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direttore Paolo Pagliaro

“Pysanka”: la bellezza dell’Ucraina raccontata con l’arte

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“Pysanka”: la bellezza dell’Ucraina raccontata con l’arte

Presso la Dipendenza della Casina delle Civette dei Musei di Villa Torlonia a Roma, dallo scorso 18 aprile al 14 settembre, sarà visitabile la mostra “PYSANKA – la bellezza fragile dell’Arte Ucraina” che ripercorre, attraverso una selezione di 74 pysanky d’autore e 18 opere pittoriche – realizzati dagli artisti ucraini Larysa Iskiv, Volodymyr Lutsyk, Lilia Babiak e Ala Zarvanytska – l’evoluzione dell’antica tecnica artistica ucraina nel dipingere i gusci delle uova, dalla tradizione alle opere contemporanee. L’esposizione, ideata dall’Associazione Culturale OBERIG e curata da Ala Zarvanytska, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il patrocinio dell’Ambasciata d’Ucraina nella Repubblica Italiana, con la collaborazione dell’Associazione Futura Nostra e con il supporto organizzativo e i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. La pysanka, guscio d’uovo decorato con l’utilizzo di cera d’api, è una delle antiche forme di arte popolare ucraina, le cui radici risalgono all’epoca precristiana. Occupando un ruolo importante nella tradizione artistica ucraina, l’arte del pysankarstvo è stata tramandata con grande cura di generazione in generazione. I simboli rappresentati sulle uova conferiscono un significato speciale a ogni pysanka: l’uovo stesso simboleggia la vita; i disegni rappresentati costituiscono un insieme complesso di simboli, grazie ai quali l’uovo si trasforma in un amuleto magico. Le opere in esposizione, basate su tecniche e ornamenti tradizionali, ripercorrono quindi l’evoluzione di questa antica tecnica artistica ucraina, dalla tradizione alle opere contemporanee. A corredo della mostra, e per tutta la sua durata, una domenica al mese sono previsti laboratori dimostrativi con gli artisti, che spiegheranno ai partecipanti la tecnica e i materiali per realizzare un uovo dipinto, raccontando la storia e la tradizione della pysanka. I laboratori, della durata di circa 2 ore, sono rivolti a un pubblico di tutte le età, dai 10 anni in su. (gci)

A SIRACUSA L’ESPOSIZIONE "ANTONELLO DA MESSINA. MARCO DELOGU"

La Galleria Regionale di Palazzo Bellomo a Siracusa ospiterà, dallo scorso 18 aprile fino al 30 settembre, la mostra "Antonello da Messina. Marco Delogu", promossa e organizzata da Civita Sicilia. Il lungo rapporto di collaborazione tra la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo e Civita Sicilia ha dato vita a numerosi progetti artistici, in cui Civita ha svolto un ruolo fondamentale nella gestione dei servizi di fruizione del pubblico, aggiungendo alla qualità del proprio lavoro un’attenzione particolare alla valorizzazione del patrimonio museale. Tra le iniziative più significative, si ricordano la mostra dedicata a Matteo Basilè nel 2019, quella dal titolo “Edipo. Lo sguardo in sé” nel 2022 e, nel 2024, “Pan_Estesìa. Tutta la bellezza che ho negli occhi” di Davide Bramante. Attraverso la fotografia, Marco Delogu riscopre cinque delle opere più importanti di Antonello da Messina, mettendole in dialogo con cinque dei suoi lavori. Lo sguardo del fotografo, facilitato dal suo caratteristico focus selettivo, dalla sua inquadratura calibrata e dal monocromo denso, si volge a uno dei grandi maestri del Rinascimento, al quale Delogu si ispira, tra gli altri, per la manipolazione della luce. Antonello da Messina è stato il principale pittore siciliano del Quattrocento, il primo a indagare il complesso equilibrio tra luce, atmosfera e attenzione al dettaglio tipico della pittura fiamminga con la monumentalità e spazialità della scuola italiana. Ognuno dei cinque capolavori di Antonello viene investigato e trasfigurato in un incontro che attraversa secoli e discipline, invitandoci a riscoprire le opere di entrambi in chiave inaspettata. Le fotografie di Delogu, grazie all'uso di un bianco e nero intenso e di un fuoco selettivo, enfatizzano dettagli inediti e presentano una visione nuova dei soggetti ritratti da Antonello da Messina, introducendo una dimensione percettiva innovativa. Il progetto sviluppa un gioco di sguardi su quattro livelli: il soggetto, il pittore, il fotografo e l'osservatore. A questi “ri-ritratti” si aggiungono sei opere fotografiche che amplificano ulteriormente il dialogo tra passato e presente, rivelando ciò che si nasconde negli sguardi degli altri. La mostra è un viaggio affascinante che invita a riflettere sul potere del ritratto e sulla continua evoluzione del nostro modo di osservare l’arte, in un confronto tra il pittore e il fotografo, tra passato e presente. Il progetto espositivo si inserisce perfettamente negli spazi della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, generando un forte legame con la storia e la cultura del territorio. Antonello da Messina operò infatti tra le città del siracusano nella seconda metà del Quattrocento, in particolare a Palazzolo, dove dipinse il capolavoro dell’Annunciazione. La Galleria Regionale di Palazzo Bellomo – custode di una collezione unica che documenta lo sviluppo della civiltà mediterranea, dall’età bizantina al XVII secolo – ospita un percorso espositivo coinvolgente e site-specific, che assume valore e senso proprio nel contesto museale. Il visitatore avrà l’opportunità di sperimentare un’inedita contaminazione tra fotografia artistica e patrimonio storico, muovendosi tra capolavori antichi e interpretazioni contemporanee. Il capolavoro di Antonello da Messina risulterà così attraversato da tre livelli di lettura: quello della pittura quattrocentesca, quello dell’isolamento fotografico e quello della sua attualità. I ritratti di Delogu costituiscono una rassegna pensata e curata per il museo, contribuendo ad accrescerne il valore culturale e simbolico. Marco Delogu, nato a Roma nel 1960 da genitori sardi, è fotografo, editore, curatore e organizzatore di progetti artistici come la Rome Commission. Ha ricoperto ruoli istituzionali come direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Londra (2015-2019) e, dal 2022, presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo. Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero – tra cui Villa Medici a Roma, Centre Pompidou a Parigi, Warburg Institute a Londra, PhotoMuseum di Mosca – e fanno parte di importanti collezioni internazionali. Gran parte della sua produzione è incentrata sul ritratto e sull’indagine di gruppi sociali legati da esperienze e linguaggi comuni: detenuti, fantini del Palio, cardinali, pastori, compositori, popolazioni rom. Attraverso la fotografia, Marco Delogu riscopre cinque delle opere più importanti di Antonello da Messina, mettendole in dialogo con cinque dei suoi lavori. Lo sguardo del fotografo, facilitato dal suo caratteristico focus selettivo, dalla sua inquadratura calibrata e dal monocromo denso, si volge a uno dei grandi maestri del Rinascimento, al quale Delogu si ispira, tra gli altri, per la manipolazione della luce. (gci)

A URBINO L’OMAGGIO ALLA VOCAZIONE PER L’ARTE DI MARIO RAMOUS

L’Accademia di Belle Arti di Urbino rende corale omaggio alla vocazione di Mario Ramous per la critica d’arte con una mostra di opere dalla collezione privata. "Da Morandi a Pozzati - Mario Ramous e l’arte", questo il titolo dell’esposizione, a cura di Luca Cesari, direttore dell’Istituzione urbinate, allestita nella galleria Adele Cappelli dell’Accademia, che sarà inaugurata l’11 maggio alle 10.30, nell’ambito di “Urbino e le città del libro Festival”, e visitabile fino al 25 luglio. Parte della carriera letteraria di Mario Ramous (1924-1999) poeta, traduttore, saggista e metricista, amato e ammirato professore di Estetica all’Accademia di Urbino per vent’anni esatti, dal 1974 al 1994, maestro per generazioni di allievi, è occupata dall’interesse e dalla convivenza con artisti suoi pari: per leva generazionale, per valore o per statura. Mario Ramous si avvicina all’arte contemporanea nel 1947 coltivando, fino al 1950, un duplice interesse: lo sviluppo del neocubismo, inteso come reazione morale al classicismo novecentista, e la rivalutazione di un certo espressionismo, utile a ritrovare le radici primitiviste di molti pittori della sua generazione. All’attenzione per artisti come Duilio Barnabé, Giovanni Ciangottini e Sergio Romiti si affianca quella per maestri della generazione precedente come Giorgio Morandi, Marino Marini e Mario Sironi. La direzione della collana Documenti per la Cappelli di Bologna nei vent’anni successivi lo porta ad allargare i suoi interessi: lo dimostrano anche le numerose collaborazioni editoriali con artisti di varia estrazione quali Pirro Cuniberti, Luciano De Vita, Virgilio Guidi, Concetto Pozzati o Emilio Scanavino. La ripresa dell’attività critica, dalla fine degli anni Sessanta in poi, vede l’adozione di nuovi strumenti di analisi desunti dalle teorie linguistiche in voga, dallo strutturalismo alla semiologia. Strumenti più adatti a comprendere le ricerche di artisti quali Rodolfo Aricò (suo collega all’Accademia di Belle Arti di Urbino), Vincenzo Satta e Giuseppe Capogrossi, senza precludere l’attenzione per Morandi e Sironi già manifestata all’inizio del suo percorso. “La stella polare di questa mostra urbinate in Accademia, non è la personalità di Ramous maestro, professore agli studenti di Urbino, ma la critica d’arte - spiega il curatore, nonché direttore dell’Istituzione di Alta Formazione, Luca Cesari - o comunque il legame unitario e intercalante, entro la sua attività letteraria, con i pittori, soprattutto amici, sin dal primo libro di versi (La memoria, il messaggio, 1951) abbinato al filo segnico di Marino Marini. Ma a questo aspetto ineliminabile si deve aggiungere la quota specifica del critico figurativo quale egli è stato: non solo anzitempo rispetto al desiderio o all’esigenza di comporre versi in primis, ma in perenne conciliabolo con i pittori da Morandi a Pozzati per l’appunto. Passando per Marini Guidi Cassinari Romiti Cuniberti Scanavino - sodali e amici (come poterono esserlo altri compagni quali Bonfiglioli e Scalia, sempre a Bologna) - sino ad Aricò a D’Agostino a Pozzati, finalmente, a Concetto soprattutto. Ed è chiaro che la mostra privilegi in tale galleria di amici le opere di quest’ultimo innanzitutto -, essendo Pozzati il promotore dell’approdo di Ramous - allora cinquantenne - all’insegnamento di Estetica in Accademia. Gli artisti in mostra che abbiamo qui scelto guardano tutti in direzioni diverse ma si sfiorano anche; ed escono ognuno dalla collezione personale di Mario Ramous. Il titolo - conclude Cesari - lo lascia intravedere chiaro attraverso la descrizione di una traiettoria da-a. Una traiettoria che non illustra tanto un percorso dell’arte, della pittura, italiana (o forse anche quello), quanto un tragitto interno, un’iride circostante di personaggi cari al dedicatario”. Nell’occasione sarà anche inaugurata la mostra “La nuda forma” dell’ex allievo Salvo Scafiti, a cura di Serena Riglietti, allestita nella Galleria “La Stanzetta”. (gci)

“SOMETHING IN THE WATER”: A ROMA L’INCONTRO TRA ARTE E ACQUA

L’acqua come metafora, come mezzo artistico ed elemento in grado di resistere a ogni tentativo di essere modellato. Con una nuova produzione inedita, la mostra “Something in the Water” al MAXXI segna un ulteriore capitolo della Water School di Oscar Tuazon, un progetto di arte pubblica e, al contempo, un’iniziativa che esplora le dinamiche e le politiche legate all’accesso e al controllo della terra, dell’acqua e delle infrastrutture. Una mostra visitabile dallo scorso 18 aprile fino al 17 agosto che accompagna in un’esperienza fluida, in cui l’acqua diventa il veicolo di connessione tra artisti di diversa generazione e provenienza, in un allestimento che evoca il flusso sinuoso delle anse del Tevere. In mostra opere di: Lita Albuquerque, Saif Azzuz, Matthew Barney, Christo, Abraham Cruzvillegas, Torkwase Dyson, Leslie Hewitt, Nancy Holt, Pavlo Makov, Virginia Overton, Marjetica Potrc, Ugo Rondinone, Peter Sandbichler, Anna Sew Hoy e Oscar Tuazon. (gci)

“STOP DRAWING”: UN’INDAGINE SULL’ARCHITETTURA AL MAXXI DI ROMA

Un’affascinante indagine sui mutamenti in corso nel mondo dell’architettura e degli strumenti necessari per produrla, rappresentarla, comunicarla. Si tratta di “STOP DRAWING. Architettura oltre il disegno”, mostra a cura di Pippo Ciorra visitabile dallo scorso 18 aprile fino al 21 settembre. In principio era il disegno, atto originario in grado di sintetizzare in un gesto della mano la relazione tra spazio, funzione e struttura. Poi, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, abbiamo assistito all’affermarsi di tecniche digitali, pratiche mutuate dall’arte, esercizi di attivismo politico e forme di partecipazione “hands-on” che plasmano gli spazi in cui viviamo e riconoscono importanza minore al “bel disegno”. Le opere di oltre 40 autori, tra i quali Raquel Buj, Olafur Eliasson, Frank Gehry, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Aldo Rossi, Carlo Scarpa, Lucia Tahan e Jorinde Voigt, accompagnano il visitatore in un viaggio tra XX e XXI secolo, per raccontare come la capacità di rappresentare e definire lo spazio, un tempo riservata al disegno, si espanda oggi verso un mondo fatto da simulazioni digitali, collage, video, performance, tessile e molto altro. (gci)

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