiarati tre giorni di lutto. Come ha osservato Melikov, la situazione nella repubblica è controllata dalle agenzie governative e dalle forze dell'ordine. “La caccia all’uomo e le indagini proseguiranno serrate fino all'identificazione di tutti i partecipanti alle ‘cellule dormienti’”, ha aggiunto.
Sempre ieri, un terzo attacco si è verificato nel villaggio di Sergokala dove i terroristi hanno sparato contro un'auto della polizia e uno degli agenti è rimasto ferito. Nella repubblica sono scattate una serie di operazioni antiterrorismo. Il Comitato nazionale antiterrorismo ha riferito di aver neutralizzato cinque attentatori: due a Derbent e tre a Makhachkala. Secondo Melikov, sarebbero invece stati eliminati sei attaccanti. Anche se non è ancora possibile dare una matrice precisa all’accaduto, va sottolineato l’arresto del capo del distretto di Sergokalinsky in Daghestan, Magomed Omarov, ora dimessosi. Due dei suoi otto figli figurano infatti tra i terroristi abbattuti. Omarov avrebbe ammesso di “essere consapevole” della vicinanza di questi suoi figli, Osman e Adil, a posizioni estremiste. I due erano seguaci del wahhabismo, un movimento di riforma religiosa sviluppatosi alla metà del XVIII secolo nel Najd, che insiste su un'interpretazione rigidissima e “letterale” del Corano. Omarov ha però negato che lui o gli altri parenti abbiano mai appoggiato i due figli uccisi nella loro deriva terroristica. Ufficialmente nessuna organizzazione terroristica conosciuta ha rivendicato la responsabilità degli attacchi in Daghestan. Tuttavia, poco dopo gli attentati, è apparsa online una dichiarazione del gruppo mediatico affiliato all’ISIS Al-Azaim, che elogiava l’azione “dei martiri”.
Come c’era da attendersi, Mosca ha da subito puntato l’indice contro “il regime di Kiev”. “Sappiamo chi c'è dietro questi attacchi terroristici e quale obiettivo perseguono”, ha dichiarato Melikov, con chiaro riferimento al governo Zelensky. “Dobbiamo prendere atto che la guerra arriva anche nelle nostre case. Lo abbiamo sentito dire, ma oggi lo stiamo affrontando”, ha detto. Il patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa e fervente sostenitore del Cremlino, da parte sua ha assicurato che il “nemico” sta cercando di distruggere la “pace interreligiosa” in Russia. Il suo obiettivo è “piantare i semi dell’odio”, ha denunciato. Negli ultimi anni la Russia è stata regolarmente presa di mira da attacchi rivendicati dallo Stato Islamico (IS). A marzo, l'attentato clamoroso e sanguinosissimo alla sala da concerto Crocus City Hall, alla periferia di Mosca, che ha provocato 140 morti. Tre mesi dopo, il 16 giugno, diversi membri dell'Isis sono stati uccisi dopo aver preso in ostaggio due agenti penitenziari in un carcere nel sud della Russia. All’inizio degli anni Duemila, va ricordato infine, la Federazione ha dovuto affrontare una violentissima “ribellione islamista”, sorretta dal movimento integralista sorto nel corso del primo conflitto contro la Cecenia separatista nel 1994-1996. Secondo i dati ufficiali, da allora quasi 4.500 russi, provenienti soprattutto dal Caucaso, hanno combattuto a fianco dell’ISIS in Iraq e Siria. (24 GIU - DEG)
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