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VALERIO SANZOTTA:
POESIA A RITMO ROCK

VALERIO SANZOTTA: <BR> POESIA A RITMO ROCK

La canzone d’autore italiana ha tra i suoi interpreti più raffinati un professore di lettere, meno conosciuto (per ovvie ragioni di mercato) di Roberto Vecchioni ma decisamente sorprendente. Valerio Sanzotta, docente di filologia della letteratura italiana e fine poeta, ha da poco pubblicato il suo quarto album, “Infinito vuoto attendere” che è una nuova e preziosa tappa nel cammino di questo originalissimo artista che mira ad elevare la canzone a forma letteraria, attraverso vere e proprie poesie in musica, tra rock e folk d'autore. Una “missione di militanza culturale” - la definisce lo stesso Sanzotta – in cui ha coinvolto Andrea Chimenti, esponente della new wave degli anni ’80 (con i Moda) ed oggi cantautore tra i più ricercati, che presta la voce e ha collaborato alla scrittura musicale della title track dell’album (nella scuderia comune ai due artisti, la Vrec Music Label di David Bonato e con la direzione artistica di Marco Olivotto). “Infinito vuoto attendere” è un perfetto manifesto dello stile del cantautore romano in cui le sonorità rarefatte indie, insieme ai testi ricchi di riferimenti letterari, conducono ad una condizione di ascolto magicamente sospeso. Colti rimandi letterari si accompagnano alla purezza acustica della voce e chitarra di Sanzotta, incastonati nella trama indie della band che lo accompagna (Fernando Pantini alle chitarre elettrica ed acustica, Pietro Casadei al basso elettrico, già nei No braino, Fabrizio Fratepietro alla batteria pino marino. I suoi “fratelli in musica”, come li definisce Sanzotta. Una figura assolutamente unica non fosse altro che è l’unico musicista folk-rock eletto nell’esclusiva accademia letteraria dell’Arcadia (con il nome di Callimaco Neridio) per meriti di studio, grazie alla sua ricerca su Giuseppe Enrico Carpani, il maggiore esponente della tragedia gesuitica romana nel ‘700.

Un vero e proprio concept album in cui il metodo compositivo di Sanzotta si è ancora più affinato: “Parto da sequenze di accordi sulla chitarra, da lì costruisco un tema musicale e infine le parole. Si parte da un materiale ampio per poi agire per sottrazione, ridurre all’elemento, condensare nell’essenziale cosicché si arrivi a poche note, parole dense, ognuna sedimentata, carica di senso, in un forte rigore formale. Il Premio Nobel del 2016 a Bob Dylan, seguito a quello a Dario Fo, hanno ampliato i confini della letteratura dalla pagina scritta all’arte performata, dimostrando che anche la canzone d’autore ha un suo peso specifico letterario. E io, molto umilmente, percorro questa sfida, cerco di dare alla canzone d'autore dignità culturale propria, consapevole che il mio lavoro sia certamente controcorrente e che il mio sarà sempre un pubblico elitario. La musica l’ho sempre considerata un hobby di lusso e lo stesso suonare sul palco di Sanremo una esperienza divertente, come quella di un parco giochi…. Penso sia il momento giusto per esplorare nuove strade perché si sta allentando il filo che parte della storica trinità De Andrè-De Gregori-Guccini. La scuola storica è stata, per me come per tutti, molto importante ma ora dobbiamo guardare avanti. E Lucio Corsi, rivelazione dell’ultimo Sanremo ma che io seguivo già da tempo, è un esempio significativo in tal senso. In questa edizione del festival nessuno veniva dai talent dai palchi ma tutti dai palchi, dalla gavetta. Carlo Conti ha fatto una scelta diversa rispetto ad Amadeus che ho apprezzato moltissimo” racconta Sanzotta mentre lo incontriamo nel quartiere romano dove abita da 4 anni, nel suo studio con vista sulla collina di Monteverde Vecchio, da dove si collega anche per le sue lezioni all’Università Pegaso (“Se ho dei fan tra i miei studenti? Certo…” sorride). Uno spazio creativo singolare in cui le Bucoliche di Virgilio si mescolano ai cd country (“una musica senza tempo, perché attraverso la genuinità dei suoi contenuti, nell'ascoltarla è come fare una chiacchierata con George Washington o fumare la pipa con Walt Whitman”), i carmi di Catullo alle ben 7 chitarre che Sanzotta utilizza per comporre, tra acustiche, elettriche e classica. La prima, quella che gli venne regalata dalla madre, nel 1992, quando aveva 13 anni. E immagini della sua infanzia sono quelle che usa per il video di “Never Give Up”, una ballata che affronta il tema della incomunicabilità e del bullismo (“Una sera torni a casa coi lividi sul viso, il sangue dentro il naso, dici che sei caduto”).

 

Riservato, dai modi semplici e gentili (è anche volontario nella mensa domenicale della chiesa di via di Donna Olimpia), lo si può incontrare spesso, con un basco romanticamente in stille chansonnier (d’altronde Georges Brassens e Georges Moustaki aleggiano e con essi anche i nostrani De Andrè e Fossati) mentre passeggia con il suo cagnolino di nome Gulì, come quello di Giovanni Pascoli. “Vado tutti i giorni a Villa Pamphili, un'ora, un'ora e mezza. E’ davvero molto terapeutico - ci racconta -. Fa ritrovare la giusta armonia. A Roma ho cambiato tante case ma qui a Monteverde, dove sono arrivato grazie alla mia compagna, anch’essa docente universitaria, si è creato un vero legame sentimentale, sento di avere trovato le mie radici. C’è una dimensione di paese, si incontrano le persone al bar, si parla con i negozianti e grazie a Gulì ha conosciuto decine e decine di persone, altri padroni di cani. Davvero il clima familiare di Monteverde non l'ho trovato in nessun altro luogo…”.

Un vero e proprio approdo per Sanzotta nella cui poetica è peraltro fortemente presente proprio il tema della perdita, come della nostalgia, dei luoghi della vita, e della caducità dell’esistere. Non a caso Sanzotta (con un video su facebook) ha affidato ai versi di "Congedo di un viaggiatore cerimonioso” di Giorgio Caproni, celeberrimo poeta - peraltro proprio monteverdino -, con la sua “disperazione calma senza sgomento”, una svolta importante della sua vita: quando, nel 2021, ha lasciato Innsbruck ed il suo lavoro di ricercatore al Ludwig Boltzmann Institut für Neulateinische Studien, l’istituto di studi neolatini, per tornare definitivamente a Roma. E portare qui a compimento il suo “Infinito vuoto attendere” in cui si vanno a comporre - come tessere di un mosaico - frammenti di vita, riflessioni liriche, ricerche sonore, risultato di una lunga e sofferta gestazione, attraverso diversi esperimenti stilistici. E’ un percorso raffinatissimo e complesso che Sanzotta esplora senza sconti, scavato, levigato, per arrivare ad una limpidezza finale di suono, ad una parola lirica che ne esca come scolpita, ad una forma letteraria musicale che si fa spazio dell’anima, sospesa, crepuscolare, riverberante, soffusa, malinconica. “Mentre percorrevo poemi di fiumi in fiamme - Versi in musica, parole cantate” chiamò il concerto che tenne ad Innsbruck nel 2019 per presentare “Prometeo liberato” (con  una suggestiva risonanza da “Terra desolata” di Thomas S. Eliot), una sorta di titolo-manifesto della sua esperienza di ricerca, dal primo album “Novecento” nel 2008, che accompagnò anche ad un romanzo “beat” ed una raccolta di poesie (la cui title track in stile dylaniano Sanzotta portò al festival di Sanremo con un testo che citava coraggiosamente la resistenza, la strage di Piazza Fontana, Guido Rossa, Aldo Moro e Berlinguer) e passata per “Prometeo liberato” del 2018 (masterizzato a Londra e prodotto dal giapponese Ari  Takahashi e “Naked (oltre lo specchio)” del 2020 (registrato a Bolzano e prodotto da Lorenzo Scrinzi) con una poesia di Sanzotta, “Ho visto tutti gli occhi”, recitata dal cantautore Giulio Casale). Uscito nell’anno del Covid, quest’ultimo album Sanzotta è riuscito però a presentarlo in un concerto dal vivo (nella finestra di novembre) al Teatro Arciliuto di Roma in un live acustico, solo con chitarra e armonica, intensamente intimo e lirico (che si può trovare integralmente qui:  https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=666761240875211).

Ed ora questo “Infinito vuoto attendere” che contiene “una riflessione esistenziale che porta ad una estrema conseguenza, ad una disillusione definitiva, alla inutilità dell’attesa di un qualcosa che non arriverà mai. Una allegoria della condizione umana…” ci spiega ancora l’artista.

“Aveva visto che il dolore si specchia nella perfezione non meno che nell’orrore degli occhi della Gorgone” canta Sanzotta nel brano che apre l’album, “Haiku sulla Maddalena penitente”, citazione di una statua di Antonio Canova. “Una volta in sogno, un’altra in ombra, così sarai fino alla fine del tempo” una delle strofe di “Persefone” (brano dedicato alla divinità costretta a vivere l’inverno nell’Ade ma libera di tornare sulla terra in primavera) nel quale Sanzotta cita anche i versi in inglese di “The Garden of Proserpine”, poesia del 1866 di Algernon Charles Swinburne, in un sonoro ricamo di chitarra acustica. I versi del sonetto “Ozymandias” di un altro poeta inglese romantico, Percy Bysshe Shelley, compongono il brano omonimo, dal nome greco del faraone Ramsete II: una malinconica, essenziale, ode onirica. “Parola sentinella libertà” ha una dedica a Michela Murgia ed alle “possibilità della parola di ergersi a tutela della libertà e dei valori della democrazia”: “Parola, che non darai pace al sonno di chi può accettare/ Che un uomo muoia in mare,/ Che una foresta bruci,/ Che un uomo muoia in mare,/ Che la sua casa bruci”.

Un omaggio al laico lirismo spiritale di Bob Dylan si trova poi in “Schattentanz” in cui Sanzotta recita dei suoi versi poetici. Echeggiando così l’attenzione del cantautore verso i temi biblici e con essa la vicinanza a Mario Luzi, grande poeta d’elezione per Sanzotta: “Lungo le rive dei fiumi di Sion ho visto braccia magre, divorate dalla fame dei nosocomi, labbra prosciugate dalla sete dei moribondi, ho ascoltato pronunciare l’anatema con le orecchie ancora inesplose”.

Ed ancora ecco la figura paterna dolce e disperata di “I gave way”, la malinconia di “Tu non ricordi nulla” (“Tu non ricordi nulla del sole e della luna, l’argilla che si scaglia e che si avvena. Quel porto sepolto raccoglie mareggiate, faglie sul tuo volto inabitate?”). L’amore (mai sopito) per Neil Young emerge nel carezzevole “Palermo” (“Ci fosse un poco di pace/ Ché la pace basta;/ Pietà e innocenza/ Di chi va e chi resta”). E poi c’è una splendida cover in italiano di “Famous Blue Raincoat” di Leonard Cohen in cui Sanzotta trasporta a Berlino la New York decadente del songwriter canadese, esemplare per le sonorità di suggestione stregante che caratterizzano l’album, altro lavoro in cui la doppia lettura musicale e letteraria è fortemente intrecciata. La chiusura è con “Notturno” (al pianoforte Olivotto), rarefatti echi di Luigi Tenco ma anche un richiamo alla tradizione ottocentesca pianistica nata per trasportare chi ascolta in una condizione di magica introspezione.

La poesia di Valerio Sanzotta ha trovato spazio nel 2021 in una delle maggiori riviste di settore, Pioggia Obliqua (con una raccolta dal titolo “Infinito sereno autunnale”, link: https://www.pioggiaobliqua.it/poesia-proposta-antonietta-bocci-valerio-sanzotta) e tra i suoi estimatori vanta il latinista e poeta Alessandro Fo, nipote del commediografo premio Nobel. Nella pubblicazione si trova una dedica alla cantante Diana Tejera (la cantautrice romana con cui Sanzotta ha cantato il brano “It’s sunday in this mirror”, singolo uscito in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne del 2019 e contenuto in “Naked (oltre solo specchio)”, album tutto dedicato alla figura femminile). Si tratta di una intensa traduzione de “Il Dio abbandona Antonio” di Constantino Kavafis, poesia che ha ispirato anche la canzone “Alexandra Leaving” di Leonard Cohen del 2001 (“Salutala Alessandria, che tu perdi. Non dire è stato un sogno, non illuderti che si ingannò l’udito, invano speri” traduce il cantautore-poeta). Proprio il musicista canadese, come altri grandi interpreti del cantautorato folk-rock in lingua inglese, ha accompagnato negli anni il complesso cammino di Sanzotta.

Ecco quindi le tante intense cover presenti in tutti i suoi lavori: “Absolutely sweet Marie” di Bob Dylan e “Jerusalem” di Steve Earle (in “Novecento”); “Good Woman” di Cat Power (in “Prometeo liberato”), “Visions of Johanna” di Bob Dylan (in “Naked”). Ed ancora le canzoni-omaggio “Lonely down the river Ophelia goes” da “Ophelia” di Peter Hammill (che ha personalmente approvato la citazione!), “Dove sei, Mary Ann?” per Syd Barrett, “Moonshiner” (ispirata alla drink song popolare statunitense), “Gelsomina” (che evoca “Just like a woman” di Bob Dylan ma anche la protagonista del film “La strada” di Federico Fellini) – tutte in “Prometeo liberato” - ed “Anche tu (song for Nick Drake)" (in “Naked”): “Una straordinaria figura di cantautore che non ha mai nascosto la propria delicatezza, il proprio candore, la sua eccentricità anche nei confronti del luogo comune delle celebrità morte per droga. Nick Drake se ne è andato giovanissimo, nella propria cameretta, sconosciuto a tutti” ricorda l’autore. Con una tale ricchezza e complessità di rimandi letterari, Sanzotta, al contrario di molti suoi colleghi musicisti, non mostra preoccupazioni sullo sviluppo dell’intelligenza intelligenza artificiale: “E’ uno strumento come un altro e non sarà mai in grado di fare un'opera d'arte. Sarà in grado certo di comporre una canzone così come è in grado di fare un dipinto nello stile di Caravaggio ma quella non sarà mai un'opera d'arte ma sempre una riproduzione, un esercizio di stile. Mi preoccupa piuttosto la capacità di riprodurre la voce umana in modo così fedele, un suo utilizzo a scopo manipolatorio. In questo bisogna tenere alta l’attenzione”.

 

 

Il canale youtube di Valerio Sanzotta

https://www.youtube.com/channel/UCrs94i7mCjdNPT-TdZ3WD8g

 

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