BUILDING presenta “Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci”, un progetto espositivo a cura di Francesco Tedeschi e realizzato in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia che si articola in due capitoli distinti, ciascuno dedicato alle opere del fotografo Ljubodrag Andric (Belgrado, 1965). Il primo capitolo si svolge dallo scorso 18 aprile fino all’8 settembre a Venezia nelle sale del secondo piano di Palazzo Cini. La Galleria in concomitanza con la 19esima Mostra Internazionale di Architettura; il secondo capitolo apre dal 9 settembre all’11 ottobre, negli spazi espositivi di BUILDING GALLERY a Milano. L’esposizione fotografica, articolata in due capitoli, esplora l’indagine condotta da Ljubodrag Andric su luoghi e architetture, mettendo in evidenza come il suo linguaggio si discosti dalla fotografia tradizionale, pur utilizzandone tecnica e materiali, per giungere a una forma di rappresentazione indipendente dalla realtà oggettiva. Sebbene l’origine dell’immagine sia sempre un luogo specifico – richiamato dal nome dell’opera – le fotografie di Andric sono in grado di andare oltre il reale, sfiorando una dimensione più profonda e immateriale. Un aspetto distintivo delle opere dell’artista è la loro componente pittorica e scultorea: le superfici murarie, i segni sulle pareti e le strutture architettoniche emergono come tracce di una realtà che trascende il tempo e la materia. Attraverso una raffinata ricerca su luce, riflessi, colore e materia, Andric costruisce immagini dal carattere enigmatico e sospeso. Il primo capitolo del progetto espositivo “Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci”, ospitato a Venezia negli spazi di Palazzo Cini. La Galleria, dallo scorso 18 aprile all’8 settembre, presenta una selezione di 17 opere, che mettono in dialogo le esperienze visive maturate dall’artista durante i suoi viaggi in India tra il 2021 e il 2024 con la città lagunare e le sue residenze presso Fondazione Giorgio Cini. Il percorso espositivo, in un gioco di rimandi e risonanze, esplora le corrispondenze tra le architetture veneziane e quelle indiane in un confronto a distanza tra luci e ombre, mettendo in dialogo gli echi delle stratificazioni storiche della città lagunare e le atmosfere intime e sospese del cuore dell’India. Le fotografie esprimono un senso di smaterializzazione, le strutture architettoniche rivelano caratteristiche di spazio e luce assoluti e si arricchiscono di significati che trascendono la loro funzione originaria aprendosi a una profondità visiva e sensoriale che va oltre il dato materiale. Il tema della soglia – del passaggio oltre o attraverso qualcosa – diventa un leitmotiv che accoglie e congeda il visitatore, simbolizzando un cammino che è sia fisico sia interiore. Nell’esposizione, forme e strutture di luce si intrecciano in un dialogo tra interno ed esterno attraverso tracce e memorie di luoghi, tempi e cose. Il mistero che avvolge alcune sale espositive si intensifica grazie al valore metamorfico e metaforico di immagini sensuali e interrogative, che preludono alla trasformazione dello spazio in materia luminosa. Le immagini proposte presso Palazzo Cini. La Galleria si rivelano sospese tra realtà e astrazione, trascendono la dimensione visiva, invitando lo spettatore a una contemplazione più profonda delle opere fotografiche. La mostra “Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci” prosegue per il suo secondo capitolo dal 9 settembre all’11 ottobre a Milano negli spazi di BUILDING GALLERY presentando una differente selezione fotografica di circa 25 opere dell’artista. Il percorso espositivo si snoderà su tre piani espositivi della galleria articolandosi in una suddivisione tematica studiata appositamente in dialogo con l’architettura di BUILDING. Al piano terra saranno ospitate opere che narrano un susseguirsi di forme architettoniche che esplorano spazi interni, esterni e di superficie, attraverso differenti soluzioni visive adottate dall’artista. Al primo piano una selezione di fotografie approfondirà il tema della soglia, proponendo opere che presentano come soggetto misteriose “soglie” o finestre cieche, offrendo un’interpretazione di questo stesso tema legato anche alla disposizione dei lavori nello spazio. Infine, il secondo piano accoglierà una raccolta di fotografie che ritraggono esclusivamente scorci di architetture storiche, presenti nel territorio italiano, caratterizzate da un’aspirazione alla smaterializzazione dell’architettura in essenza luminosa. Il secondo capitolo di questo progetto espositivo presenterà opere dell’artista che scoprono tracce di architetture che rivelano qualità organiche, traiettorie imprevedibili e labirintiche in un percorso espositivo in cui le immagini di Ljubodrag Andric sono in grado di trasformare ancor di più l’oggetto architettonico in metafora. Ljubodrag Andric, nel corso degli anni, ha sviluppato una precisa indagine fotografica che ha per oggetto il luogo e di cui la fotografia stessa diviene strumento di creazione di immagini che aspirano all’assoluto. Le sue opere tendono a distaccarsi autonomamente dal soggetto originario, in un processo che va oltre la mera rappresentazione visiva. Inizialmente concentrato sui dettagli architettonici di edifici appartenenti a diverse epoche e contesti, Andric instaura una relazione profonda con la storia e l’energia degli spazi andando oltre il loro mero aspetto formale. Il suo è un processo fotografico che prosegue oltre l’istantaneità dell’immagine catturata, spingendosi verso un risultato che sfiora l’astrazione, in cui la consistenza dell’immagine stessa diventa materia concreta di tensione, punto di equilibrio fra segno e archetipo. In questo processo, le fasi di elaborazione e post-produzione giocano un ruolo fondamentale, dando vita a un dialogo dinamico tra linguaggio fotografico, pittorico e scultoreo. Inoltre, attraverso l’architettura, che costituisce il soggetto principale delle sue opere, Andric stabilisce un’interconnessione con letture ritmiche, musicali e interiori, dove la vitalità dell’organico si fonde armoniosamente con il rigore strutturale della costruzione. Queste immagini, sospese tra realtà e astrazione, trascendono la semplice dimensione visiva, invitando lo spettatore a una contemplazione più profonda. Il progetto espositivo “Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci”, è accompagnato dalla pubblicazione di due cataloghi, editi da BUILDING editore, e realizzati in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini. Il primo volume, dedicato al capitolo veneziano della mostra, raccoglie i contributi del curatore della mostra Francesco Tedeschi, dell’architetto Renata Codello e di Chiara Casarin, rispettivamente segretario generale e responsabile Sviluppo Culturale e Comunicazione di Fondazione Giorgio Cini. Il secondo volume, che documenta l’intero progetto espositivo, presenta testi critici del curatore Francesco Tedeschi, della professoressa Marta Braun, storica della fotografia e del professor Andrea Pinotti, esperto di estetica e teoria dell’immagine. (gci)
“VOLARE GUARDARE COSTRUIRE”: L’ARTE DI NATHALIE DU PASQUIER A ORANI (NU)
Il Museo Nivola di Orani (NU) presenta “Volare Guardare Costruire”, un progetto site specific di Nathalie Du Pasquier, artista e designer francese di base a Milano. Pensata appositamente per gli spazi del museo, la mostra “Volare Guardare Costruire”, curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri e visitabile dal 17 maggio al 14 settembre, si configura come una retrospettiva dedicata alla produzione pittorica dell’artista dagli esordi fino a oggi. Allo stesso tempo, si tratta di un’installazione ambientale che fonde pittura, architettura e design. Il percorso espositivo si articola attraverso una serie di strutture progettate dall’artista che trasformano l’ambiente del museo in uno spazio da attraversare, esplorare, abitare. La mostra innesca così un dialogo tra le architetture effimere dell’artista e la struttura storica dell’edificio – l’ex lavatoio di Orani, oggi cuore pulsante del Museo Nivola. All’interno di queste “stanze” e sulle pareti del museo trovano posto opere realizzate dagli anni Ottanta a oggi, che raccontano l’evoluzione del linguaggio visivo di Du Pasquier: un lessico fatto di figurazione e astrazione, in cui le figure umane e la dimensione narrativa cedono gradualmente il passo al tema delle nature morte, fatte di oggetti semplici e quotidiani, che evocano con delicatezza la presenza umana, e poi ancora a forme geometriche e costruzioni astratte. Il tutto è bagnato da una luce meridiana che dà ai dipinti un’aria metafisica, quasi fossimo davanti a versioni moderne delle tele di Morandi o, per altri versi, di quelle puriste di Le Corbusier e Ozenfant. Il titolo si riferisce a tre fasi della produzione pittorica di Du Pasquier. Volare evoca il momento del distacco dalla progettazione di oggetti di design, verso la pratica più libera della pittura. E non è forse un caso che tante delle opere di questa fase presentino delle scene viste dall’alto, con una prospettiva a volo d’uccello, simbolo della forza dell’immaginazione, della sua capacità di librarsi in alto ed espandersi liberamente. Guardare si riferisce a una seconda fase, all’esigenza di abbandonare le scene puramente immaginative per dedicarsi a un’osservazione quieta e puntuale della realtà, anche degli oggetti più quotidiani e apparentemente insignificanti, che rivelano invece, a uno sguardo interessato, forme straordinarie, dettagli preziosi e la capacità di comprendere in se stessi la complessità dell’esistenza. Sono visioni che l’artista definisce “silenziosissime e fermissime”, che invitano a riscoprire il piacere del mondo sensibile attraverso un’osservazione silenziosa e attenta. Insoddisfatta, a volte, dell’apparenza sensibile della realtà, Du Pasquier si dedica, infine, a Costruire, realizzando strutture originali, piccole costruzioni astratte tridimensionali che vengono poi ritratte col pennello, riportate sul piano bidimensionale delle sue tele. Si innesca così una dinamica complessa fra realtà e rappresentazione, in una stupenda metafora della pittura. Con questa mostra, il Museo Nivola conferma il suo impegno nella valorizzazione del dialogo tra arte, design e architettura, offrendo un’immersione nel mondo visionario di un’artista che continua a reinventare le regole del vedere e del costruire. Nathalie Du Pasquier (Bordeaux, 1957) si trasferisce a Milano nel 1979. Cofondatrice del collettivo Memphis, a partire dalla metà degli anni Ottanta si dedica principalmente alla pittura, sviluppando un universo visivo inconfondibile, dove la ricerca formale si unisce a una riflessione profonda sullo spazio e sulla percezione. Le sue opere sono state esposte a: la Villa Noailles Hyères (Tolone, Francia), la Kunsthal Aarhus (Aarhus, Danimarca), il GFZT Museum of Contemporary Art (Lipsia, Germania), il Camden Arts Center (Londra), la Kunsthalle Wien (Vienna) e il MACRO di Roma. (gci)
TRA CIBO E DESIGN A MILANO CON “ESSENZIALE E QUOTIDIANO”
La mostra “Essenziale e Quotidiano. Scenari e rituali del cibo contemporaneo”, a cura di Carlo Branzaglia e Giulio Iacchetti, esplora il legame tra cibo e design reinterpretando in chiave contemporanea le tradizioni della mise en place. Aperta lo scorso 29 aprile e fino al 25 maggio all’ADI Design Museum di Milano, l’esposizione coinvolge sei differenti realtà chiamate a esporre la propria idea di “posto a tavola”. Tra i brand selezionati knIndustrie che, per l’occasione, espone alcuni tra i suoi prodotti più iconici in un’armoniosa fusione di materiali e oggetti dalle molteplici funzionalità. (gci)
WORLD PRESS PHOTO, A GENOVA LA PRIMA TAPPA PER L’ESPOSIZIONE ITINERANTE
La World Press Photo Exhibition per la prima volta arriva a Genova, ospitata a Palazzo Ducale dallo scorso 30 aprile fino al 24 giugno. Il capoluogo ligure è la prima città in Italia a inaugurare la mostra dedicata al migliore fotogiornalismo internazionale, destinata a 60 città nel mondo. La competizione è nata nel 1955 e si è imposta come il più prestigioso punto di riferimento del settore. A Palazzo Ducale, all’interno della Loggia degli Abati, sono esposte circa 140 immagini scattate dai 42 fotografi selezionati, fra le 59.320 fotografie candidate da 3.778 fotografi originari di 141 nazioni. “Il World Press Photo Contest – ha dichiarato l’italiana Lucy Conticello, presidente della giuria mondiale – rappresenta un importante riconoscimento per professionisti che lavorano in condizioni difficili ed è anche un riassunto, per quanto incompleto, dei principali avvenimenti internazionali. Come giurati, siamo andati in cerca di immagini che possano favorire il dialogo”. I fotografi selezionati sono originari di: Bangladesh, Bielorussia, Brasile, Colombia, Corea del Sud, Germania, Spagna, Stati Uniti, Francia, Haiti, Indonesia, Iran, Iran/Canada, Italia, Myanmar, Nigeria, Palestina, Olanda, Perù/Messico, Filippine, Portogallo, Repubblica Democratica del Congo, Russia, Russia/Germania, Salvador, Sudan, Thailandia, Turchia, Regno Unito e Venezuela. Le fotografie che saranno esposte raccontano i momenti chiave dei fatti di cronaca accaduti nel 2024, come l’attentato a Donald Trump, la campagna elettorale in Venezuela, la violenza delle gang a Haiti, le proteste antigovernative in Kenya, Georgia e Bangladesh. Si soffermano sull’immigrazione, le conseguenze della crisi climatica, sui conflitti in Sudan, Ucraina e nella Striscia di Gaza, testimoniando anche le storie dei sopravvissuti, in particolare bambini, come Anhelina, che a sei anni deve affrontare gli attacchi di panico dopo essere scappata dalla sua casa in Ucraina. O ancora Mahmoud Ajjour, un bambino palestinese che ha perso le braccia in un attacco dell’esercito israeliano. Tra i progetti a lungo termine premiati, cioè i lavori che abbracciano un periodo di tempo più esteso rispetto alle altre categorie, c’è quello della fotografa italiana Cinzia Canneri, che ha seguito le vite di alcune donne in fuga dal regime repressivo in Eritrea e dal conflitto in Etiopia. La bielorussa Tatsiana Chypsanava, invece, ha raccontato come una comunità maori difende la sua identità culturale in Nuova Zelanda, mentre Aliona Kardash è tornata nel suo paese d’origine, la Russia, per capire come la repressione e la propaganda abbiano trasformato le persone che sono rimaste. In America Centrale, Carlos Barrera ha documentato la violenza del governo di Nayib Bukele in Salvador, mentre Federico Ríos ha attraversato la regione selvaggia tra Panama e Colombia insieme ai migranti che rischiano la vita per arrivare negli Stati Uniti. Ancora, Ebrahim Alipoor è arrivato sulle montagne impervie del Kurdistan iraniano per conoscere le storie dei kolbar, i corrieri che trasportano illegalmente merci tra Iraq, Turchia e Iran. In ogni scatto una storia da raccontare, che ci riguarda. (mar)
A BOLOGNA ESPOSTO “SPECCHIO MISURATORE” DI SUPERSTUDIO
“Preferiamo essere pastori di mostri; evocandoli da dentro il nostro magico cerchio, li accudiamo e li nutriamo affinché divengano grandi e si scatenino intorno”, queste le parole con cui Superstudio evocava più che descrivere il senso del loro “Specchio misuratore” (1976) esposto per l’ultimo garage BENTIVOGLIO a Bologna. Grande a malapena per contenere lo sguardo, eppure condensatore di alcuni dei temi fondamentali del pensiero dei suoi ideatori, quali misura e riflesso, questo oggetto quasi metafisico è il protagonista fino al 31 maggio della vetrina d’arte che ogni mese porta un pezzo della collezione di Palazzo Bentivoglio alla portata dello sguardo dei passanti di via Borgo di San Pietro a Bologna. Lo specchio misuratore si inserisce all’interno della ricerca sull’immagine riflessa che accompagna Superstudio per tutto il corso della sua esistenza, fin dal progetto per le cascate del Niagara del 1970 o dalla copertina di Casabella del 1972, di chiara ispirazione magrittiana. Sin dagli esordi gli specchi acquistano infatti un significato fondamentale per l’avanguardia fiorentina, innalzandosi alla scala del paesaggio con forme pure e prive di funzioni pratiche, sulla scia delle grandi opere della Land Art alla quale si ispirano. Tra le altre, sono le ricerche di Robert Smitshon a essere un punto di riferimento, soprattutto nell’uso degli specchi come dispositivo di indagine sul mondo, capaci di raddoppiarlo ma anche di evidenziarne le sue contraddizioni. Lo “Specchio misuratore” è poi avvolto nel caratteristico laminato quadrettato, ultimo stadio del decoro ed erede della griglia cartesiana che da Mercatore in poi diviene l’unico strumento di misura del mondo. Come tutti gli oggetti di Superstudio, è totalmente auto-rappresentativo, non nasce per soddisfare necessità primarie, per cui esistono gli utensili, ma è un manufatto industriale carico di valori sacri e mitici. Nel nuovo paesaggio domestico la tecnica infatti soddisfa ogni bisogno elementare, non c’è più occasione di consumo e l’uomo si circonda solo di utensili e oggetti simbolici. L’architetto non ha più occasioni di progetto, perché l’unico progetto “è il progetto della nostra vita e delle nostre relazioni con gli altri”. “In fondo a questo piccolo specchio non riemerge però che il nostro sguardo, il mondo e le sue contraddizioni sono contenute nei nostri occhi, Superstudio dunque interroga noi stessi, le nostre paure e mostruosità” sottolinea Davide Trabucco, ideatore del progetto, “La Gorgone degli Uffizi è più viva che mai”, ed è pronta a incontrare lo sguardo di chi vorrà passarle accanto. Garage BENTIVOGLIO continuerà poi con la Poltrona con poggiapiedi UP 5 La Mamma (1969) di Geatano Pesce (dal 4 al 28 giugno) e con un esempio di manifattura marchigiana di fino XIX secolo (dal 2 al 26 luglio). (gci)
NELLA FOTO. Installation view, Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci, Palazzo Cini. La Galleria, Venezia. Courtesy BUILDING, Milano
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