Azionò il telecomando che fece esplodere l’ordigno che, nel 1992, costò la vita a Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta del giudice antimafia. Ma Giovanni Brusca, ex boss mafioso di Cosa Nostra, affiliato alla fazione corleonese guidata da Totò Riina, è considerato, oltre a quelli della strage di Capaci, alle porte di Palermo, responsabile di oltre 100 omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido. Arrestato nel 1996 e successivamente divento collaboratore di giustizia, le sue rivelazioni portarono a numerosi arresti e rivelazioni sull’organizzazione mafiosa. Da oggi, dopo 4 anni di custodia vigilata in seguito alla scarcerazione nel 2021 dopo 25 anni di detenzione, è ufficialmente un uomo libero. Una notizia che ovviamente non ha mancato di suscitare il dibattito, e anche lo sdegno dei familiari di Giovanni Falcone e degli uomini della scorta, così come sdegnò la politica la sua scarcerazione quattro anni fa.
L’ex presidente del Senato ed ex procuratore antimafia Pietro Grasso ammette: “Lo so, la prima reazione alla notizia della liberazione di Brusca è provare rabbia e indignazione. Vale per tutti, anche per me. Ma dobbiamo evitare reazioni di pancia e ragionare insieme. La legge per cui ora, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è considerato libero l’ha voluta Giovanni Falcone, ed è la legge che ci ha consentito di radere al suolo la cupola di Riina, Provenzano e Messina Denaro, che negli anni 80 e 90 ha insanguinato Palermo, la Sicilia, l’Italia. Grazie ai segreti confessati da Brusca infatti abbiamo potuto evitare altre stragi, incarcerare centinaia di mafiosi e condannarli a pene durissime e centinaia di ergastoli”. Secondo Grasso insomma, “con Brusca lo Stato ha vinto tre volte: quando lo ha catturato, quando lo ha convinto a collaborare, ora che è un esempio per tutti gli altri mafiosi. L’unica strada per non morire in carcere come Riina, Provenzano e Messina Denaro è collaborare con la giustizia”.
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