Adolfo Urso, ministro del made in Italy, ha convocato a Roma il "tavolo per Taranto", coinvolgendo una sfilza di associazioni di categoria. Ministro, qual è l'obiettivo? “Costruire un percorso comune e condiviso con la Regione e gli enti locali per facilitare, incentivare e sostenere gli investimenti produttivi che molte imprese intendono realizzare nell'area. L'obiettivo – risponde Urso alla domanda postagli da repubblica (ed. Bari) è far tornare Taranto un polo di sviluppo produttivo anche nel quadro della transizione green, che intendiamo garantire proprio a partire dal polo siderurgico. Lo dimostra il piano industriale su cui stiamo lavorando nel negoziato con gli azeri”. Avete presentato i primi 15 progetti. In quali settori? “Carpenteria, nautica, cantieristica, aeronautica, impianti eolici, pannelli solari, sistemi ferroviari, ma anche Intelligenza artificiale e data center, logistica, aerospazio e crocieristica. Per oltre 5mila nuovi occupati diretti e molti di più nelle filiere e nell'indotto. Alcuni progetti, peraltro, avranno bisogno del gas che la nave rigassificatrice potrà assicurare e proprio dell'acciaio che sarà prodotto negli stabilimenti. Un volano di sviluppo produttivo”. Sull'ex Ilva però il presidente della Regione, Michele Emiliano, propone la nazionalizzazione, sul modello inglese. In questo modo, ha detto a Repubblica, il governo ha la responsabilità sull'innovazione tecnologica e sull'ambientalizzazione, “uscendo dalle logiche di convenienza economica a danno della salute delle persone”. “Un'azienda — pubblica o privata — nelle democrazie europee risponde alle stesse regole autorizzative in materia ambientale e sanitaria e necessita delle medesime condizioni produttive – risponde Urso -. Non siamo nell'Unione Sovietica. Per realizzare il Dri (direct reduction iron, l'impianto di purificazione dei materiali, ferrosi) la parte fondamentale dell'investimento — che sarà comunque attuata da una società interamente pubblica — serve innanzitutto il gas. La Regione e il Comune di Taranto sono d'accordo sull'installazione della nave rigassificatrice nel porto? Questa è la prima domanda a cui occorre rispondere. Se sì, a quali costi? Le autorizzazioni saranno concesse in tempi congrui? Sono previsti incentivi o penalizzazioni? Senza gas a costi sostenibili non c'è Dri, e dunque non è possibile alimentare, attraverso il preridotto, i forni elettrici che nel frattempo e con una programmazione pluriennale dovranno sostituire gradualmente gli altoforni. La seconda condizione pregiudiziale per il raggiungimento dell'obiettivo è che vi sia un'Aia, ovvero l'Autorizzazione integrata ambientale, che renda sostenibile l'investimento: rispondente alle più avanzate prescrizioni ambientali e sanitarie, ma anche sostenibile economicamente nella fase transitoria, qualunque sia il soggetto investitore, pubblico o privato, incaricato di realizzare i forni elettrici. La terza condizione è che nella fase transitoria lo stabilimento rimanga in attività, con un livello produttivo tale da garantire anche l'occupazione, l'indotto e l'intera filiera. In caso contrario, il blocco della produzione farebbe saltare gli impianti collaterali e comprometterebbe le prospettive di investimento nella tecnologia green”. (20 MAG - deg)
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