di Paolo Pagliaro
Se in nome della globalizzazione il mondo di qualche anno fa si preparava, nonostante tutto, alla pace, il nostro sembra prepararsi sempre di più alla guerra.
Sembra scomparsa l’attitudine alla diplomazia preventiva che avevamo conosciuto nella fase di ascesa dell’ordine liberale. E come fa notare il professor Alessandro Colombo in un’analisi (agghiacciante) pubblicata su Eticaeconomia.it, è entrata clamorosamente in crisi la pratica del negoziato, non solo perché mancano quasi sempre negoziatori credibili ma perché manca sempre di più l’idea stessa della negoziabilità dei conflitti; se i conflitti sfuggono agli strumenti diplomatici è perché ormai sfuggono prima di tutto alle nostre categorie cognitive.
Il bullismo sguaiato di personaggi come Donald Trump, Dmitrij Medvedev, Mark Rutte, segretario generale della Nato, o le pratiche omicidiarie di un regime, quello di Netanyahu, che osa definire “errore tecnico” la strage dei bambini palestinesi, – non trovano contrappesi e freni nell’autorità delle grandi organizzazioni multilaterali travolte anch’esse da quella che Colombo definisce “una crisi spaventosa delle regole della convivenza internazionale”. Una crisi che, ai cittadini europei e americani, si presenta oggi sotto la forma della guerra dei dazi e dei suoi contraccolpi sulla stabilità e l’apertura dell’economia globale.
Sono annunci di altri possibili conflitti armati. E’ diventato urgente che chi ha voce la alzi, che non si ceda alla rassegnazione, e che le classi dirigenti siano chiamate a rendere conto di quello che fanno e di quello che (non) dicono.