“Negli ultimi mesi numerosi consumatori che utilizzano i social media hanno segnalato di essere stati destinatari di richieste di risarcimento danni da parte di studi legali che assistono sedicenti titolari di profili social (instagram/tik tok ecc), paventando denunce querele e/o richieste di risarcimento in sede civile. Sembra si stia verificando il caso di una ‘pesca a strascico’ da parte di legali che si sarebbero specializzati in questo settore, a mezzo invio di raccomandate-fotocopia, per trasformare anche un vecchio commento, ritenuto offensivo, in opportunità di guadagno”. Lo si legge in una nota della dell’Associazione Codici Lombardia il cui segretario Davide Zanon afferma: “Vi segnaliamo che in caso di insulti e post di contenuto offensivo sui social, seguite da richieste di risarcimento, è prima di tutto necessario distinguere tra diffamazione e ingiuria. La diffamazione, che implica offese rivolte a una persona in sua assenza e in presenza di più soggetti, può comportare conseguenze penali e civili, inclusa la richiesta di risarcimento danni. L'ingiuria, invece, è un'offesa rivolta direttamente alla persona presente e può essere perseguita solo in sede civile. Anche la stampa ha dato rilievo questo fenomeno, evidenziando le modalità spregiudicate con cui viene condotto, poiché, pagando la somma richiesta, la situazione si chiude e non si va davanti al giudice – continua Zanon -- In particolare, si rileva che nelle raccomandate inviate, i legali sostengono che il loro cliente non si sia accorto subito del messaggio ritenuto offensivo, ma se ne sia avveduto solo successivamente. Questo perché, per sporgere querela, la persona che si ritiene diffamata ha tre mesi di tempo da quando ha avuto conoscenza del presunto reato. D'altro canto, se il presunto offeso era on line non sussiste diffamazione bensì ingiuria.” Le raccomandate, che assumono spesso la forma di invito alla negoziazione assistita, si concludono con indicazione della richiesta di una certa somma, quantificata secondo le tabelle stabilite per legge. Tuttavia, dai predetti documenti non si evince chiaramente se il soggetto che avanza la richiesta sia effettivamente colui/colei che sarebbe stato offeso dal commento. “Per difendersi da richieste di risarcimento siffatte, che potrebbero anche essere truffaldine, è fondamentale verificare che il titolare del profilo social (instagram/tik tok ecc.), coincida con il richiedente, raccogliere prove e, se necessario, consultare un avvocato per valutare la situazione. Si raccomanda di non cadere in evidenti provocazioni dirette a farsi fare un commento offensivo, perché potrebbe essere un modo per riuscire poi a richiedere il risarcimento” conclude la nota dell’associazione di difesa dei consumatori. (16 lug - red)
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