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Le colpe dei padri
e il potere dei figli

Le colpe dei padri <br> e il potere dei figli

di Paolo Pagliaro

(23 febbraio 2019) Un paio d’anni fa a Davos fu presentato uno studio sul nepotismo, cioè quel sistema di favori e raccomandazioni che si passano da padre in figlio, e più in generale tra parenti, indipendentemente da meriti e capacità. Risultò che il paese messo peggio era lo Zambia e quello più virtuoso la Finlandia. L’Italia stava più o meno a metà classifica.
Ma sono graduatorie che lasciano il tempo che trovano, perché non c’è accordo sul significato della parola.
Da noi, per esempio, a nessuno verrebbe in mente di definire nepotista la logica che sta alla base delle imprese familiari, su cui si regge la nostra economia.
Il confine tra nepotismo e diritto ereditario è invece più netto in altri ambiti. Stando a una nota ricerca di Stefano Allesina e Jacopo Grilli dell’Università di Chicago, che hanno analizzato i cognomi di 133 mila docenti, l’Italia è primatista mondiale di nepotismo per quanto riguarda le carriere universitarie. Molti professori sono parenti stretti di altri professori. Naturalmente è positivo che in famiglia ci si trasmetta una passione, un po’ meno che si trasmetta anche la cattedra. Secondo Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anti corruzione, proprio il nepotismo è una delle cause della cosiddetta fuga dei cervelli.
Il nepotismo dilaga anche nel mondo della moda e del cinema, del calcio e delle libere professioni. Chi non è “figlio di” può contare solo sulle proprie capacità e sulla buona stella. La novità suggerita dalle cronache recenti è però che ora non sono più i figli a spendere il nome del padre, ma sono i padri a spendere il nome del figlio. Soprattutto se il figlio è al potere. Questo sembrerebbe dar ragione a Umberto Galimberti e al suo Nuovo dizionario di psicologia, secondo cui il tramonto della figura paterna è uno dei tratti distintivi del nostro tempo.

(© 9Colonne - citare la fonte)