Dalle Alpi agli Appennini l’Italia è uno dei Paesi europei più ricchi di orchidee e proprio per la sua elevata biodiversità orchidologica risulta essere un centro unico nel panorama mediterraneo. Nella Penisola se ne contano ben 240 e di queste circa un quarto di esse è costituito da specie endemiche. Oggi, però, le orchidee selvatiche sono sempre più rischio a causa della crisi climatica, delle attività antropiche, delle trasformazioni del paesaggio e dal commercio illegale. Tra quelle più minacciate, si va ad esempio dalla Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus) quasi scomparsa dalle Alpi occidentali al Barbone Adriatico (Himantoglossum adriaticum) alla splendida e rara ofride specchio (Ophrys speculum), all’orchidea Orchis patens. Estinta In Sardegna, nel 2025, l’orchidea palustre Dactylorhiza elata subsp. sesquipedalis, era presente in provincia di Nuoro. Negli anni ’80 se ne contavano una trentina, nel 2010 si è passati a 10 esemplari, a 3 nel 2020, per scomparire del tutto nel 2025.
A scattare questa fotografia è Legambiente che, alla vigilia della Giornata Mondiale della Biodiversità, presenta il suo annuale Report sulla Biodiversità a rischio 2025 con un focus dedicato quest’anno alle orchidee selvatiche, con un’analisi su alcuni progetti di tutela e buone pratiche, e facendo un punto anche sui gravi ritardi che l’Italia ha accumulato rispetto agli obiettivi europei 2030 in fatto di tutela e conservazione della biodiversità e creazione di nuove aree protette. Su 240 specie di orchidee presenti in Italia solo 4 (Cypripedium calceolus, Himantoglossum adriaticum, Liparis loeselii e Ophrys lunulata) sono tutelate a livello europeo dalla direttiva Habitat. In fatto di tutela, sottolinea Legambiente, si scontano oggi i limiti di una Direttiva Habitat non aggiornata che non rappresenta la situazione attuale reale del grado di rischio cui sono soggette in questo caso le orchidee italiane. In piena fioritura a partire dal mese di maggio, le orchidee spontanee sono protette dalla CITES, la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione. Inoltre, la raccolta anche parziale di fiori e bulbi ovari costituisce reato. Nella nostra Penisola, sottolinea Legambiente, la tutela e conservazione delle orchidee è stata demandata alle singole regioni, generando una marcata eterogeneità nel panorama nazionale. In questa partita è, però, fondamentale coinvolgere attivamente le comunità locali, sensibilizzando i gestori del territorio affinché le strategie di conservazione possano integrarsi con le attività economiche e sociali locali.
Allo stesso tempo per Legambiente l’Italia deve accelerare il passo per recuperare i ritardi nell’attuazione della Strategia Europa sulla biodiversità 2030 e nello stanziare più risorse per la creazione di parchi nazionali. Nella Penisola i tempi per l’istituzione di parchi e aree marine protette, scrigni di flora e fauna, sono molto lunghi: dall’approvazione della legge alla operatività di un’area protetta passano circa 7/8 anni. Al ritmo attuale l’Italia rischia di centrare l’obiettivo del 30% di territorio e di mare protetto tra ben 80 anni. Un ritardo inaccettabile per un Paese come l’Italia che custodisce uno dei patrimoni di biodiversità più ricchi in Europa, dato che mancano solo cinque anni alla scadenza degli obiettivi europei. Ad oggi le uniche nuove aree protette create sono state il Parco nazionale del Matese, istituito ad aprile 2025 dopo un lungo e travagliato iter, mentre è stato sbloccato l’iter per l’area marina protetta di Maratea. Eppure, il Paese con i suoi 25 parchi nazionali vanta progetti e casi di successo in fatto di tutela e conservazione della biodiversità a partire da quelli messi in campo nelle cinque aree protette - Parco nazionale della Majella, Parco del Grasso e Monti della Laga, Parco del Vesuvio, Parco nazionale del Cilento, Vallo Di Diano e Alburni, e Parco nazionale del Gargano - che il 5 giugno festeggeranno 30 anni di storia. I dati parlano chiaro: dagli oltre 3mila esemplari di camoscio reintrodotti su tutto l’Appennino, dove all’inizio degli anni ’90 erano quasi estinti, alla tutela del lupo in Majella dove se ne contano circa un centinaio e dell’orso bruno marsicano che conta una popolazione di circa cinquantina di individui, per passare alla tutela della biodiversità marina a partire dalla tartaruga Caretta caretta dove nel Gargano, grazie alla sinergia con il Centro Tartarughe Marine a Manfredonia, sono state soccorse e curate in questi anni oltre 2mila tartarughe. In Cilento tra la flora protetta c’è la rarissima Primula di Palinuro, a rischio estinzione, protetta a livello regionale e comunitario, ed è alta l’attenzione per i prodotti della terra coincisa anche con la nascita del Museo della Dieta Mediterranea; così come altro caso di successo è rappresentato dalla tutela della flora selvatica a rischio grazie al prezioso lavoro avviato dalla Banca del Germoplasma in Majella.
“In Italia la perdita di biodiversità e in particolare delle orchidee – commenta Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente - sottolinea i limiti di un approccio passivo e l’importanza di integrare protezione, politica e ricerca scientifica. Le zone umide italiane insieme alle praterie semiaride, pur ospitando un’elevata diversità di orchidee, sono tra gli habitat meno tutelati. Solo unendo ricerca, politica e azione concreta sarà possibile garantire prosperità alla straordinaria diversità biologica. Siamo ancora in tempo per rallentare i processi di estinzione: proteggere gli habitat, sostenere la ricerca, coinvolgere cittadini e istituzioni. La conservazione è possibile, ma richiede consapevolezza, impegno e una volontà collettiva. Inoltre, per raggiungere gli obiettivi 2030 su clima e biodiversità, serve una forte determinazione politica e amministrativa ma anche strumenti operativi e nuove norme capaci di accompagnare i territori a più alta vocazione naturale nella transizione ecologica. Temi che rilanceremo anche in occasione del “Natura Day. 30% di territorio protetto entro il 2030”, con una serie di iniziative che abbiamo organizzato dal 21 al 25 maggio lungo la Penisola per festeggiare la Giornata europea delle aree protette, che si celebrerà il 24 maggio. Con questo natura Day vogliamo far riscoprire le bellezze naturalistiche e la biodiversità e chiedere al tempo stesso più aree protette”. A cinque anni dall’entrata in vigore della strategia sulla biodiversità 2030, l’Italia risulta essere in forte ritardo. La Penisola, denuncia Legambiente, ha una lunga lista di parchi e riserve in attesa di istituzione: alcune previste da leggi del Parlamento o dei Consigli regionali e ferme a causa di complessi iter amministrativi, altre richieste da tempo dalle comunità locali o da associazioni. Il risultato è che ci sono territori che inseguono la “chimera” dell’area protetta da 34 anni, come per il Parco nazionale del Gennargentu e del Delta Po, mentre per il Parco Nazionale della Costa Teatina, “solo” da 24, o da 18 anni come per i Parchi nazionali siciliani (Egadi, Eolie e Iblei). Non va meglio per la tutela del mare e per alcune aree marine protette previste fin dal 1991 per le quali l’iter istitutivo non è nemmeno iniziato, per altre è stato congelato dai comuni interessati (Costa del Conero, Costa del Piceno, Isole Eolie), per altre si sta completamento l’iter istitutivo (Isola San Pietro) e altre ancora sono in attesa di decisioni definitive dal ministero (Isola di Capri). Legambiente in questi anni ha stilato una lista con la richiesta di 76 nuove aree da istituire. Di queste 29 sono aree protette nazionali, terrestri e marine, già previste da leggi approvate dal parlamento, altre 47 sono invece aree non previste da leggi e, in alcuni casi, si tratta di aree regionali da trasformare in nazionali per garantire una loro più efficace gestione.
Nel suo report Legambiente fa un punto anche sui progetti di tutela sulla flora selvatica. Tra questi c’è il progetto “Life Seedforce”, cofinanziato dall’UE, avviato a ottobre 2021 e in corso fino a fine 2026, che mira a migliorare lo stato di conservazione di 29 specie vegetali di interesse comunitario: dalla Primula palinuri (primula di Palinuro) al Gladiolus palustris (gladiolo palustre) all’orchidea Himantoglossum adriaticum, per citarne alcune. Le azioni di conservazione (come il rafforzamento, la reintroduzione e l’introduzione) si svolgono in 76 siti della Rete Natura 2000 presenti in 10 regioni italiane (Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Abruzzo, Campania, Sardegna e Sicilia) e in alcune aree transfrontaliere di Francia, Slovenia e Malta. Importante la sinergia e il coinvolgimento con la Rete Italiana Banche del Germoplasma per la conservazione ex situ della flora spontanea italiana. Tra i risultati attualmente raggiunti dal progetto: quasi 670.000 sementi raccolte tra tutte le specie interessate, più di 4.000 talee ottenute e messa a dimora di oltre 120.000 semi. (21 mag – red)
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