È stata inaugurata il 1° luglio, negli spazi di PRIMO PIANO di Palazzo Grillo a Genova, “Hypersea. Viaggio tra ecosistemi controllati e detriti invisibili”, la mostra fotografica di Gianmarco Maraviglia visitabile dallo scorso 2 luglio fino al 15 agosto. Per l’occasione sarà presente l’autore in dialogo con Chiara Oggioni Tiepolo e Gloria Viale, curatrici della mostra. L’allestimento, composto da circa 30 fotografie, rappresenta il mare come una mescolanza di realtà biologica, tecnologia, simulazione, plastica, cura e controllo. Un ecosistema contorto e distorto da forze antropiche, chimiche, visuali. Una forma di post-mare. Behind the glass – la realtà filtrata e Mermaid tears sono i due progetti fotografici di Gianmarco Maraviglia che dialogano in “Hypersea”, testimoniando la sua attenzione ai temi della sostenibilità e della preservazione e cura del pianeta. Il primo, parte dal presupposto che ogni rappresentazione della realtà, anche quella fotografica, è inevitabilmente filtrata e soggettiva. Le fotografie che l’autore ha scattato all’Acquario di Genova rappresentano un’indagine sul rapporto fra le grandi strutture che ospitano animali e la capacità di questi ultimi di adattarsi a un ambiente verosimile. Le immagini mostrano infatti animali in ambienti artificiali che sembrano naturali, inconsapevoli protagonisti di un “copione” pensato da altri. Maraviglia indaga il confine tra libertà e cattività, mettendo in discussione il nostro ruolo di osservatori e la presunta superiorità umana. Questo scambio di prospettiva diventa evidente quando gli uomini, gli addetti ai lavori, appaiono all’interno delle vasche e gli animali sembrano osservare il mondo umano, suggerendo un’inversione di ruoli. “Con questo progetto - sottolinea Maraviglia - volevo raccontare il dietro le quinte, il rapporto quotidiano tra lo staff e gli animali, fatto di cura, attenzione e gesti ripetuti. Mi colpiva la forza attrattiva di un ambiente così artificiale. Ho voluto mostrare come, in questi luoghi, l’uomo crea e mantiene un ecosistema, ma finisce per dipendere dagli animali tanto quanto loro da lui. In qualche modo, siamo tutti un po’ animali in cattività”. Mermaid tears affronta invece il tema dell'inquinamento marino da microplastiche, in particolare i pellet industriali noti come "lacrime di sirena". Queste piccole sfere, simili a perle ma altamente inquinanti, non sono rifiuti degradati ma materie prime usate nella produzione della plastica; a livello mondiale si stima che più di 250.000 tonnellate di questo materiale vengano riversate ogni anno in mare. Presenti ovunque sulle coste mediterranee, vengono spesso ingerite dai pesci, che le scambiano per uova, rischiando l’avvelenamento o il soffocamento. “Per gli antichi greci, le perle erano le lacrime degli dèi. Minuscole gocce che si cristallizzavano nella loro discesa dal cielo. Dando vita, appunto, a qualcosa di celestiale. Anche questa storia parla di perle, di gocce d’acqua e di mare, ma non di bellezza, tantomeno di meraviglia”, precisa l’artista che ha deciso di raccontare il tema in forma estetica, leggera e gradevole, per riflettere sulla pericolosa attrazione che queste “false meraviglie” esercitano, contribuendo a renderne socialmente tollerabile la presenza nonostante il loro impatto devastante sull’ecosistema marino. “Ed ecco dunque che in ‘Hypersea’ appare da un lato l’acquario come modello iperrealistico del mare, confinato, illuminato, sezionato eppure in qualche modo protetto. Dall’altro le microplastiche come frammenti concreti, ma invisibili, presenti ovunque: una realtà parallela che si insinua nel mare. Fuori dal mare un modello posticcio ma che mette al sicuro i suoi abitanti, sotto la superficie piccoli oggetti quasi invisibili che rappresentano tuttavia un pericolo per la popolazione sottomarina”, conclude la curatrice Chiara Oggioni Tiepolo. Il progetto espositivo è stato realizzato in collaborazione con Quadruslight - Key Gallery per le opere retroilluminate, e con il partner tecnico Top Color per le stampe realizzate su carta. Ingresso libero e gratuito. Gianmarco Maraviglia (1974) è un fotografo, fotogiornalista autore e artista visivo. Diplomato in fotografia all’Istituto Europeo di Design (IED), dove attualmente insegna fotografia, lavora soprattutto su progetti di ampio respiro, su temi multiculturali e sociali. Le sue storie, sui grandi temi del contemporaneo, sono state pubblicate da alcuni dei più importanti media nazionali e internazionali, come Repubblica, Sette Corriere della Sera, Panorama Der Spiegel, Washington Post, National Geographic e tantissimi altri. Le sue immagini sono state esposte in diverse mostre personali in Italia e all'estero e festival internazionali, e fanno parte di alcune collezioni personali. È stato il vincitore della prima edizione di ISPA - Italian Sustainability Photo Award e fondatore e direttore dell'agenzia Echophotojournalism, un collettivo di fotografi che per anni hanno raccontato le grandi storie del nostro pianeta. (gci)
IL MUSMA DI MATERA PRESENTA “DADAMAINO. SEGNI, GRAFIE, SPAZI”
Il MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea di Matera ha presentato la mostra “Dadamaino. Segni, grafie, spazi”, a cura di Flaminio Gualdoni, inaugurata il 5 luglio negli spazi suggestivi di Palazzo Pomarici, nel cuore dei Sassi di Matera, e visitabile fino al 5 ottobre. La mostra propone una significativa selezione di opere realizzate tra il 1975 e il 1996 da Dadamaino (pseudonimo di Edoarda Emilia Maino, 1930–2004), figura centrale dell’arte visiva del Novecento italiano e internazionale. Provenienti in gran parte dall’Archivio Dadamaino, le opere in mostra includono anche alcuni lavori inediti in ceramica realizzati a Matera negli anni Settanta, presso la bottega del maestro ceramista Giuseppe Mitarotonda. Tra i nuclei principali in esposizione figurano le serie: Inconscio razionale (1978), I fatti della vita (1978–1982), Costellazioni (1981–1987), Il movimento delle cose (1987–1996). “Nel percorso espositivo emergono con forza la radicalità e la coerenza del linguaggio di Dadamaino, che – come spiega il curatore Flaminio Gualdoni, storico dell’arte e profondo conoscitore dell’artista – dichiara come il suo intento maggiore fosse la sorta di purificazione assoluta del segno nello spazio: un segno che dichiari solo se stesso, la propria fisiologia, la propria autonoma capacità di senso”. Un legame profondo unisce l’artista milanese alla città di Matera, già al centro, nel 1978, di una straordinaria stagione artistica che vide protagonisti artisti come Pietro Consagra, impegnati nel promuovere la salvaguardia culturale dei Sassi. Lo ricorda Simona Spinella, curatrice del MUSMA: “L’installazione I fatti della vita, per data, modalità di esplorazione e uso dello spazio come linguaggio, ci riporta proprio all’azione di Consagra. Anche lui usa la parola per denunciare, scrivendo la celebre Lettera ai materani, in cui invita a costituire un Fronte dell’Arte per salvare i Sassi. Il fronte fu costituito il 20 ottobre 1978. Tra i firmatari, oltre a Consagra, anche Dadamaino, Bonalumi, Carmi, Castellani, Dorazio, Franchina, Nigro, Perilli, Pozzati, Rotella, Santomaso e Turcato”. In mostra saranno esposte tre opere in ceramica – due terraglie e il piatto “Fronte dell’Arte” – prodotte nella bottega di Mitarotonda: testimonianza della sperimentazione e della versatilità tecnica di Dadamaino. Fernando Colombo e Nicoletta Saporiti, direttori dell’Archivio Dadamaino, sottolineano l’importanza della scoperta: “Come Archivio ci è particolarmente gradita la possibilità offertaci dal MUSMA di esporre il ciclo di opere realizzate da Dadamaino a partire dal 1975. Opere meno conosciute e tuttavia particolarmente originali. Ancor più gradito è aver scoperto, novità assoluta per l’Archivio, la presenza nel 1975 di Dada accompagnata da Andrea Cascella, a Matera presso la bottega del maestro ceramista Giuseppe Mitarotonda. Di questa visita rimangono tre opere che saranno presentate nella prossima mostra presso il MUSMA”. (gci)
“LA CITTÀ DELLE DONNE”: L’OMAGGIO A LORENZO BONECHI A 70 ANNI DALLA NASCITA
A settant’anni dalla nascita di Lorenzo Bonechi (Figline Valdarno, 1955 – 1994), il Museo Novecento di Firenze rende omaggio all’artista valdarnese con una mostra personale composta da 25 opere che dialogano con la collezione permanente del museo. L'esposizione dal titolo “La città delle donne”, a cura di Sergio Risaliti ed Eva Francioli e in collaborazione con l’Archivio Lorenzo Bonechi, ha aperto il 4 luglio e sarà visitabile fino al 29 ottobre. Lorenzo Bonechi, attivo dalla fine degli anni Settanta, prende parte al fervente panorama artistico degli anni Ottanta, segnati non solo dalla Transavanguardia, ma anche dall'Anacronismo e dalla Pittura colta. Artefice di una ricerca fondata sul disegno, sperimenta incisione e scultura, per poi dedicarsi, a partire dal 1982, quasi esclusivamente alla pittura, utilizzando tempera e olio. “Il Museo Novecento ospita questa mostra dedicata a Lorenzo Bonechi, un artista valdarnese di straordinaria profondità, a settant’anni dalla sua nascita - ha detto l'assessore alla cultura Giovanni Bettarini - ‘La città delle donne’ ci offre l’opportunità di esplorare il suo universo artistico, dove figure eteree e sacre si intrecciano con paesaggi e architetture minimali, creando un dialogo tra spiritualità e umanità. Questa esposizione, curata dal Museo Novecento e in collaborazione con l’Archivio Bonechi, rappresenta un omaggio doveroso a un artista che ha lasciato un segno indelebile nel panorama internazionale”. “Al Museo Novecento compete la valorizzazione delle proprie prestigiose collezioni, la scoperta di giovani talenti, il recupero di figure artistiche magari poco considerate nel gioco dell’arte nonostante il valore indubbio della loro produzione. Mostre come questa dedicata a Lorenzo Bonechi nascono con l’intento di ricostruire il corso delle vicende storiche e quindi riposizionare l’artista laddove merita, tra i maggiori protagonisti dell’arte italiana e non solo del nostro tempo. Bonechi è stato pittore e scultore di straordinaria densità spirituale e poetica, figura appartata, coltissima e sensibilissima, visionaria nel senso vero dell’arte, interprete di iconografie che esprimono la tensione umana verso l’assoluto, il desiderio inalienabile di trascendenza, il riverbero in terra delle armonie del cosmo - ha detto Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento - Bonechi ha saputo evocare, con una lingua pittorica colta e ispirata, una dimensione altra, dove la pittura si fa soglia verso il sacro e il tempo dell’immagine si espande in una meditazione senza fine. Le sue figure femminili, ieratiche, eteree e insieme profondamente umane, ci guidano in un viaggio iniziatico, che affonda le radici nella memoria iconica del Trecento e nel silenzio delle icone bizantine, per farsi parabola universale di bellezza, purezza e rivelazione. ‘La città delle donne’ è allora anche un luogo mentale e simbolico, dove si celebra la presenza del femminile come principio generativo e salvifico, come manifestazione di una spiritualità antica e attualissima. Un messaggio che restituisce in ultima sacralità alla dimensione politica e delle relazioni sociali”. “Le figure femminili di Lorenzo Bonechi ci raccontano di un’umanità contingente eppure eterna, fissata in una dimensione senza tempo che vivifica lo spazio attraverso pose fisse e immutabili. Abbigliate con abiti semplici e contemporanei, l’artista studia e ricostruisce nel dettaglio le loro figure a partire dall’osservazione dal vero - ha affermato Eva Francioli, co-curatrice della mostra - Attraverso il disegno fissa le immagini osservate e rivissute nella memoria, spesso ricorrendo all’ausilio di scatti fotografici che ritraggono modelle in posa. È un’umanità allo stesso tempo reale e ideale, dalla duplice natura terrena e divina, quella narrata da Bonechi. L’artista, sempre rigorosamente fedele a sé stesso, ai propri principi, attraversa i paesaggi della sua terra d’origine e li rilegge facendo risuonare le armonie in essi nascoste. Le proporzioni della campagna toscana e dei borghi che ne costellano il territorio ritornano, idealizzate, nelle Città celesti. Queste architetture, ridotte all’essenziale e rese con rigorosa proiezione geometrica, sembrano discendere da una visione interiore: evocano le ‘visioni di Gerusalemme’ dell’Apocalisse di San Giovanni, la città santa che discende dal cielo ‘pronta come una sposa adorna per il suo sposo’ (Ap 21,2). In esse si manifesta un’idea di armonia ultima, di trasfigurazione dell’umano nel divino, di città come corpo mistico e specchio del destino ultimo dell’umanità. In questo senso, Bonechi si pone in una linea ideale che attraversa la tradizione cristiana, ma anche la riflessione civile di pensatori come Giorgio La Pira, per il quale la città non è soltanto luogo dell’abitare, ma forma terrena di una vocazione spirituale e comunitaria. Come per La Pira, anche per Bonechi la città sembra quindi costituire una sorta di profezia e promessa: immagine visibile dell’invisibile, luogo in cui l’umano si prepara a incontrare il divino. La costruzione delle Città celesti procede così per contrasti armonici tra primari e complementari, tra la precisione delle linee e l’intensità spirituale della luce, tra la severità delle forme e la dolcezza dei volti. Con la maestria derivata dalla conoscenza dei grandi artisti del passato, Bonechi sperimenta geometrie che evocano dinamiche non di questa Terra, ricordandoci come l’essenza della realtà sia di fatto impossibile da cogliere con i soli sensi, ma richieda un ulteriore salto nel mistero, uno slancio di fede che apre squarci su un altrove che è già qui”. Profondamente radicato nella cultura toscana, Bonechi guarda con attenzione all’arte del Trecento e del Quattrocento, approfondisce la tradizione bizantina e quella delle icone russe, unendo l’indagine spirituale allo studio delle fonti storiche e letterarie. Nascono così opere intrise di riferimenti alla pittura antica e alle iconografie sacre, in un percorso caratterizzato da una rara coerenza espressiva. Nei suoi primi lavori emerge un segno mosso e franto, che evolve, tra il 1986 e il 1987, in una nuova essenzialità: rigore compositivo e campiture di colore nette, tese verso una fissità quasi mistica. Dall’inizio degli anni Novanta, la sua produzione si apre tuttavia a una nuova gestualità, che aggiorna la sua costante ricerca di equilibrio tra spiritualità e umanità. La mostra intende valorizzare in particolare il ruolo della figura femminile nell’opera dell’artista. Donne eteree ma concrete, collocate tra paesaggi armoniosi e architetture minimali, appaiono talvolta come sante eremite, talaltra come protagoniste di una sorellanza ispirata. Solitarie o in gruppo, si presentano come emanazioni di una doppia natura, terrena e divina, evocando al tempo stesso sia immagini della cristianità che le Korai greche, a proposito delle quali lo stesso Bonechi annotava nel proprio diario: “Sono in sostanza corpi umani in cui si vuol esaltare la più perfetta delle forme create, la più amata dagli dèi […]. Queste statue al primo momento ci possono apparire rozze, rigide, assenti, ma sono le prime emozionanti rappresentazioni dell’uomo […] nella assoluta nobiltà della sua forma”. La mostra attraversa alcuni dei temi più ricorrenti nella pratica dell’artista: le figure sospese nel tempo, l’indagine sulla sacralità dell’esistenza, la Città celeste, il paesaggio – antropizzato o naturale – che diventa talvolta protagonista assoluto della rappresentazione. L’esposizione al Museo Novecento vuole così gettare nuova luce su un artista di straordinaria profondità, prematuramente scomparso, ma già in vita apprezzato a livello internazionale. Le sue opere sono state presentate in prestigiosi musei e gallerie: dal National Museum of Modern Art di Tokyo alla Tate Gallery di Londra, dallo Smithsonian Hirshhorn Museum di Washington alla Sperone Westwater Gallery di New York. La critica e il mercato hanno riconosciuto il valore del suo linguaggio personale, tanto da celebrarlo post mortem alla 46esima Biennale di Venezia (1995). Le sue opere sono oggi conservate in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui il Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, la Tate Britain, il Philadelphia Museum of Art e il National Museum of Modern Art di Tokyo. (gci)
A TIVOLI (RM) “VENERE&MARTE” DI ANNA FRANCESCHINI
L’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este - VILLAE di Tivoli, mercoledì 2 luglio presso l’Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore di Tivoli, ha presentato la mostra “Venere&Marte” dell’artista Anna Franceschini, che si propone di omaggiare il sito archeologico, le sue collezioni e la sua storia industriale. La mostra (aperta al pubblico fino al 15 novembre) rappresenta l’esito del progetto di committenza con il quale l’Istituto ha vinto l’avviso pubblico Strategia Fotografia 2024 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e documenta, attraverso un corpus di 12 fotografie analogiche, un momento di riattivazione scenografica del Santuario di Ercole Vincitore. Il monumentale sito archeologico, ancora poco conosciuto rispetto alla maestosità delle vicine Villa Adriana e Villa d’Este, è stato scelto per ospitare un apparato scenotecnico capace di richiamarne sia l’antica natura devozionale, sia il cruciale passato industriale. In epoca moderna, infatti, il Santuario di Ercole Vincitore ha ospitato armerie, polveriere, una cartiera e la prima centrale per la corrente alternata d’Italia. Le fotografie esposte sono il risultato di un allestimento creato grazie a elementi provenienti dall’archivio dell’artista attivati dall’energia elettrica prodotta da una bobina di Tesla e sono capaci di esaltare nel sito, ancora oggi, le stesse suggestioni che un tempo avevano tanto affascinato i pittori fiamminghi. Brueghel il Vecchio visitò la fonderia e la scelse come ambientazione per la sua Allegoria del Fuoco e per l’Allegoria dell’Amore, a cui è ispirato il titolo della mostra, realizzata a quattro mani con Rubens. Nell’ambito del progetto sono stati inoltre valorizzati reperti archeologici provenienti da scavi clandestini sul territorio italiano, rimpatriati in seguito alle indagini del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e assegnati all’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este, che ne assicura la tutela e la pubblica fruizione. I 12 scatti analogici sono realizzati con l’eccezionale macchina Polaroid 20x24, la più grande macchina istantanea al mondo, resa disponibile dalla Fondazione Polaroid a un selezionato gruppo di artisti internazionali. Le fotografie entreranno a far parte della collezione dell’Istituto e saranno esposti in maniera permanente presso il DEPOT-Deposito di Arte Contemporanea del Santuario di Ercole Vincitore. L'acquisizione digitale degli scatti d'artista sarà caricata nel Portale Fotografia MiC. (gci)
ORTO BOTANICO DI ROMA, PLATANO CADUTO DIVENTA INSTALLAZIONE
Fino al 31 luglio, presso il Museo Orto botanico di Roma, in collaborazione con il Polo Museale Sapienza e Ipassi Studio Arti Visive, si tiene la mostra “Il battito evocato” di Francesco Bartoli, progetto vincitore del bando per la selezione di progetti di Arte contemporanea indetto dal museo. L’esposizione presenta il risultato di un progetto site-specific che Bartoli ha condotto nel corso degli ultimi 6 mesi presso un luogo da lui scelto all’interno dell’Orto. Cosa rimane della linfa vitale di un albero secolare abbattuto? Come ci rapportiamo a qualcosa che finisce? Il battito evocato è una ricerca ampia e profonda che l’artista ha portato avanti dall’inizio di quest’anno, instaurando una relazione dialogica e di ascolto con il gigantesco tronco del platano orientale, che giace nell’Orto Botanico di Roma, abbattuto da una tempesta nel 2011. Il lavoro è un percorso site-specific di carta, torba e carbone che unisce frottage, scultura, pittura, suono e video-performance, dando vita a un’opera sincera e diretta, che riflette sulla fase discendente di una specie vegetale e che dimostra come l’artista abbia creato un legame con l’albero. Francesco Bartoli si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove segue i corsi dell’artista Luciano Fabro. Nella sua ricerca artistica fonde il disegno con altre discipline artistiche come il frottage (stampa diretta su carta), il video, l’animazione e la performance. Nel corso dei 15 anni trascorsi all’estero, sviluppa molti progetti interdisciplinari, tra cui vale la pena menzionare le mostre personali al Museo nazionale di Scultura di Valladolid (Spagna) e il Museo d’Arte romana di Mérida (Spagna) con l’istallazione - film in16mm. a colori Una forma in comune e la partecipazione al progetto della 54. Biennale di Venezia Padiglione Italia nel mondo con la sua mostra personale El Escondite all’Istituto italiano di cultura di Madrid (Spagna). I suoi lavori sono stati esposti in diversi musei e istituzioni internazionali e, tra i riconoscimenti ricevuti, vale la pena ricordare il premio Aiuti all’arte contemporanea (2010) del Ministero della Cultura spagnolo, Italian council X e PAC2021 del Ministero della Cultura italiano e le selezioni ai festival internazionali di documentari e fotografia PhotoEspana 2010 e Documenta Madrid 2011. Regista e produttore del progetto In search for nothing (2016), docufilm con migranti minori non accompagnati presentato in numerose istituzioni italiane tra cui Farm cultural park e Museo Macro di Roma. Tra i suoi ultimi progetti e mostre internazionali, le mostre personali Scolpire la memoria alla Dìnamo Gallery di Esap Porto (2021) ed Ecos: la fuerza de los fragmentos al Museo Eac - Espacio de arte contemporaneo di Montevideo (2024), in collaborazione con Ministero della Cultura uruguaiano e IIC di Montevideo. Ultima mostra personale in Italia al mudaC - Museo delle Arti Carrara con il film e progetto espositivo vincitore del PAC2021 Scolpire il vento (2023) a cura di Laura Barreca. (redm)
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