Un americano a Roma. Il Continente di provenienza è lo stesso di Josè Bergoglio, ma Leone XIV, il nuovo Papa eletto oggi dal Conclave, di certo non viene “dalla fine del mondo” ma anzi, dal Paese che più di tutti incarna la capacità di portare la propria influenza culturale nel mondo. Un po’ come la Chiesa. Così farà probabilmente Robert Francis Prevost, il primo Papa statunitense nella storia. Una storia, quella tra gli Stati Uniti e il cattolicesimo, che pone le sue basi direttamente dalle colonizzazioni spagnole e francesi nel Nuovo Mondo, a partire dal XVI secolo, anche se esploderà solo con l’immigrazione europea del 1800: i primi missionari gesuiti e francescani, soprattutto, battezzano i nativi nelle future Florida, California, Texas e Louisiana. Ma anche i santagostiniani, l’ordine di appartenenza del nuovo Papa, nello stesso secolo iniziano la propria opera soprattutto nel sud del continente americano, ma aprendo missioni anche al nord. Con la fondazione degli Stati Uniti, però, il quadro cambia radicalmente: la nuova nazione nasce in un contesto dominato dal protestantesimo, in particolare quello puritano, che vede i cattolici con sospetto. Ancora nel diciottesimo secolo, i cattolici rappresentano una piccola minoranza, concentrata soprattutto nel Maryland, unica colonia fondata con un buon grado di tolleranza religiosa. La Costituzione del 1787 e il Primo Emendamento garantiscono la libertà di culto, ma la società resta largamente ostile al cattolicesimo, ancora associato all’autoritarismo papale e alle potenze europee.
E’ solo il 1800 che segna un’esplosione demografica cattolica, dovuta alla nuova immigrazione: irlandesi, italiani, polacchi, tedeschi, croati giungono in massa portando con sé il proprio culto, le proprie lingue, le proprie parrocchie. Lo stesso Prevost, nato a Chicago, ha origini francesi, spagnole, perfino italiane. Non è un percorso privo di ostacoli: nascono movimenti come il Know Nothing Party, che negli anni 1850 cavalcano un’ideologia anti-cattolica e xenofoba: chiese, sacerdoti e scuole parrocchiali finiscono sotto attacco, per combattere quei cattolici “leali al Papa e non alla Costituzione". La comunità cattolica, forte di numeri sempre crescenti di immigrati, cresce nonostante tutto, e si consolida anche tramite una fitta rete di scuole, ospedali, università e giornali. E’ in questa fase che anche la gerarchia ecclesiastica americana inizia a strutturarsi: nel 1808 viene eretta la prima arcidiocesi, quella di Baltimora, e nascono figure carismatiche come l’arcivescovo John Hughes, che difende fieramente i diritti degli irlandesi a New York.
Con il Novecento, i cattolici americani iniziano a integrarsi pienamente nella vita pubblica del Paese. Il momento simbolico è l’elezione di John F. Kennedy nel 1960: è il primo presidente cattolico, viene eletto probabilmente anche “a scapito” della sua fede, ma riesce da subito a rassicurare l’opinione pubblica con la celebre frase: “Io credo in un'America dove la separazione tra Chiesa e Stato è assoluta”. Parallelamente, il cattolicesimo statunitense diventa una delle componenti più potenti del cattolicesimo mondiale. Le diocesi americane si arricchiscono, finanziano missioni all’estero, ospitano università private prestigiose come Notre Dame, nell’Indiana, e Georgetown, a Washington. Il Vaticano inizia a guarda con crescente interesse a questa “nuova frontiera” della fede, anche se dagli anni ’70 in poi emergono anche profonde fratture, tra la rivoluzione culturale del decennio, gli scandali degli abusi sessuali, le profonde differenze tra una Chiesa conservatrice (soprattutto nel Midwest e Sud) e una più progressista del nord-est e della California. A dare nuova spinta al cattolicesimo americano nel XXI secolo è in realtà la nuova ondata migratoria latinoamericana, asiatica e africana. Le parrocchie diventano multilingue e i vescovi si confrontano con nuove sfide: immigrazione, giustizia sociale, bioetica, identità LGBTQ+. E così negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti sono diventati un laboratorio globale del cattolicesimo: dinamico, pieno di contraddizioni, ma centrale nei dibattiti ecclesiali. I papi Benedetto XVI e Francesco hanno nominato molti cardinali americani, spesso dalle grandi città, segno di un peso crescente. Un Papa americano finora l’aveva immaginato solamente Paolo Sorrentino, nella magistrale serie “The Young Pope”, in cui Jude Law nei panni di un giovanissimo Pio XIII mostra dapprima il lato più progressista della Chiesa, per poi sfociare in quello più oscurantista. Da oggi, invece, oltre la fiction c’è la realtà, e si chiama Leone XIV. (8 mag - simone santi)
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