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direttore Paolo Pagliaro

LAVORO: LA DIFFERENZA
TRA ITALIA E GERMANIA

LAVORO: LA DIFFERENZA <br> TRA ITALIA E GERMANIA

di Paolo Pagliaro

Nel periodo 2000-2013 la Germania con una crescita inferiore all’1,5% annuo ha aumentato l’occupazione di quasi il 10%. Nel 2009, con un pil negativo del 5,5%, il monte ore calò da 60 a 58 miliardi ma l’occupazione non fu intaccata perché si operò una redistribuzione del lavoro. Merito delle politiche introdotte dal governo Schroeder: il Kurzarbeit, cioè l’orario corto, il blocco degli straordinari, i contratti di solidarietà per evitare licenziamenti, le indennità di disoccupazione legate al reimpiego obbligatorio, il pensionamento progressivo, gli incentivi al part time.
La Germania non è l’unico caso di politiche occupazionali di successo in situazioni d’emergenza. Austria, Olanda, Francia, Finlandia, Svezia, Norvegia e Gran Bretagna sono altri paesi che adottando specifiche politiche del lavoro, sono riusciti a difendere i livelli occupazionali in periodi di bassa crescita.
L’Italia, invece, nel periodo 2000-2013, con lo stesso tasso annuo di incremento del Pil intorno all’1%, ha ottenuto risultati opposti, aumentando la disoccupazione, soprattutto quella giovanile.
Perché à successo prova a spiegarlo Nicola Cacace, ex presidente di Nomisma e fondatore dell’Isrl, al quale si devono i dati citati. E’ successo perché l’Italia ha fatto politiche sbagliate, agevolando gli straordinari, finanziando col contagocce i contratti di solidarietà, aumentando l’età pensionabile a 67 anni e rifiutando l’idea che sia possibile ritirarsi prima rinunciando a una parte dell’assegno.
Il risultato è l’Italia ha una durata annua del lavoro di 1800 ore contro le 1500 degli altri paesi, che significa il 20% di orario in più, che a sua volta significa 4 milioni di potenziali occupati in meno.
Non è del tutto vero, insomma, che il lavoro non si può creare per legge. (6 ott)

(© 9Colonne - citare la fonte)