di Paolo Pagliaro
(5 gennaio 2016) “Mi sono convinto dei nostri torti, ma non mi avete convinto delle vostre ragioni”. E’ il motto che Vauro Senesi - uno dei pochi comunisti sopravvissuti alla rottamazione e alla damnatio memoriae - ha in mente di usare come epitaffio.
Nell’attesa, ha consegnato ai contemporanei una grande antologia delle sue opere, 1300 vignette con le quali in 40 anni ha raccontato il mondo attraverso la satira. A casa ha disegnato quelle destinate ai lettori del Male e di Cuore, di Boxer e di Linus, del Manifesto e del Fatto quotidiano, in diretta tv ha realizzato quelle per la più vasta platea delle trasmissioni di Santoro, da Sciuscià a Servizio Pubblico.
Vauro pensa che la satira non vada confusa con la comicità e che per una vignetta la risata al massimo possa essere un valore aggiunto, o un danno collaterale. La satira è scandalo perché sbeffeggia la sacralità del potere, e lo riduce alla sua miseria. “La morte ci fa sentire vivi” fa dire Vauro ai brigatisti che nel 1985 uccidono Ezio Tarantelli.
Convinto che il modo più curioso e obiettivo di guardare il mondo sia quello dei bambini, Vauro li utilizza spesso con funzioni maieutiche. Dovendo commentare l’arrivo del digitale terrestre, al piccolo che gli chiede cosa sia il pluralismo, papà Vauro può dunque spiegare che il pluralismo è la libertà di vedere la stessa cosa su canali diversi. Anche in questo caso c’è poco da aggiungere.
Di Vauro resteranno anche alcuni mirabili affreschi, come quello firmato Patonza da Volpedo e alcune solenni istantanee con l’habemus Pampa per Bergoglio, l’habemus Papi per Berlusconi e quell’ “entra l’imputato si alzi la corte” che consegna alla storia Gianni Agnelli e l’idea che tutti ne avemmo. Ma naturalmente nel “Tutto Vauro” c’è molto di più.