ENRICO BRIZZI E “IL CAVALIERE SENZA TESTA”
“L’origine è la meta”. Questa famosa formula di Karl Kraus potrebbe riassumere, indicandolo, il significato più profondo del viaggio tra campagne, città e monti raccontato da Enrico Brizzi in “Il cavaliere senza testa. Viaggio a piedi di un padre e delle sue figliole da Bologna alle creste d’Appennino” (Ponte alle Grazie). Un viaggio che si snoda su due percorsi: quello compiuto a piedi insieme alle sue giovanissime figlie, dodici tappe da Pieve di Cento al Lago Scaffaiolo, e quello evocato dalle memorie dei luoghi incontrati, nella storia di un territorio e di una famiglia attraverso i secoli. Enrico e le bambine camminano nei boschi, lungo i sentieri, attraversano fiumi e canali e salgono in cima alle montagne, e durante le soste e prima di addormentarsi rivivono nei ricordi storie di papi e imperatori, di contadini e soldati, di guerre, avventure, grandi amori e scherzi del destino; il paesaggio attraversato acquista più dimensioni, i luoghi e i loro nomi diventano anch’essi famigliari, come gli antenati, e un cavaliere senza testa appare tanto reale quanto zio Ulisse, che naturalmente è un viaggiatore instancabile. Viaggio alla volta delle origini, viaggio che ci porta via, viaggio che ci fa ritrovare: la meta è quest’albero genealogico, intimo e diffuso allo stesso tempo; lo stato d’animo è quello di un padre che accompagna le sue figlie nel mondo e, guardandole, prova una speranza che è già anche nostalgia. Brizzi è nato nel novembre 1974. È cresciuto a Bologna dove ha frequentato il liceo classico e all’università ha seguito le lezioni di Umberto Eco. Era ancora alle superiori quando aveva preso a frequentare la redazione anconetana della casa editrice Transeuropa, presso la quale avrebbe debuttato a vent’anni non ancora compiuti con Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994). Negli anni l’autore ha allineato sugli scaffali romanzi, raccolte di testi brevi e graphic novel; al contempo, ha dato corpo alle passioni per i lunghi viaggi a piedi e per le narrazioni ad alta voce, alternando le pubblicazioni con imprese zaino in spalla (fra le altre, Via Francigena, 2006; Roma-Gerusalemme, 2008; Italica 150, 2010) e la realizzazione di spettacoli dal vivo e compact disc in collaborazione con diverse band. Ricordiamo inoltre i romanzi Bastogne (1996), L’inattesa piega degli eventi (2008), Il matrimonio di mio fratello (2015).
CHOMSKY, COME SALVARE DALL'ESTINZIONE LA SPECIE UMANA
Il sociologo americano Noam Chomsky, già diversi anni fa, citava un rapporto del Consiglio delle Relazioni Estere e del Programma sull'Approccio Politico Internazionale che rivelava come "i cittadini di tutto il mondo e degli Stati Uniti chiedono che i governi diano una priorità maggiore ai problemi del riscaldamento globale e che appoggino con forza azioni multilaterali per soddisfare questa necessità". Ma a commento di questo rapporto lo stesso Chomsky spiegava che, in realtà, "gli statunitensi non ritengono che ci sia un consenso scientifico sull'urgenza di prendere iniziative per contrastare il cambiamento climatico". Per cui, in realtà, "solo una minoranza crede che già ora si stiano subendo le conseguenze di tale cambio", concludendo che, in buona sostanza, i cittadini americani "tendono a sottovalutare il livello di preoccupazione". Questa sua tesi ha trovato conferma nelle ultime elezioni presidenziali americane quando, a causa di un sistema che premia chi più investe economicamente nella campagna elettorale è uscita sconfitta la linea politica di Sanders, che si batteva per l'affermazione di una "democrazia sociale funzionante per il lavoro, la salute e l'istruzione" e che, a suo dire, "ha rappresentato la rottura con l'ultimo secolo di storia politica americana, molto più di Obama". Insieme a questa sconfitta, negli USA e in Europa i "programmi di 'austerity' liberali sono stati rifiutati", in un contesto nel quale "il centro-destra e il centro-sinistra, che spesso si assomigliano, hanno subìto un declino o sono scomparsi", spianando la strada alla stagione dei sovranisti. Anche in reazione, secondo Chomsky, a un Fondo Monetario Internazionale che nelle controversie con i singoli Paesi vuole ridurre i benefici sociali e il welfare, aumentando il profitto privato. Ecco, quindi, che Trump e le altre forze reazionarie di tutto il mondo, anche cavalcando la non significativa preoccupazione e attenzione ai cambiamenti climatici, vincono le elezioni e continuano sulla strada di uno sviluppo malato che mette a rischio l'intera sopravvivenza del Pianeta e del genere umano. Dunque, partendo da queste riflessioni Chomsky, intellettuale della Sinistra radicale americana, nel suo libro "Verso il precipizio" (Castelvecchi, 2018, 48 pagine, 5 euro), dipinge un quadro molto fosco del Pianeta, spiegando che a causa delle inondazioni che da anni colpiscono l'India, solo in quel Paese circa trecento milioni di persone sono a rischio carestia, che mentre le falde acquifere vanno riducendosi, i ghiacciai dell'Himalaya sciogliendosi, il Sud dell'Asia accusa mancanza di acqua e il livello del mare si alza, mentre diverse specie vanno estinguendosi. Insomma, un libro nel quale il film che ci si presenta è quello di un incosciente cammino verso la catastrofe. Incosciente perché i governi nazionali non fanno nulla o non fanno abbastanza, continuando a inseguire uno sviluppo capitalistico "sconsiderato che sfrutta la Terra per il proprio consumo senza pensare alle generazioni future", quasi come fossero convinti che non vi sia nulla da fare contro l'estinzione e, dunque, valga la pena vivere al massimo ciò che resta prima della fine. Contro questo atteggiamento, a suo modo di vedere ancora modificabile, il suo libro vuole essere un richiamo alla responsabilità, il grido d'allarme di chi vede l'abisso e lo indica a chi non vede o non vuole vedere. E in questo, l'intento di Chomsky diventa quello di salvare il destino della specie umana.
UNO NON VALE UNO E LE FALSE UTOPIE DEL POPULISMO ITALIANO
Negli ultimi venticinque anni in Italia vi è stato un progressivo e sempre più insistente tentativo di sgretolare i corpi intermedi di qualsiasi tipo, di screditare gli specialisti della politica o i politici di mestiere, di affermare un illusorio e falso rapporto diretto tra i grandi leader nazionali e il popolo, passando attraverso goffi tentativi di democrazia diretta, che eliminerebbe ogni intermediazione e porterebbe direttamente al potere il popolo che, a quel punto, governerebbe meglio di chi finora lo ha rappresentato nello schema classico della democrazia occidentale. Si è dunque coltivata un’utopia, quella della società orizzontale, priva di gerarchie verticali, completamente trasparente, affermatasi anche grazie all'impatto destabilizzante della rete sui modelli di comunicazione e sugli strumenti di valutazione dell'operato della classe dirigente. Ma nessuno ha ancora spiegato come e perché “se la gente comune potesse esercitare pienamente il potere, tutto andrebbe meglio”. Ci prova oggi Massimiliano Panarari, giovane e brillante sociologo della comunicazione, saggista e professore all’Università Luiss Guido Carli di Roma, alla Luiss School of Government e all’Università Luigi Bocconi di Milano. Lo fa con il saggio appena arrivato in libreria, “Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti d'oggi” (Marsilio, 2018, 155 pagine, 12 euro). Un lavoro nel quale analizza, argomentando con un linguaggio moderno e coinvolgente, cinque espressioni chiave che richiamano altrettanti falsi “miti di oggi”: popolo, autenticità, tecnologia, disintermediazione, democrazia diretta. E consegna al lettore un’opera che chiarisce perfettamente le radici del presunto “primato della gente”. Quel primato che in realtà non migliora né la qualità della vita nelle società moderne, né i livelli democratici, né le condizioni economiche degli stati, ma che, al contrario, finisce per minare alla radice le fondamenta della democrazia moderna che con tanta difficoltà si è affermata soprattutto nel corso del secolo passato. Il libro è una bussola che aiuta il lettore a comprendere il successo globale dei nuovi populismi e, in modo particolare, di quelli italiani, iniziati in tono minore e confinati in un ambito ristretto con la Lega lombarda di Umberto Bossi, giunti all'exploit con Berlusconi e le sue televisioni e che, passando “dalle varie fasi del turbo-renzismo” che li ha sdoganati anche a Sinistra, sono arrivati alla fase trionfale del grillismo e del Movimento 5 Stelle, sfociata nei mesi scorsi nella “sintesi alchemica del governo giallo-verde”.
“L’ANIMALE CHE MI PORTO DENTRO” DI FRANCESCO PICCOLO
Di quante cose è fatto un uomo? Sensibilità, ferocia, erotismo e romanticismo, debolezza, sete di potere. Ci vuole un certo coraggio per indagare la profondità del maschio, sempre che esista: non è detto che ci piaccia tutto quello che vedremo. In “L’animale che mi porto dentro” (Einaudi), romanzo serio, divertente, spietato, Francesco Piccolo racconta, come solo lui sa fare, la vita di molti attraverso una sola. è scrittore e sceneggiatore. I suoi ultimi libri sono: La separazione del maschio, Momenti di trascurabile felicità, Il desiderio di essere come tutti (Premio Strega 2014), Momenti di trascurabile infelicità e L'animale che mi porto dentro. Ha firmato, tra le altre, sceneggiature per Nanni Moretti (Il Caimano, Habemus Papam, Mia madre), Paolo Virzì (My name is Tanino, La prima cosa bella, Il capitale umano, Ella & John - The Leisure Seeker, Notti magiche), Francesca Archibugi (Il nome del figlio, Gli Sdraiati), Silvio Soldini (Agata e la tempesta, Giorni e nuvole). Ha sceneggiato la serie tv L'amica geniale, tratta dall'omonimo best seller dell'autrice Elena Ferrante. È stato autore di molti programmi televisivi come: Vieni via con me, Quello che (non) ho, Viva il 25 aprile e Falcone e Borsellino. Collabora con il Corriere della sera.
BREVE STORIA DELLA SICILIA SECONDO NORWICH
“Breve storia della Sicilia” di John Julius Norwich (Sellerio, traduzione di Chiara Rizzuto) è un documentato e incuriosito viaggio dai Fenici e dai Greci agli anni di mezzo del Novecento in terra di Sicilia. Racconti, notizie, miti, personaggi in una narrazione che ripercorre la storia dell’isola, ponte tra Europa e Africa, porta tra Oriente e Occidente, e la arricchisce con la sorpresa per la straordinaria varietà, la meraviglia per la bellezza, la desolazione per un destino testardo, e una quieta disperazione. John Julius Norwich (scomparso nel giugno del 2018) oltre che storico era stato un documentarista ed un reporter di viaggi. Il suo modo di scrivere storia aveva quindi come scopo indispensabile anche una forma di intrattenimento, quello di avvincere il lettore in resoconti del passato «interessanti e piacevoli da leggere» e mirati alla ricerca di un «senso».
Per cui, questa breve storia non è soltanto una sintesi documentata o un incuriosito viaggio dai Fenici e dai Greci agli anni di mezzo del Novecento in terra di Sicilia. È la ricerca, in duemila e cinquecento anni di storia, di una spiegazione alla fortissima impressione che a lui, persona, diede la Sicilia quando per la prima volta la incontrò e sentì di aver fatto una scoperta che lo avrebbe accompagnato per la vita intera. Si riversa, nella sua narrazione storica, la sorpresa per la straordinaria varietà, la meraviglia per la bellezza, la desolazione per un destino testardo, e una quieta disperazione. E queste complesse sensazioni cerca di condividere con il lettore riportandogli le cose le persone e i fatti notevoli della vicenda dell’Isola. Con grande attenzione per gli intrecci sorprendenti, per le ricorrenze che sembrano rivelare una tendenza generale, per i personaggi dai colori più vivi. Norwich era lo storico che scrisse i due volumi sui Normanni nel Sud; testi che furono a lungo, sulla loro materia, la fonte principale, se non l’unica, di conoscenza per i lettori appassionati. Questa Breve storia della Sicilia, terminata nel 2014 – e che qui proponiamo per la prima volta ai lettori italiani –, è stata in certo modo un ritorno.
(© 9Colonne - citare la fonte)