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I COWBOYS “GREEN”
DI MICHELE CINQUE

I COWBOYS “GREEN” <BR> DI MICHELE CINQUE

Michele Cinque - regista del pluripremiato Iuventa, diventato un manifesto politico contro la criminalizzazione dei soccorsi in mare - torna a dirigere un documentario per il cinema su un altro tema urgente: il rapporto tra uomo e natura ai tempi della crisi climatica. Una storia sui moderni cowboys italiani in lotta contro il cambiamento climatico. “Cose che accadono sulla terra”, prodotto e distribuito da Lazy Film, dopo la prima mondiale nei giorni scorsi inaugurando il concorso italiano del Festival dei Popoli di Firenze, il 15 novembre farà il suo debutto internazionale al Festival IDFA di Amsterdam. Il documentario, dopo aver toccato quindi due degli appuntamenti più prestigiosi per il genere, prosegue il suo tour nelle sale cinematografiche italiane: domani sera al  Cinema Margherita di Cupra Marittima ed il 12 novembre al Cinema Farnese di Roma (dalle 19), il 17 novembre al Cinema Astra di Modena per @Via Emilia Doc Fest ed il 6 dicembre al Wanted Clan Cinema di Milano. A 50 km dal Grande Raccordo Anulare, nel “selvaggio west italiano” dei Monti della Tolfa, una famiglia di cowboys ha una missione: continuare ad allevare il proprio bestiame e difenderlo dagli attacchi dei lupi, senza però compromettere l’equilibrio dell’ecosistema. Narrato al femminile e girato nell’arco di due anni, il film esplora il profondo legame tra madre e figlia. Brianna, una bambina di 6 anni, in un dialogo con la madre Francesca, si interroga sulla sua vita e sul suo futuro, rivelando, col suo sguardo innocente e originale, alcuni temi urgenti con cui lo spettatore è chiamato a fare i conti. Francesca e Giulio, che gestiscono oltre 1.000 ettari, si sono accorti che ormai anche il pascolo brado, una pratica tramandata dai cowboy italiani, i butteri, non è più sostenibile e che la sopravvivenza dei loro animali è strettamente legata alla salute del suolo. Secondo l’International Panel on Climate Change, attualmente il 30% dei suoli mondiali è degradato e si prevede un incremento fino al 90% nel 2050, con gravissime conseguenze nella produzione alimentare globale. Di fronte alla desertificazione del proprio territorio e alla perdita di molti capi per la siccità, Francesca e Giulio decidono di intraprendere una rivoluzione verde applicando la teoria del pascolo rigenerativo. Già molto diffusa in diverse aree siccitose in Australia, in Africa e Stati Uniti, questa tecnica di pascolo, invece di utilizzare l’assistenza di fertilizzanti di sintesi e dell’agricoltura intensiva, ottimizza il rapporto tra suolo, piante e animali con mutui benefici per l’ecosistema. L’idea è semplice: imitare il comportamento dei grandi erbivori selvatici, che migrano costantemente per l’effetto delle stagioni e della predazione. Il movimento continuo dei pascoli accelera il ciclo di formazione dell’humus, favorendo la rigenerazione dei suoli e il sequestro del carbonio. Questa pratica, secondo la Royal Society, l’associazione scientifica britannica, è una soluzione a basso costo e a basso contenuto tecnologico che può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas serra associate all'agricoltura convenzionale. Un report della FAO, indica le filiere zootecniche come responsabili del 15% delle emissioni globali di gas serra di origine antropica. Ma, mentre sono ormai palesi gli impatti ambientali degli allevamenti intensivi, il consumo di carne a livello globale continua a salire, sempre secondo la FAO dalla seconda metà del Novecento, è aumentato di 5 volte e le proiezioni al 2050 indicano il trend in continua crescita. Se da un lato si investe su prodotti come la carne sintetica e alternative vegane, la pratica del pascolo rigenerativo ci invita a riflettere sulle modalità di allevamento dei bovini e sul loro impatto sul pianeta. La piccola rivoluzione di Francesca e Giulio, come quelle di migliaia di allevatori in tutto il mondo che si oppongono alle pratiche intensive, testimonia che se usati nel modo corretto gli erbivori possono diventare un alleato nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. In una sorta di “richiamo della foresta” contemporaneo, il documentario si confronta anche con un’altra tematica di estrema attualità: la presenza dei lupi. Attualmente la Commissione Europea sta discutendo la revisione dello status di protezione del predatore, la cui popolazione è stimata in circa 20.000 esemplari in Europa, di cui 3.300 solo in Italia, 950 nelle regioni alpine e 2.400 nel resto della penisola. Nel film di Michele Cinque, il lupo è un antagonista per la famiglia di allevatori ma nel corso della narrazione diventa, in un gioco di specchi, una metafora dell’uomo stesso. La presenza del lupo risveglia paure ancestrali ma anche la nostra appartenenza al mondo animale e la nostra responsabilità nella sua salvaguardia.

Michele Cinque, nato il 27 marzo 1984 e laureato in Filosofia all'Università “La Sapienza” di Roma, lavora come regista e produttore cinematografico dal 2004. Nel 2009 ha fondato la società di produzione cinematografica Lazy Film. Ha diretto diversi documentari e serie televisive premiate e distribuite in tutto il mondo. Nel 2015 ha diretto il lungometraggio documentario Sicily Jass, coprodotto con il sostegno di Rai Cinema, presentato al New Orleans Film Festival nel 2016 e proiettato in numerosi festival in tutto il mondo. Nel 2017 ha diretto il cortometraggio Jululu, premiato alla 74ma Mostra del Cinema di Venezia e selezionato da oltre trenta festival internazionali. Nel 2018 è uscito il lungometraggio documentario Iuventa, coprodotto con Rai Cinema e ZDF/3Sat. Il film è stato selezionato e premiato in diversi festival internazionali e distribuito nelle sale cinematografiche in Germania e in Italia. Iuventa è stato presentato anche al Parlamento Europeo nel febbraio 2019. Nel 2020 ha diretto il film sperimentale Quand on Sera Seuls con il sostegno del ministero della Cultura e della SIAE ed ha diretto un episodio del film The World Beyond Silence sulla pandemia. (8 nov - red)

 

 

 

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