di Paolo Pagliaro
Abolito, sia pure gradualmente, il finanziamento pubblico ai partiti, dallo scorso anno c’è la possibilità di versare ad essi il 2 per mille della propria Irpef. Sempre per finanziare la politica – che viene considerata un bene pubblico meritevole di sostegno – è possibile usufruire di uno sconto del 26% sulle imposte dovute per erogazioni liberali comprese tra i 30 e i 30 mila euro. Nel 2014, primo anno di sperimentazione, i risultati sono stati più che deludenti. I dati dell’Agenzia delle entrate, dicono che solo 16.500 contribuenti hanno deciso di utilizzare questo canale per finanziare la politica. In totale sono stati destinati ai partiti circa 325mila euro, 200 mila dei quali per il Partito democratico, scelto da circa 10mila donatori per una media di 20 euro a testa. Vale la pena di ricordare che la legge aveva previsto una copertura, per il 2014, di oltre 7 milioni di euro, che quindi resteranno nelle casse dello Stato.
Quello che colpisce, al di là di ogni considerazione sul modo migliore di garantire la sopravvivenza dei partiti, è il grande errore di valutazione sulla risposta che i cittadini avrebbero dato di fronte a una proposta non coercitiva, ma per dir così “collaborativa” della politica.
C’è stato, sempre in questi giorni, un altro esempio dell’incapacità di comprendere umori e aspettative dell’opinione pubblica, o meglio delle persone in carne e ossa che la compongono. Dopo aver discusso a lungo e appassionatamente i pro e i contro della possibilità di farsi anticipare la liquidazione del Tfr in busta paga, e dopo aver varato la riforma all’inizio di aprile, ora si è scoperto che in due mesi hanno chiesto l’anticipo del Tfr poche centinaia di aventi diritto: per l’esattezza 567 lavoratori su un milione di retribuzioni esaminate.
2 per mille e Tfr sono solo due conferme – insieme all’astensionismo - di quanto per la politica sia diventato enigmatico il paese reale. (8 giu)