Tutti gli oggetti dell’universo osservabile ruotano: pianeti, stelle, sistemi stellari, buchi neri e galassie. E se questa “regola cosmica” si applicasse allo stesso universo nella sua interezza? Secondo quanto riportato in uno studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, questa ipotesi potrebbe finalmente risolvere uno dei grandi misteri della cosmologia: la tensione di Hubble, un disaccordo di lunga data tra i risultati dei due principali metodi per misurare quanto velocemente l’universo si stia espandendo. Come spiega il magazine dell’Inaf, un metodo consiste nell’osservare le candele standard — stelle e supernove di cui si conosce la luminosità intrinseca — per confrontarne la luminosità apparente e ricavare così le distanze delle galassie in cui si trovano, determinando il tasso di espansione dell’universo negli ultimi miliardi di anni. L’altro metodo si basa sull’analisi della radiazione cosmica di fondo (Cmb) e consente di stimare il tasso di espansione nei primi istanti di vita dell’universo. Ognuno fornisce un valore diverso per il tasso di espansione. I modelli attuali affermano che l’universo si espande ugualmente in tutte le direzioni senza segni di rotazione. Ciò riflette le osservazioni della maggior parte degli astronomi, ma non risolve la discrepanza tra i tassi d’espansione dell’universo trovati con i due metodi. La tensione di Hubble si presenta quindi come l’unica crepa nell’altrimenti splendente armatura del modello Lambda-Cdm, il modello cosmologico in uso. Lo studio appena pubblicato, guidato da Balázs Endre Szigeti del Centro di ricerca Wigner in Ungheria e da István Szapudi dell’Università delle Hawaii, propone un modello matematico per l’universo che presuppone che valgano le regole standard per l’espansione con l’aggiunta di una piccola rotazione. “Per parafrasare il filosofo greco Eraclito con il suo Panta rei, ovvero tutto scorre, noi abbiamo pensato che forse Panta kykloutai ovvero tutto ruota”, afferma Szapudi. L’idea di un universo rotante è da attribuirsi a Godel nel 1947, che venne poi appoggiato anche da Stephen Hawking. Lo studio di Szigeti e Szapudi propone un’approssimazione newtoniana del modello di Godel. Il loro modello suggerisce che l’universo potrebbe ruotare una volta ogni 500 miliardi di anni – troppo lentamente per essere rilevato facilmente, ma abbastanza da influenzare l’espansione dello spazio nel tempo. “Con nostra grande sorpresa, abbiamo scoperto che il nostro modello con rotazione risolve il paradosso senza contraddire le attuali misurazioni astronomiche. Ancora meglio, è compatibile con altri modelli che prevedono una rotazione. Forse, dunque, tutto davvero ruota. Oppure, Panta Kykloutai!”, conclude Szapudi. (2 mag - red)
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