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OCCUPAZIONE, FORNERO:
ECCO LE PSEUDO-VERITA’

OCCUPAZIONE, FORNERO: <BR> ECCO LE PSEUDO-VERITA’

In un intervento su La Stampa, sotto il titolo “Quei numeri più forti della propaganda”, l’economista ed ex ministro del Lavoro Elsa Fornero analizza alcuni dati sui quali il governo Meloni ha espresso soddisfazione e parla apertamente di "pseudo-verità con i quali illudere gli elettori”: “Il tasso di occupazione è aumentato nel nostro Paese toccando, nel gennaio 2025, il 62,8%” ed “il tasso di disoccupazione, a sua volta, si è ridotto scendendo al 6, 5% e anche in questo caso potremmo essere felici e contenti. Questi due dati non bastano, però, a definire un quadro complessivo soddisfacente e meno che mai un quadro di cui essere ‘fieri’. Perché? In primo luogo, perché se l'occupazione è migliorata da noi, è migliorata un po' di più negli altri Paesi UE, con il risultato di un (sia pur lieve) aumento del differenziale a nostro sfavore rispetto alla media europea (8,7 punti percentuali) e con l'amarezza di trovarci agli ultimi posti in Europa per rapporto tra occupati e popolazione in età attiva. Ci troviamo, invece, tra i primi in classifica nel lavoro a tempo parziale, che sembra divenuto la forma di flessibilità preferita dalle imprese in luogo del lavoro a tempo determinato e di altri contratti ‘atipici’. In secondo luogo, perché, se è bene che la disoccupazione sia scesa, è ancora patologico il differenziale a sfavore dei giovani, che hanno una percentuale di disoccupati pari a 3 volte quella media (20% contro il 6,5 sopra ricordato). In terzo luogo, perché rimane stabile la percentuale di persone, soprattutto giovani e donne, in età di lavoro ma ‘inattive’, cioè non occupate e neppure in cerca di lavoro perché dedite ad attività domestiche (le ‘casalinghe’, termine spesso usato con scherno) o perché così scoraggiate da neppure cercarlo un posto di lavoro (neanche dopo l'abolizione del reddito di cittadinanza). Ebbene, insieme alla Romania, abbiamo il primato in Europa tasso di inattività: una percentuale che, pur essendo diminuita negli ultimi decenni, non sembra non riuscire a scendere sotto il 33%. Riuscire a portare stabilmente e dignitosamente nel mondo del lavoro giovani e donne che ne sono ai margini o esclusi, è una grande sfida. Ancor più se vinta senza ricorrere ai pensionamenti anticipati come si è fatto troppo spesso, anche nel recente passato, sulla base della convinzione – rivelatasi, come prevedibile, errata – che così se ne sarebbe facilitata l'occupazione. Naturalmente è ben possibile che una buona parte di queste persone lavorino in nero, il che ne riduce indubbiamente il rischio di povertà ma le rende vulnerabili a ogni azzardo della vita attiva e, naturalmente, alla scarsità di risorse nell'età anziana, dato lo stretto collegamento (via contributi sociali) tra i redditi da lavoro nel corso della vita e la pensione”. (25 mar - red)

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