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L’Economist e i cileni
“prevalentemente saccheggiatori”

L’Economist e i cileni  <br>“prevalentemente saccheggiatori”

di Arnaldo di Latebiosa

In un articolo sull’ultimo numero dell’Economist, i morti in Cile per mano dell’esercito in occasione dei disordini in corso vengono definiti “prevalentemente saccheggiatori” (vd. Economist, 26 Ottobre 2019, Days and Nights of Rage). Ovviamente, poiché si trattava nella fattispecie del primo intervento dell’esercito per le strade di Santiago dopo la fine del regime di Pinochet, l’intenzione dell’Economist era di rassicurare i lettori che l’attuale Presidente, Sebastian Piñera, differisce dal suo predecessore, sotto il cui comando l’esercito cileno si era notoriamente trasformato in una macchina per lo sterminio di massa.

E su ciò si può facilmente esser d’accordo; tuttavia, l’impiego del termine “saccheggiatori” con riferimento a quei morti suona veramente infelice, dalle pagine di un così rispettabile settimanale, punto di riferimento per il pensiero liberale nella stampa odierna: fatta salva la protesta armata, o comunque la minaccia all’incolumità altrui, cui si deve senz’altro rispondere pan per focaccia, e che benissimo merita quindi di essere emarginata nei resoconti stampa, nessun comportamento dovrebbe essere segnalato dai media come delittuoso, in occasione di proteste, se chi protesta muore per mano dell’esercito.
L’esercito infatti conta come autorità e la morte come pena e quando una pena viene inflitta da un’autorità, del relativo comportamento delittuoso devono essere fornite le prove, altrimenti si tratta semplicemente di un’esecuzione sommaria.
Beninteso, nessuno dall’Economist pretende in occasione di interventi armati una condanna di rito, ad ogni latitudine e a prescindere dalle circostanze. Sarebbe facile moralismo. Gli interventi armati rappresentano una caratteristica dell’ordine pubblico in America Latina, possono essere condannati o condonati, dai media, e talvolta a dire il vero ci si limita a chiudere un occhio, ma più di tutto bisognerebbe evitare di classificarli in base alla qualità degli individui o dei gruppi cui viene tolta la vita, perché ciò è assai peggiore del moralismo, è semplicemente immorale.
Fra l’altro, morti per morti, volendo attirare l’attenzione su alcuni in particolare, viene da chiedersi perché dall’Economist vengono scelti proprio i malfattori, anziché gli innocenti, la minoranza di vittime che semplicemente protestava e che quindi semmai sarebbe stata degna di menzione, ma sulla quale egregiamente si tace. Il riferimento ai morti come malfattori mortifica proprio i principi liberali per cui l’Economist asserisce di battersi, senza peraltro giovare alcunché alla causa promossa dall’articolo e cioè che, malgrado l’inattesa e generalizzata rivolta, il Cile di tali principi liberali può comunque costituire in America Latina un modello. O meglio, ciò sarà magari pure vero sotto tanti aspetti, ma certamente giammai per ciò a cui l’esercito si sta lasciando andare in questi giorni per le strade di Santiago.
Sparare ai civili è indifference insomma in Cile rispetto all’Ecuador, per dire, o all’Honduras, per limitarsi a due recenti esempi regionali, uno anche al di là del Canale di Panama, e se ciò implica la revoca al Cile del rango di modello regionale, beh, forse era proprio il modello come tale, come idea, a suonare fasullo e magari porre finalmente in questione la secolare (ma forse sarebbe meglio dire pagana…) trinità democrazia-privatizzazioni-benessere finalmente cessa di valere come eresia.

(© 9Colonne - citare la fonte)