Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Il ponte Morandi tra i Presepi D’artista

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

Il ponte Morandi tra i Presepi D’artista

FIRENZE: IL PONTE MORANDI TRA I PRESEPI D’ARTISTA 

L'attualità che si fa spazio nella tradizione più cara del Natale, tra i 30 presepi d'artista che verranno esposti per l'ottavo anno consecutivo al Rivoli Boutique Hotel di via della Scala a Firenze, fino al 6 gennaio, tra le eleganti sale  dell'ex convento francescano risalente al XIV secolo. Raffigurazioni della Natività speciali, finemente ricostruite che rimandano a vicende che hanno segnato gli anni appena passati. Ecco dunque che in questa edizione c’è la riproduzione del Ponte Morandi,  un omaggio alle vittime e insieme un monito per tenere alta l'attenzione su un tema drammaticamente attuale. Presentate opere uniche e monumentali, come il maxi presepe lungo 3 metri e profondo 1,60 di  Claudio Ladurini, artista  originario di Fiumalbo, in provincia di Modena. I suoi lavori, piccoli o grandi che siano, sono creazioni originali e ricercate, creati per far riflettere più che sorprendere. L'artista celebra la nascita di Gesù con ricostruzioni minuziose, realizzate in legno, ceramica e terracotta. La tradizione popolare viene esaltata e rivisitata attraverso la lente dell’attualità e degli importanti accadimenti che a volte possono sconvolgere il nostro quotidiano. Vengono proposti, tra gli altri,  il tema dei migranti, del Papa e della tecnologia che conquista sempre più spazio nel nostro mondo. (red)

MONZA, LA PIÙ GRANDE CITTÀ IN MATTONCINI: 7 MILIONI

Fino al 6 gennaio l’Arengario di Monza, nel cuore del capoluogo brianzolo, ospita “City Booming Monza”, un enorme diorama (60 metri quadri) della più grande città al mondo costruita con oltre 7 milioni di mattoncini. Ideata da LAB Literally Addicted to Bricks insieme a Giuliamaria e Gianmatteo Dotto Pagnossin, “City Booming Monza” è nata dalla fantasia di Wilmer Archiutti, fondatore di LAB, laboratorio creativo di Roncade, in provincia di Treviso, che realizza forme e architetture di Lego, mattoncini che colleziona da oltre quarant’anni. La mostra conduce i visitatori all’interno di un ambiente magico, ma estremamente realistico, dove nulla è lasciato al caso e ogni angolo nasconde una storia da raccontare. Tutto, in “City Booming”, corrisponde al vero aspetto urbanistico di una città: dal centro commerciale alla fioreria, dalla pasticceria al negozio di giocattoli a quello di animali, l’enorme luna-park con tutte le annesse attrazioni, e ancora, dal quartiere residenziale con il barbiere, al negozio di costumi al cui interno si potranno trovare i principali personaggi dei cartoni animati della Walt Disney. Sono oltre 6000 le mini figure che abitano gli edifici di “City Booming”; al loro interno, negli appartamenti, arredati e illuminati, i personaggi conducono la loro vita privata; in ogni angolo dei palazzi, delle strade e degli edifici si nascondono sempre curiose scene e particolari accadimenti. Non mancano inoltre i supereroi come Batman, Wonder Woman, Spiderman, Hulk e molti altri, mischiati tra la ‘gente comune’, cui si affiancano personaggi dei cartoni animati, dai Simpson alla Sirenetta, o celebrità del cinema, quali Sean Connery o Harrison Ford nelle vesti di Indiana Jones. (red)

BOLOGNA: LE “COSE” DI CESARE PIETROIUSTI

Il MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna presenta  “Un certo numero di cose / A CertainNumber of Things” di Cesare Pietroiusti, progetto vincitore del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane del ministero per i Beni e le Attività Culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. Fino al 6 gennaio la mostra - prima antologica dell'artista italiano in una istituzione museale - prende avvio da una riflessione sul concetto stesso di retrospettiva e sulla effettiva possibilità di rappresentare un percorso di ricerca artistica in tale formato. Da questa indagine nasce l'idea-provocazione di Cesare Pietroiusti: autonarrarsi non solo attraverso le opere prodotte ma anche tramite oggetti, suggestioni, episodi, gesti, azioni, comportamenti, ricordi riferiti alla propria vita, a partire dall'anno di nascita, il 1955. Il percorso espositivo si articola attraverso l'esposizione di quelli che l'artista definisce “oggetti-anno” allestiti in ordine non rigorosamente cronologico intorno all'oggetto, relativo al 2019. Quest'ultimo, collocato al centro della sala, è un'opera in fieri, che si realizza grazie a un laboratorio condotto da Pietroiusti su due sedi, al MAMbo e al GrazerKunstverein di Graz (Austria).  Il workshop coinvolge studenti e giovani artisti, con l'obiettivo di riprodurre insieme all'artista in forma fisica, performativa e narrativa, secondo un meccanismo di mise en abyme della mostra stessa, gli oggetti esposti, in una forma di co-autorialità fin dalla fase ideativa. L'opera scaturente dal workshop avrà come istituzione di destinazione il Madre • museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli. (red)

ROMA: SERGIO MONARI, RIFRAZIONI DELL’ANTICO

L’esposizione “Sergio Monari. Rifrazioni dell’Antico”, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, presenta, fino al 6 gennaio,  18 sculture nello spazio neoclassico del Casino Nobile di Villa Torlonia, a Roma, ispirate a temi e personaggi della mitologia greco-romana in dialogo con le opere della collezione Torlonia.  L’allestimento si dispiega, opera dopo opera, su capitoli modellati in forma di umane sembianze, pulsioni, aspirazioni, dubbi e timori: la poesia, l’amore, la guerra, il destino, il tempo, la morte.  Fisicità e concettualità s’incontrano e compongono una vivace agorà, specchio di una polis complessa e contraddittoria, assai lontana da quella vagheggiata da Platone, in cui l’avidità divora l’essere umano. L’opera Migrante preda, cuore concettuale della mostra, simbolo della coraggiosa pioniera Medea che lascia la terra natia con la volontà di far incontrare la sapienza di due mondi lontani, suggella metaforicamente l’incontro della scultura di Monari con Villa Torlonia e la collezione di statue antiche, così come quello fra la sua Colchide e la nostra Corinto. Sergio Monari (Bologna, 1950) ha avviato l’attività artistica nei primi anni ottanta riscuotendo ben presto consenso di critica e di pubblico sia in Italia che nel mondo. La sua prima mostra estera risale al 1986, a Lubiana, e nel corso del tempo si sono aggiunte anche Parigi e New York. Nel 1984 e nel 2011 è invitato a esporre alla Biennale di Venezia, mentre nel 2015 una sua opera è stata scelta per la rassegna “Tesori d’Italia”, all’Expo di Milano. Si sono occupati della sua opera importanti critici fra i quali Calvesi, Crispolti, Manzoni, Portoghesi e Tomassoni. (red)

BERGAMO, LA METAFISICA DI FRANCESCO GENNARI

Fino al 6 gennaio 2020 la GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta “Sta arrivando il temporale” di Francesco Gennari. L’esposizione conferma il rinnovato impegno del museo di Bergamo nello studio e nella promozione del lavoro degli autori italiani maggiormente proiettati in una dimensione internazionale. Nato a Pesaro nel 1973, Francesco Gennari è uno degli artisti più importanti della sua generazione. Nel suo lavoro, in cui le esperienze diverse della Metafisica e del Minimalismo trovano un punto di contatto, dà forma a percezioni e stati d’animo personali realizzando sculture, disegni come rappresentazioni di paesaggi mentali e fotografie di se stesso. Nella pratica di Gennari i materiali rivestono una grande importanza: da quelli tradizionali della scultura a quelli d’uso comune, organici o industriali, tutti diventano espressione di una precisa condizione psicologica, variabile in relazione ai diversi momenti della giornata, ad accadimenti più o meno ricorrenti o ad azioni ripetute ogni giorno. La personale alla GAMeC intende raccontare questa dimensione fluida ed eclettica del lavoro dell’artista, dando vita a un paesaggio mutevole, nelle forme e nei materiali, capace di restituire la complessità della ricerca di Gennari intorno al tema dell’autorappresentazione. In mostra alcuni autoritratti fotografici “su menta” e una serie di nuovi lavori scultorei, mai esposti in precedenza, in vetro, marmo o bronzo, che, assieme ai riferimenti tradizionali, come il Minimalismo e la Metafisica, lasciano trasparire una fascinazione inedita per le forme architettoniche del barocco, evocate attraverso la presenza di linee sinuose e panneggi. (red)

MANTOVA: IL GENIO DI GIULIO ROMANO 

"Con nuova e stravagante maniera. Giulio Romano a Mantova" il Palazzo Ducale , con la prestigiosa collaborazione del Musée du Louvre (che, per la prima volta, concede in prestito un nucleo di settantadue disegni), dedica una grande mostra al più celebre allievo di Raffaello. Visitabile fino al 6 gennaio, l'esposizione mette in luce il genio poliedrico di Giulio Romano che si espresse in forme artistiche e discipline estremamente varie, dall’architettura alla pittura, dagli arazzi all’oreficeria, trovando un comune denominatore nella pratica del disegno.  La mostra sottolinea le peculiarità e gli aspetti innovativi della personalità di Giulio Pippi de' Jannuzzi (Roma, 1492 o 1499 - Mantova, 1546) che a Mantova, presso la corte dei Gonzaga, consacrò la sua carriera di artista.  Accanto alle opere del Louvre la mostra propone un’ulteriore e ricca selezione di disegni, provenienti dalle più importanti collezioni museali italiane e straniere (tra cui l’Albertina di Vienna e il Victoria & Albert Museum di Londra), oltre a dipinti, arazzi e stampe. Sono inoltre utilizzate le più recenti tecnologie digitali al fine di ricreare, attraverso ricostruzioni 3D, oggetti e ambienti giulieschi.  La mostra si articola in 3 sezioni che approfondiscono diversi aspetti dell’attività di Giulio Romano; "Il segno di Giulio" dedicato all produzione grafica di Giulio come progettista, designer e pittore; "Al modo di Giulio", dialogo diretto tra i disegni dell’artista e la decorazione della residenza dei Gonzaga e "Alla maniera di Giulio", nella quale viene approfondito, da un lato, il tema di Giulio Romano architetto, analizzato grazie a numerosi disegni provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche europee, tra cui spicca la Copia da Giulio Romano di Andrea Palladio (Londra, Royal Institute of British Achitects), e, dall’altro, quello della sua eredità, con le opere di allievi e discepoli, come Fermo Ghisoni, Giovanni Battista Bertani, Lorenzo Costa e altri. (red)

FIRENZE: DUE ANNUNCIAZIONI IN DIALOGO

Il Padro di Madrid ha festeggiato quest’anno i 200 anni dalla fondazione con la prestigiosa mostra “Fra Angelico and the rise of the Florentine Renaissance”. A questa esposizione il Museo di San Marco di Firenze e il Polo Museale della Toscana hanno generosamente contribuito con alcuni prestiti importanti di opere dell’Angelico e di Masaccio. In cambio di questa collaborazione e per la concomitante celebrazione dei 150 anni dalla fondazione del Museo di San Marco, il museo madrileno, pur avendo sospeso quest'anno i prestiti, ha concesso in via del tutto eccezionale al museo fiorentino l’Annunciazione di Robert Campin, che viene esposta a confronto con le opere del Beato Angelico. L’opera, fino al 6 gennaio,  è posta accanto al tabernacolo con l’Annunciazione e Adorazione dei Magi di Beato Angelico, proveniente dalla Basilica di Santa Maria Novella, a intessere un dialogo serrato tra due mondi diversi, ma dai risultati altissimi. Il pittore e frate domenicano Beato Angelico, aperto a catturare tutte le ricerche artistiche più avanzate in chiave rinascimentale dal mondo artistico fiorentino, ha tuttavia spesso guardato con vivo interesse al mondo fiammingo, tanto diverso, analitico e smagliante nella brillantezza dei colori a olio. Le due opere si possono più o meno datare allo stesso periodo: intorno al 1425 il tabernacolo dell'Angelico e tra il 1425 e il 1430 il dipinto di Campin. Sia Beato Angelico che Robert Campin hanno aperto la strada a nuovi linguaggi figurativi, che si distaccavano dal mondo tardogotico ancora fiorente. Un’occasione unica per vedere affiancate queste due diverse rappresentazioni del tema dell’Annunciazione. Il Rinascimento fiorentino declinato dal Beato Angelico esprime l’interesse per lo spazio scalato in profondità, dipinto con colori luminosi e celestiali; la cultura fiamminga di Robert Campin esprime una narrazione analitica, meticolosa, attenta ai dettagli e resa brillante dai colori della pittura a olio. (red)

TORINO: I 1000 VOLTI DI LAMBROSO

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino ospita, fino al 6 gennaio, la mostra “I 1000 volti di Lombroso” che presenta, per la prima volta al pubblico, una selezione di fotografie appartenenti al fondo fotografico dell’Archivio del Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, in parte restaurate per l’occasione. Padre fondatore della criminologia, gli archivi di facce di Lombroso dialogano con i cataloghi antichi e moderni dei volti nella mostra “Facce emozioni. 1500-2020: dalla fisiognomica agli emoji”, una grande esposizione che, partendo dalla prestigiosa collezione del Museo Nazionale del Cinema, racconta gli ultimi 5 secoli di storia di questa pseudoscienza. La mostra espone 305 fotografie che dialogano con 13 disegni, 2 manoscritti, 1 pannello illustrativo per la didattica e la divulgazione, 1 calco in gesso di un cranio e 1 maschera mortuaria in cera, 2 strumenti scientifici, 2 manufatti realizzati da pazienti psichiatrici, 1 scultura, 11 libri e 1 rivista per un totale di 340 exhibit. I 1000 volti di Lombroso vuole creare un parallelo tra le numerose fotografie di volti presenti nel fondo e le diverse sfaccettature del pensiero lombrosiano, evidenziando lo stretto legame tra fotografia e ruolo sociale della scienza sul finire del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Tra il 1860 e il 1909 Lombroso raccolse, grazie alla sua fitta rete di relazioni con criminologi, psichiatri e medici legali, un’enorme quantità di immagini di soggetti appartenenti prevalentemente al mondo della psichiatria e a quello della criminalità. Queste fotografie - che hanno sollevato recenti proteste dal consigliere campano dei Verdi Francesco Emilio Borrelli (che ha parlato di “scatti profondamente razzisti di delinquenti, anche napoletani, catalogati in base alla provenienza geografica”)  -  furono sistematicamente utilizzate dall’antropologo veronese nella ricerca, nella didattica e nell’ambito di attività espositive finalizzate alla divulgazione scientifica. Alla sezione introduttiva, contenente una selezione rappresentativa delle diverse tipologie di fotografie raccolte da Lombroso, una macchina fotografica, uno stereografo per il disegno del profilo del cranio, una maschera mortuaria in cera di un detenuto, scritti scientifici e divulgativi, un ritratto a disegno, segue la prima sezione dedicata all’immagine del folle e alla nascita dell’antropologia criminale. Le decine di fotografie dei malati psichiatrici raccolte da Lombroso sono qui documentate con alcuni ritratti di alienati scelti fra quelli giunti all’antropologo criminale da vari istituti psichiatrici italiani. Lombroso utilizzò lo studio del volto insieme ad altre forme di evidenza (come i tatuaggi presenti sui corpi dei criminali da lui accomunati a quelli delle “popolazioni primitive”), per formulare la sua teoria del delinquente atavico, una sorta di moderno selvaggio riconoscibile da una serie di caratteristiche fisiche. Lombroso pretese di fondare un nuovo ramo del sapere, l’antropologia criminale, illustrata nel volume L’uomo delinquente (1876), la cui quinta edizione (1896) fu corredata da un Atlante contenente centinaia di ritratti di criminali e alienati. Due manufatti (pipe in legno) di “mattoidi” (Lombroso chiamava così gli alienati con estro artistico) e il calco in gesso del cranio di Alessandro Volta testimoniano inoltre le ricerche dell’antropologo sul rapporto fra Genio e follia (1864), la sua convinzione cioè che la creatività artistica fosse una nevrosi. La seconda sezione è dedicata a brigantaggio, delitto politico, criminalità minorile. A supporto delle sue teorie sulla devianza Lombroso utilizzò anche fotografie di briganti, prevalentemente del Sud d’Italia. A questo scopo raccolse un centinaio di ritratti scattati fra il 1861 e gli anni settanta dell’Ottocento, alcuni dei quali presenti in mostra. A testimonianza dell’interesse di Lombroso nei confronti del delitto politico sono esposte una serie di fotografie e disegni che ritraggono anarchici e rivoluzionari, fra cui Anna Kuliscioff, rivoluzionaria in Russia, socialista e femminista in Italia.  Insieme ad alcuni suoi collaboratori, Lombroso si occupò anche di delinquenza minorile. Questo filone di ricerca è documentato dalle fotografie che ritraggono i bambini e gli adolescenti senza fissa dimora scattate a Cagliari fra il 1898 e il 1903, i “corrigendi” lombardi, e alcuni giovani rei i cui casi furono sottoposti al giudizio dell’antropologo criminale. Al tema della donna delinquente è dedicata la terza sezione della mostra, che presenta fotografie di crani di prostitute, immagini scattate all’interno di bordelli, ritratti di prostitute napoletane e argentine, oltre a una serie di carte de visite di delinquenti russe. Insieme al futuro genero Guglielmo Ferrero, nel 1893 Lombroso pubblicò il primo trattato al mondo sulla delinquenza di genere, che venne tradotto in diverse lingue. Andando contro i giudizi precedenti, che vedevano nelle donne un freno al dilagare del delitto, Lombroso e Ferrero criminalizzarono la prostituzione indicandola come la forma di delinquenza più tipicamente femminile. In contrasto con le coeve richieste di parità di diritti civili e politici da parte dei movimenti femminili, i due studiosi affermarono l’inferiorità della donna rispetto all’uomo. Criminologia, razzismo e omosessualità sono i temi della quarta sezione, nella quale ritratti e fotografie segnaletiche di criminali aborigeni australiani, cubani, egiziani, ebrei, russi, tedeschi, gitani, nonché di donne delinquenti, compaiono accanto a fotografie di “pederasti”, “pervertiti”, “saffiste” e “terzo sesso”. Queste immagini documentano il nesso fra criminologia e razzismo implicitamente presente nelle teorie Lombrosiane, e mostrano il tentativo di definire l’orientamento sessuale in base a categorie con significati stigmatizzanti. La mostra si conclude con la quinta sezione dedicata alla fotografia segnaletica e alla Polizia scientifica. Nel 1886 Lombroso propose di applicare in Italia i metodi “esattamente governabili” delle scienze alle indagini poliziesche. Il suo invito venne accolto da Salvatore Ottolenghi, che a partire dal 1895 introdusse nel Paese tecniche di investigazione scientifica comprendenti l’uso della fotografia accanto al segnalamento descrittivo, antropometrico e dattiloscopico dei delinquenti e dei presunti tali. Nella sezione sono presenti, insieme a un disegno e una tavola statistica, ritratti di criminali e alcuni esempi di schede segnaletiche contenenti fotografie identificative e impronte digitali.  (red)

 

MATERA: NEI SASSI IL “PANE DEGLI UFFIZI”

 La mostra “Il Pane e i Sassi - L’antico tema del pane”, fino al 10 gennaio ala Fondazione Sassi, nel Sasso Barisano di Matera, vede le Gallerie degli Uffizi per la prima volta in trasferta nella città Capitale Europea della Cultura 2019. Il racconto dell’antico tema del pane in una selezione di dipinti della galleria  fiorentina che evidenziano il valore storico, simbolico e religioso del pane attraverso scene di soggetto sacro e di vita quotidiana, nature morte e paesaggi dedicati al grano e alla sua lavorazione. Cibo del corpo, ma anche nutrimento dell’anima, il pane ha caratterizzato fortemente la cultura e la storia di Matera e, insieme ai Sassi, è diventato l’elemento identitario della città. In mostra molte le opere che riprendono episodi dell’Antico e del Nuovo testamento: il pane viene offerto insieme al vino ad Abramo da Melchisedek (Genesi 14,18), cade dal cielo in forma di manna (Esodo 16, 1-35), viene moltiplicato da Gesù insieme ai pesci sulle rive del “mare di Galilea” (Giovanni 6, 11-14), è presente sulla mensa dell’Ultima cena (Luca 22, 19) in mostra raffigurata da suor Teresa Berenice così come sulla tavola di Emmaus (Luca 24, 30) dipinta nel bozzetto di Cristofano Allori. Il pane simbolo per eccellenza del rito eucaristico cristiano ed emblema di fertilità per le civiltà antiche, è stato anche il soggetto prediletto per allegorie e scene conviviali. Di diretta discendenza caravaggesca la Natura morta, esposta in mostra, attribuita al grande pittore spagnolo Diego Velasquez che mostra una lucidità ottica, un senso della luce e più di un’analogia con l’opera dal Caravaggio la Cena in Emmaus del 1602, ora conservata nella National Gallery di Londra.   Un altro dipinto spagnolo, esposto in mostra a Matera, ripete, dopo più di quarant’anni, i temi e i simboli concepiti da Caravaggio. Si tratta della Natura morta di Francisco Barrera, pittore specializzato nel genere del ‘bodegón’. Degna di nota anche intrigante pittura su rame con un grottesco Uomo delle lumache come viene chiamato il villano letteralmente coperto da corna e simboli biforcuti. Ma un vero brano di vita quotidiana del Seicento narrato con toni attenti e poetici – tra le opere esposte nella mostra organizzata nei Sassi – lo si trova nel dipinto con la veduta di un Mulino di Filippo Napoletano grazie al quale si può osservare il lavoro quotidiano degli uomini impegnati nel trasporto dei sacchi di farina, la vita domestica sottintesa dentro le mura del casolare, la verità di un luogo abitato e vissuto.  (6 dic  - red)

 

 

 

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