Nel cuore di Little Italy, tra le insegne sgargianti delle boutique di lusso e l’incessante mutare del paesaggio urbano di Manhattan, sopravvive un luogo che sembra essersi fermato nel tempo. È Albanese Meats & Poultry, una delle macellerie più antiche di New York, testimone viva di più di un secolo di storia italoamericana. Fondata nel 1923 da Vincenzo Albanese, un macellaio siciliano emigrato negli Stati Uniti, questa piccola bottega di Elizabeth Street ha attraversato guerre, crisi economiche, cambiamenti sociali e culturali, restando un punto di riferimento per generazioni di residenti, immigrati, artisti e buongustai. Oggi, a più di cent’anni dalla sua apertura, è l’unica macelleria rimasta in una strada che un tempo ne contava almeno otto. A tenerla in vita è Jennifer Prezioso, quarta generazione della famiglia. “Scherzo sempre dicendo che è mezza macelleria e mezzo museo – racconta -. Dovrei far pagare il biglietto d’ingresso: la gente entra e mi chiede se è tutto vero”. Il negozio, con le sue pareti verde menta, le foto in bianco e nero, i salumi finti appesi e le vecchie affettatrici, è un viaggio nella New York che non c’è più.
Jennifer ha raccolto l’eredità del nonno Moe — “Moe the Butcher” per i clienti — che fino all’ultimo ha continuato a stare seduto davanti al negozio, osservando il viavai di Elizabeth Street e scambiando battute in italiano con i passanti. Moe, a sua volta, aveva ereditato il mestiere dalla madre Mary e dal padre Vincenzo. Tutto ebbe inizio a Polizzi Generosa, un paese incastonato nel Parco delle Madonie, in provincia di Palermo. Fu da lì che Vincenzo Albanese partì per New York poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Stabilitosi a Little Italy, incontrò Mary, anche lei originaria dello stesso paese siciliano e nata proprio nell’isolato dove si trova ancora oggi la macelleria. Alla fine dell’Ottocento Elizabeth Street era la strada dei siciliani che la chiamavano "Elisabetta stretta"; all'epoca gli italiani emigrati a New York tendevano a ricreare le loro piccole comunità regionali e di paese nei vari isolati proprio per stare a contatto con le persone che parlavano lo stesso dialetto. Vincenzo e Mary si sposarono nel 1923 e nello stesso anno aprirono insieme il negozio che avrebbe cambiato il destino della loro famiglia.
Vincenzo era un macellaio esperto, ma fu Mary, energica e velocissima, a diventare presto l’anima del negozio. Parlava fluentemente l’inglese e riuscì a conquistare la fiducia del quartiere, in un’epoca in cui non era affatto comune vedere una donna dietro il banco di una macelleria. Dopo la morte prematura di Vincenzo, fu lei a portare avanti l’attività, aiutata dal giovane figlio Moe.
Moe inizialmente non voleva fare il macellaio: sognava di diventare medico. Lavorava anche al mercato del pesce di Fulton Street, ma la morte del padre lo costrinse a rimanere accanto alla madre vedova. Così visse per anni tra due lavori: la mattina al mercato, il pomeriggio nella bottega. Fu solo in età adulta che si dedicò completamente al negozio, mentre Mary ha comunque continuato a lavorare fino a quasi 98 anni. Jennifer ha condiviso con lei parte della sua infanzia e ne conserva un ricordo vivido: “Era una donna straordinaria, non solo per come lavorava, ma per la forza con cui ha tenuto viva questa attività.”
Jennifer è cresciuta a Brooklyn dove il nonno Moe, come molti italoamericani che vivevano a Little Italy, si era trasferito dopo essersi sposato per avere una casa più confortevole. Da bambina andava spesso a trovare il nonno al negozio, poi tornavano a casa insieme e Moe si fermava a cena con lei e la mamma parlando di vita, sogni e futuro. Dopo i settant’anni Moe continuava a guidare fino a Elizabeth Street, ma un giorno, a 93 anni, sbagliò strada e si perse. Da lì, Jennifer gli propose di accompagnarlo lei, non fu facile convincerlo ma il giorno dopo, Moe la chiamò e le chiese di passarlo a prendere.
Da quel momento, ogni giorno divenne un’occasione per imparare. Jennifer studiava recitazione e lavorava a Manhattan, ma ritagliava sempre del tempo per stare col nonno in negozio. All’inizio pensava di aiutarlo per qualche mese, giusto il tempo di sistemare le cose. Ma si accorse subito che quel posto aveva ancora un’anima. Gli affari stavano crescendo e il quartiere riscopriva il valore di quel piccolo baluardo di autenticità.
Nel 2019, Jennifer prese una decisione definitiva. Si fece aggiungere al contratto d’affitto. “Mio nonno mi chiese: ‘E la recitazione?’ E io gli dissi che potevo fare entrambe le cose. Che per me era importante portare avanti la nostra storia.”
Poco dopo, durante una serata tranquilla, Moe le chiese: “Quindi quando io morirò prenderai tu la gestione del negozio?”
“Sì, certo. Penso sarà divertente continuare il tuo lavoro.”
Una frase semplice, come semplice era Moe. Ma quella conversazione segnò un passaggio di testimone che divenne realtà di lì a poco. Moe se ne andò durante la pandemia di Covid, nell’aprile del 2020 poco prima di compiere 96 anni.
Jennifer non si è fermata. Appena ha potuto, ha riaperto. Ha modernizzato la macelleria, introdotto nuovi articoli, lanciato merchandising, organizzato eventi. Oggi il negozio è molto seguito anche sui social, è stato usato come set per serie TV e film, e in alcuni di questi Jennifer ha persino recitato. “Alla fine è stata la recitazione a ritrovare me”, dice con un sorriso.
Si è sposata, con un italiano, e spera di far crescere insieme a lui la macelleria. Per lei, Albanese Meats & Poultry non è solo un’attività commerciale, ma una testimonianza viva di ciò che Little Italy è stata e può ancora essere: una comunità di storie, sapori, famiglie, volti.
E mentre racconta del bisnonno Vincenzo, della bisnonna Mary, di Moe e ora della sua nuova vita, Jennifer continua a servire con orgoglio la stessa comunità che suo nonno accoglieva davanti al negozio, con la sua sedia in strada e un sorriso pronto per tutti: proprio sotto alla scritta con il motto della macelleria: “I GOT'CHA” Steaks.
In un’epoca dominata da consegne a domicilio e supermercati impersonali, Albanese Meats & Poultry resiste come presidio culturale, memoria familiare e simbolo di resilienza.
A “Elisabetta Stretta”, come la chiamavano i primi siciliani, batte ancora un cuore.
Germana Valentini
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