di Paolo Pagliaro
L’auto-scioglimento del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) rappresenta un momento storico di grande rilevanza per la questione curda in Turchia e nell'intera regione. Questa decisione segna la fine formale di un'organizzazione che per quasi 40 anni ha combattuto per l'autodeterminazione del popolo curdo. Per quest’ultimo, il futuro rimane incerto. Da un lato, la mossa del partito di Öcalan potrebbe facilitare un processo di pace e maggiori diritti culturali e politici; dall'altro, senza la pressione del PKK, Ankara potrebbe sentirsi meno incentivata a fare concessioni.
Quanto a Öcalan, la sua figura resterà divisiva: per molti curdi e per molti democratici di tutto il mondo si tratta di un leader visionario che ha saputo evolvere dal marxismo-leninismo al confederalismo democratico; per la Turchia e i suoi alleati, un terrorista. È probabile che il suo pensiero politico sopravviva allo scioglimento dell'organizzazione, soprattutto le sue idee sulla democrazia diretta e l'ecologia sociale.
L'Italia, che nel 1999 non seppe gestire il caso Öcalan (che da noi aveva cercato rifugio) , potrebbe ora sostenere la sua liberazione come gesto di riconciliazione, ma il margine di manovra diplomatico appare limitato. Per Erdoğan, lo scioglimento del PKK rappresenta una vittoria politica significativa da presentare all'elettorato, ma lo priva anche di un utile "nemico interno" da utilizzare per consolidare consenso. La vera sfida sarà trasformare questa vittoria in un'opportunità per risolvere strutturalmente la questione curda, andando oltre la dimensione securitaria.