Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Mameli, ‘fame’ e ‘follia’
di un giovane rivoluzionario

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Mameli, ‘fame’ e ‘follia’ <br> di un giovane rivoluzionario

"Siate affamati, siate folli": l'appello rivolto da Steve Jobs, fondatore della Apple, ai giovani dell'università di Stanford dà un po' il senso di quella che dovrebbe essere la missione rivoluzionaria della "meglio gioventù" di ogni epoca (prendendo in prestito il titolo della raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini). Goffredo Mameli era un giovane con cui quelli della nostra epoca - diversi più che mai da quelli del passato anche a causa dell'accelerazione impressa dalla rivoluzione digitale - avrebbero ben poco di cui parlare, se per assurdo un giorno dovessero incontrarlo. Ma certo nella propria vita - brevissima, ma altrettanto intensa - l'autore delle parole del nostro inno nazionale non si è risparmiato in quanto a "fame" di cambiamento e a "follia" nel volerlo realizzare. Ed è per questo che la storica Gabriella Airaldi ha scelto proprio l'appello di Jobs come incipit per il suo libro "l'Italia chiamò. Goffredo Mameli poeta e guerriero", pubblicato da Salerno editrice.

TRA MAZZINI E GARIBALDI. Discepolo di Giuseppe Mazzini, genovese come lui, "infaticabile come un innamorato" al pari del maestro (per usare le celebri parole del cancelliere austriaco Metternich su Mazzini), Mameli vive da protagonista la ventata di libertà soffiata nel biennio 1848-49 sull'Europa partorita dalla Restaurazione: come poeta - mettendo in versi con "Fratelli d'Italia" e non solo gli ideali repubblicani e unitari della Giovine Italia - come giornalista, scrivendo sui vari fogli che in quei mesi rivoluzionari squarciano il velo della censura e come combattente, in Lombardia come volontario contro gli austriaci ma soprattutto a Roma, difendendo la bellissima e fugace esperienza della Repubblica Romana (un po' come la sua vita) nata dalla fuga di Pio IX e soffocata nel sangue dai francesi nell'estate del 1849. Aiutante di campo di Garibaldi, Mameli muore a Roma il 6 luglio per le conseguenze di una ferita a una gamba riportata in combattimento il 3 giugno: appena tre giorni prima della sua morte i francesi entrano nella Città Eterna. Il 5 settembre Goffredo avrebbe compiuto 22 anni.

AL GIANICOLO. Al Gianicolo, appena dentro la cinta delle mura costruite da Urbano VIII alla metà del Seicento, riposano le spoglie mortali di Mameli. Lì tra Porta San Pancrazio - distrutta dalle cannonate francesi e poi ricostruita - e il complesso di San Pietro in Montorio, allestito all'epoca come ambulanza per i feriti. Non lontano da dove viene colpito (muore invece all'ospedale della Trinità dei Pellegrini) c'è la sua tomba, all'interno del Mausoleo Ossario Gianicolense dedicato "ai caduti per Roma" fino al 1870 e realizzato da Giovanni Iacobucci nel 1941. "Però il mio dolore è profondo e lo tengo sacro, è tutto per me. Cerco di essere degna del figlio. E d'una italiana, me lo divinizzo, lo considero come un martire, e come tale non lo piango... " sono le parole della madre Adelaide Zoagli incise sulla lapide, su cui campeggiano la lira e la spada, simboli del poeta-combattente.

UN CORPO CLANDESTINO. Ci sono tutti i segni del martirio, laico, nella figura di Mameli, esplicitamente evocato dalla madre in quelle parole databili a poco più di un mese dalla sua scomparsa.
Ma il corpo di Mameli - mazziniano e repubblicano - sale sugli altari della religione civile molto tardi: il suo è un corpo clandestino, scomodo, nella Roma papalina prima e nell'Italia monarchica poi. Nessuno per tanti anni sa dove si trovi il suo corpo - imbalsamato da Bertani, il "medico degli eroi" - che inumato semiclandestinamente nei sotterranei della Chiesa delle Stimmate a Roma vi resta fino al 1872, quando i suoi resti vengono spostati al Verano con una cerimonia per pochi intimi. Dal 1891 le spoglie vengono traslate nel monumento funebre edificato sempre nel cimitero romano, per poi trovare finalmente "pace" sul Gianicolo, a quasi un secolo dalla morte.

UN INNO DIMENTICATO, ANZI NO. Un destino tormentato vive anche il suo inno, vera colonna sonora delle battaglie combattute dai volontari del 48-49 per la libertà, la democrazia e l'unità, "descrizione di un'utopia" come dice Airaldi, la "Marsigliese italiana del 1848" che "non si fa leggere, ma si deve cantare" come rimarcava il grande storico francese Jules Michelet. Dopo un lungo periodo di oblio - più o meno per gli stessi motivi per cui anche il suo autore finisce nell'oscurità - il Canto degli italiani viene adottato provvisoriamente come inno dello Stato repubblicano dopo il referendum del 2 giugno 1946: di frequente criticato e giudicato con superficialità e sufficienza, "Il canto degli Italiani" risulta più forte dei suoi denigratori, e la sua adozione viene finalmente codificata con la legge n. 181/17 del 4 dicembre 2017. Il suo autore, però, resta nell'ombra, avvolto nelle nebbie di un Risorgimento troppo spesso percepito come "rigatteria" protofascista ("rigatteria romantica" è il giudizio poco generoso affibbiato da Carducci alle poesie di Mameli), nonostante il risveglio d' interesse legato alle celebrazioni per i 150 anni dell'unità. Il libro di Gabriella Airaldi ha il grande merito di diradare queste nebbie, restituendoci l'umanità di quel "giovane favoloso" (rubacchiando il titolo del bellissimo film di Martone dedicato a Leopardi) oltre il freddo del marmo, gli stereotipi della retorica e l'oscurità dell'oblio.

GENOVA E BALILLA. "L'Italia chiamò" fa quasi respirare il clima in cui Mameli diviene adulto, quello della Genova nella prima metà dell'Ottocento, con il suo indomito spirito repubblicano e con la sua insofferenza verso lo Stato sabaudo, di cui rappresenta il porto principale e a cui è stata accorpata con il Congresso di Vienna: riviviamo nelle pagine della Airaldi l'aria effervescente che segue l'elezione al soglio pontificio di Pio IX e che precede la guerra all'Austria. Gli anni del mito di Balilla (non un mito fascista in origine, come troppo spesso la memoria collettiva confonde) quando fioriscono una letteratura e una pubblicistica che riportano alla memoria l’insurrezione popolare scaturita il 5 dicembre 1746 nel sestiere di Portoria, quando un ragazzo, Giovanni Battista Perasso detto Balilla, lancia un sasso contro un plotone austriaco.

I MAMELI. Con questo libro riviviamo la vita dei Mameli, ricostruita attraverso le memorie di famiglia. La madre, Adelaide Zoagli, proviene da una famiglia dell'alta nobiltà genovese illustrata da due dogi mentre il padre  Giorgio Mameli esce dai ranghi della piccola nobiltà sarda. Possiamo apprezzare la personalità di una figura importante come la nonna materna, Angela Lomellini, che molto assomiglia per piglio a tante nostre nonne, che "non sentiva e non capiva quello che non voleva". Angela aveva assistito in gioventù agli avvenimenti della rivoluzione, dell'impero napoleonico e della reazione: "Un altro episodio dimostra quanto fosse vivo e forte nella sua famiglia lo spirito repubblicano. Nel corso di una festa data dal marchese Lomellini nel grande bosco di Pegli (poi dei marchesi Raggio) in onore di Napoleone I Angela, invitata a ballare dall’imperatore, aveva rifiutato adducendo la scusa di non esserne capace. E Napoleone le aveva detto: 'Già, siete moglie del fiero repubblicano Zoagli!". Sentimenti repubblicani trasmessi alla figlia Adelaide, che ha un ruolo decisivo nella formazione di Goffredo, come dimostra l'intensa corrispondenza epistolare tra di loro. Uno degli innumerevoli esempi del ruolo fondamentale giocato dalle donne nel nostro movimento nazionale, con case e ville che sono "naturali cellule politiche".
Amica di infanzia di Mazzini, Adelaide è la "regina Mab" di Shakespeare nei ricordi del fondatore della Giovine Italia: un rapporto speciale (mai si potrà sapere quali sentimenti davvero albergassero nei loro cuori) rinnovato quando lei gli raccomanda di vegliare sulle sorti del figlio, partito volontario. Pippo (così Mazzini viene chiamato dagli amici) ci resta malissimo quando Mab va in sposa a "un ufficiale del governo che noi guardiamo come nostro nemico". Giorgio Mameli è un tenente di vascello della Marina militare sarda: un uomo condizionato in senso legittimista dalla sua posizione professionale, ma dal libro della Airaldi ne esce un ritratto complesso e sfumato: "I figli amano molto quest’uomo che la carriera militare porta lontano dalla famiglia, ma che vive e combatte sul mare senza inasprirsi troppo, come dimostrano il suo attaccamento alla famiglia e la sua costante solidarietà con gli equipaggi delle navi".

GOFFREDO. La coppia ha 6 figli, primo dei quali proprio Goffredo. Il libro ripercorre attentamente le fasi della sua svolta politica, avvenuta nel 1846 (anno della sua adesione alla Giovine Italia) e nel '47, quando per la prima volta viene suonato in pubblico l'inno durante un'imponente manifestazione: "Non so spiegare la sorpresa che mi fece una mattina che stava accampato di Mantova udire da un bimbo che pascolava alcune capre il mio Fratelli d’Italia tanto più che pensavo che era impossibile che ne comprendesse il senso" racconta lo stesso Mameli. Prima ancora, però, saranno fondamentali i viaggi con i suoi per far nascere in lui il sentimento nazionale, oltre gli spiriti municipali. "l'Italia chiamò" ci restituisce la personalità e il temperamento di quel giovane di precaria salute ma incessante nel perseguire i propri obiettivi: c’è in lui "un’ansia di racconti e di fatti grandi, un domandar minuzioso sopra ogni cosa ed un non contentarsi mai delle spiegazioni che li venivano date" è il ritratto che emerge dalle memorie di famiglia, dai cui trapelano anche i particolari dei momenti salienti della crescita di un giovane, come lo studio e l'amore. Il suo comportamento non è impeccabile, come dimostra la zuffa scoppiata tra lui e un compagno di studi davanti all’entrata dell’Università. Ma è un ragazzo capace di imprese memorabili ed esagerate anche i questo campo: ".. quando si avvicina la data degli esami ed è a Casaleggio in casa della zia Ristori, decide improvvisamente di noleggiare un cavallo per affrontare le 40 miglia che lo separano da Genova. Ha di fronte un percorso difficile, dato che bisogna attraversare gli Appennini e non ci sono strade rotabili. Per di più i cavalli non sono sellati né si trovano selle. Goffredo litiga con il padrone, ma il tempo stringe e così parte, cavalcando alla meglio. Nel cuore della notte, arrivato al Passo della Bocchetta, si ferma, paga e rimanda indietro cavallo e padrone, decidendo di scendere dall’Appennino a piedi. Sorpreso da un uragano, arriva a Voltri stanco e bagnato. Entra in un’osteria e finisce per addormentarsi sul tavolo. Quando si sveglia mancano poche ore agli esami. Stacca un calesse e parte per Genova, sale le scale dell’Università, ma qui viene a sapere che, per un’indisposizione del professore, le prove sono rinviate di due giorni. Va a casa e si mette a letto con un ginocchio gonfio, esito di una rovinosa caduta sulla ghiaia di un fiume a causa del ribaltamento di una carrozza. Il medico insiste perché stia a letto, ma lui rifiuta sostenendo che deve fare gli esami; e così, dopo un’applicazione di mignatte, il terzo giorno si alza, si presenta agli esami e li supera tutti con lode". Non arriva alla laurea, travolto dalle passioni per la poesia e la politica. La sua breve esistenza si accende però anche di passioni amorose, la più importante per Geronima Feretto, costretta improvvisamente alle nozze con Stefano Giustiniani, il vedovo di Anna Schiaffino, suicidatasi per amore di Cavour. "Goffredo torna il giorno in cui si celebrano le nozze e non trovando l’amata inforca il cavallo, arrivando quando tutti tornano dalla funzione. Si rifugia allora a Polanesi e per tre giorni si chiude in casa; e qui – a quanto dicono i contadini – non mangia e non dorme. Il terzo giorno, mentre piove a dirotto e senza dar ascolto alle loro raccomandazioni, decide di tornare a Genova a piedi. Arriva però oltre la mezzanotte quando le porte della città sono ormai chiuse. Passa la notte sdraiato nella spianata del Bisagno e 'al mattino ricompare in casa lacero e molle ma con la gioia disperata di chi preso un partito, con la soddisfazione d’aver sfogato quanto le rodeva nel cuore cioè con la poesia Ad un angiolo ...’”. "La man Dio ci separa / Ognuno di noi rovina, / Spinto da proprio turbine, / e per diversa china: / Dove si soffre e lacrima / Sarà la tua bandiera, / La mia – fra il sangue e il fremito / Dove si pugna e spera": componimento profetico, visto che Geronima, infelice, sopravvive solo due anni alle morte di Goffredo.

UN SOGNATORE. Mameli vive forse la stagione più bella, l'incanto del nostro Risorgimento, spegnendosi subito. Non sappiamo quali scelte avrebbe fatto in seguito, per esempio in merito al rapporto con Casa Savoia. Resta di lui la bellezza della gioventù, sua e dei tanti giovani che nel quarantotto hanno sognato di cambiare il mondo in cui vivevano. Ecco, questo sogno resta sempre vivo, perché Goffredo - pur nella sua specificità - rassomiglia ai giovani sognatori di ogni epoca, con la testa fra le nuvole e il cuore proteso verso l’avvenire: "Pur perseguitato dai suoi malanni, ama i passatempi del bel mondo, gioca a biliardo ed è molto ricercato. Però passa notti intere a leggere e a scrivere, 'per modo che di rado si spogliava per dormire, per lo che era sorvegliato dalla famiglia; bisognava spengerli il lume che solea dimenticare acceso. Trascurato della persona, la sua camera era un vero disordine. Talvolta passava qualche giorno in campagna per scrivere e tornando in città dimenticava la casa aperta'...". (Roc - 28 ott)


FUMETTI, SERGIO BONELLI EDITORE PRESENTA “IL CONFINE”

Arrivano in anteprima a Lucca Comics & Games 2019 i primi due volumi della nuova attesa serie-evento di Sergio Bonelli Editore. Ideato e scritto da Mauro Uzzeo e Giovanni Masi e realizzato da un cast di disegnatori stellare, “Il Confine” è un nuovo universo narrativo firmato dalla casa editrice e pensato per diventare una serie televisiva, un gioco di ruolo, un romanzo. Thriller dalle atmosfere oniriche e morbose, in cui nulla è quello che sembra e la linea sottile tra bene e male si fa sempre più labile fino a svanire del tutto, “Il Confine” ci conduce in un piccolo villaggio al confine tra Italia e Francia, dove il pulmino che trasporta una classe di adolescenti in gita scolastica sparisce all’improvviso senza mai arrivare a destinazione. Sulle tracce dei ragazzi, due detective: Laura Denti, un’agente dell’Interpol specializzata nel ritrovare persone scomparse, e Antoine Jacob, il massimo conoscitore di quelle montagne, ritira­tosi fra i boschi per non avere più a che fare con gli esseri umani. Una donna e un uomo che, oltrepassato il confine che nessuno dovrebbe mai superare, saranno costretti a unire le loro forze e affrontare le conseguenze di tutti i loro errori passati. Dentro a “Il Confine”, il cui primo volume è disegnato da Giuseppe Palumbo, sono racchiuse tutte le passioni che accomunano Uzzeo e Masi: la coralità bizzarra e post-moderna di Twin Peaks, la stratificazione labirintica di Lost, l’inquietudine visionaria della letteratura lovecraftiana, combinati per creare un prodotto dalla forte identità. Tutti i personaggi della storia mostrano la propria essenza a poco a poco e anche quelle che sembrano comparse di poco conto inizieranno presto a rivelarsi fondamentali per il racconto. I due assoluti protagonisti sulle tracce dei ragazzi scomparsi sono comunque Laura Denti e Antoine Jacob. Due character poco avvezzi a rispettare regole e imposizioni. Laura è terrena, materica, un animale ferito, rabbioso e quanto mai legato al mondo concreto: salvare quei ragazzini è la sua unica ossessione, che la logora e la incattivisce. Una guerriera fragile, che indossa vestiti pesanti come fossero una corazza. Ma nessuna corazza mette al riparo dai demoni interiori. Antoine, invece, è un individuo ascetico e imperscrutabile. Nessuna armatura per lui. Non è suo interesse rintracciare i ragazzi, la sua intenzione si focalizza su un’altra parte del mistero: vuole capire perché lì, sui monti al Confine, la realtà si sia incrinata, perché il tempo abbia smesso di fluire correttamente e gli incubi si stiano riversando nella realtà. Presentati in anteprima a Lucca Comics & Games 2019, i primi tre volumi de Il Confine usciranno poi in libreria e fumetteria a partire da novembre con cadenza regolare ogni due mesi (il primo a fine novembre, il secondo a fine gennaio, il terzo a fine marzo).  Uzzeo e Masi presenteranno il progetto multimediale giovedì 31 ottobre alle ore 14:00 presso l'Auditorium Agorà nel panel pubblico dal titolo "Il grande mosaico crossmediale di Il Confine", con Michele Masiero, Mauro Uzzeo e Giovanni Masi, special guest Dario Moccia.

 

 

A PICCOLI PASSI: MINORI NON ACCOMPAGNATI E CITTADINANZA ATTIVA

 

Secondo i dati diffusi lo scorso 14 ottobre dal ministero dell’Interno fino a quel giorno sono 8.395 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno, di questi 1.095 sono i minori stranieri non accompagnati. Il dato, aggiornato al 7 ottobre, mostra un deciso calo rispetto ai minori stranieri non accompagnati sbarcati sulle coste italiane lungo tutto il 2017 (15.779) e il 2018 (3.536). Le migrazioni, e in particolare quelle che riguardano i Minori stranieri non accompagnati, non sono solo dei flussi da monitorare ma fenomeni complessi di cui bisogna comprendere in profondità le dinamiche. “A piccoli passi. Minori non accompagnati e cittadinanza attiva”, saggio di Lucia De Marchi pubblicato da Infinito edizioni, parte da una ricerca sul campo svolta in diverse città italiane e – analizzando le relazioni di questi minori con gli operatori delle comunità, gli insegnanti e il mondo del lavoro – studia le opportunità che vengono offerte ai Minori stranieri non accompagnati per integrarsi in Italia. De Marchi, laureata in Antropologia Medica con una tesi sui ragazzi di strada in Romania, si occupa di minori abbandonati e in stato di affido dalla metà degli Anni ‘90. Dottore di Ricerca nel 2014 in Scienze della Cognizione e della Formazione all’Università Ca’ Foscari, sviluppando un lavoro sul campo in tutta Italia sulla realtà dei minori stranieri non accompagnati e la progettazione di percorsi di formazione alla cittadinanza attiva, è membro dell’associazione HDCA, fondata dal Premio Nobel Amartya Sen, che si propone di rileggere l’economia a partire dalla libertà personali per raggiungere un migliore livello di benessere. Premio Best Poster Award al Convegno Internazionale ICE (International Conference on Education) a Chicago nel 2014, è ricercatrice libero-professionista e formatrice.

 

 

GLI ITALIANI RACCONTATI DA BALDINI E GIUNTA

Cogliendo un passaggio inquieto fra le sopravvivenze di una tradizione sgretolata e i sintomi di un futuro da decifrare, “Gli italiani”  (fotografie di Massimo Baldini, testi scelti da Claudio Giunta, pubblicato dal Mulino)  si colloca in un filone illustre nella storia della fotografia, presidiato dal celebre “Gli americani” di Robert Frank. Da una transizione per molti aspetti enigmatica affiorano le immagini vive di un repertorio antropologico non più libresco: cerimonie pubbliche, rapporti tra generi e generazioni, cibo, abbigliamento, tempo libero, pervasività e scadimento della cultura religiosa. Italiani fino a ieri inascoltati, che hanno magari voce nei tweet di Salvini e che qui trovano incarnazione e sembianze – con il controcanto di testi illuminanti – mentre mangiano in trattorie fuori mano, si svagano la domenica negli outlet, si riuniscono per i matrimoni e i funerali, invocano in modi poco ortodossi la benevolenza dei santi protettori. Un viaggio nel paese profondo, che è cambiato ma non è ancora stato capito. Baldini, laureato in Sociologia economica, ha lavorato a lungo nell’editoria. Come fotografo ha pubblicato su varie riviste e tenuto mostre personali a Parigi (Italianité, 2017) e Bologna (A Tour not so Grand, 2018). Claudio Giunta è professore di Letteratura italiana all’Università di Trento. Fra i suoi libri pubblicati con il Mulino ricordiamo “Una sterminata domenica” (2013).

 

 

 

BARRY STRAUSS RACCONTA GLI IMPERATORI ROMANI

La storia di Roma e del suo impero raccontata attraverso la vita di dieci uomini e del loro tempo: da Augusto, il fondatore, a Costantino, il cristiano, fino a Romolo Augustolo, ultimo simulacro del potere imperiale. “Imperatori. I 10 uomini che hanno fatto grande Roma” è il titolo del libro di Barry Strauss, edito da Laterza (traduzione italiana a cura di D. Scaffei). I palazzi che costellavano il colle Palatino a Roma erano una delle meraviglie del mondo antico. Decorati con il giallo della Numidia, il viola frigio, il grigio greco, il granito egizio, il bianco marmo italiano, non potevano che affascinare e meravigliare i loro visitatori per la ricchezza e la bellezza unica. Da queste stanze, per secoli, gli imperatori governarono quello che chiamavano il mondo, un enorme regno che nel momento della sua massima espansione si estendeva dalla Britannia all’Iraq. Fu una sfida imponente per tutti coloro che furono a capo dell’impero e che si trovarono ad affrontare invasioni e rivolte, guerre, congiure di palazzo, relazioni con popoli lontani e sconosciuti, nuove religioni rivoluzionarie, disastri naturali ed epidemie. Essere l’imperatore di Roma fu un compito così gravoso che soltanto in pochissimi si rivelarono all’altezza. In queste pagine Barry Strauss racconta i dieci imperatori che si rivelarono i migliori e i più abili: dal fondatore, Augusto, fino a Costantino. Un percorso che guiderà il lettore a conoscere i più importanti uomini che hanno prodotto, guidato o subito le alterne fortune di Roma per oltre quattro secoli. Strauss è Professor of History e Professor of Classics alla Cornell University. È autore, co-autore e curatore di numerose pubblicazioni e collaboratore di importanti testate giornalistiche. È stato insignito del Cornell’s Clark Award per l’eccellenza nell’insegnamento. I suoi libri si distinguono per una qualità rara: uniscono alla competenza e alla rigorosa ricostruzione delle fonti uno stile serrato e una sapientissima narrazione.

 

 

 

 

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA VISTA DA FOLLINI

“Democrazia Cristiana. Storia di un partito” di Marco Follini (Sellerio) è il ritratto impietosamente obiettivo, ma non privo di affetto della Dc, la forza politica in cui l’autore ha militato da dirigente fino alla fine. Un’interpretazione e, forse di più, l’analisi antropologica del partito-stato che ha governato la Repubblica per un ininterrotto cinquantennio. Si affrontano, da una prospettiva prossima e narrativa, i temi più consueti del bilancio politico e storico dell’esistenza di un partito dominante: come il rapporto tra i democristiani e il potere, la Dc e la destra, il partito diga verso il comunismo, il legame con la Chiesa e con la fede, l’intercettazione del paese profondo. Ma il libro di Marco Follini si concentra anche su alcuni aspetti più puntuali: l’atteggiamento verso il lusso, le dimore di dirigenti e militanti, biografie esemplari di personalità, aneddoti, le due anime simboliche: Andreotti e Moro, gli “appagati” e i “tormentati”, e così via, dentro tutti gli angoli che introducono il lettore nella quotidianità di una forma di esistenza politica che ha aspetti di enigma. L’enigma non solo della lunga, tuttavia precaria, persistenza al potere, caso più unico che raro nei paesi dell’Occidente, ma anche della convivenza perfettamente equilibrata di posizioni politiche molto lontane fra loro, e quello più fondamentale della attitudine, scettica, flessibile, a volte dominata da un senso di limitazione e di colpa, verso la società e il futuro. E, a voler leggere questo saggio come un racconto, su tutto il testo aleggia la convinzione profonda e probabilmente pensata e ripensata da Follini in questi anni: che in effetti la vicenda della Democrazia Cristiana sia da guardare come un lungo e oscuro presagio. Follini, scrittore, uomo politico, dirigente culturale, per Sellerio ha scritto La volpe e il leone. Etica e politica nell'Italia che cambia (2008) e Noia, politica e noia della politica (2017).

(© 9Colonne - citare la fonte)