Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Le giornaliste / 1 - Le pioniere dell’800, in lotta con la penna

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Le giornaliste / 1 - Le pioniere dell’800, in lotta con la penna

Si chiamavano il “battaglione Belgioioso”. Erano 170, napoletani, giovani, pieni di ardore patriottico. Il 6 aprile 1848 entrano emozionati in una Milano imbandierata dai tricolori che acclama i volontari che giungono da tutta Italia per difendere la città che, due settimane prima, ha cacciato gli austriaci. Alla loro testa c’è la quarantenne principessa Cristina di Belgioioso, il primo editore donna e la prima giornalista “pasionaria” della storia italiana. E’ lei che li ha arruolati, armati, ha noleggiato un piroscafo in partenza da Napoli, ora li guida. Sarà la strenua resistenza di questi volontari non addestrati (insieme a quella degli studenti toscani), il 29 maggio 1848, a Curtatone, nei pressi di Mantova, a frenare per sette ore gli austriaci e l’avanzata del più potente esercito europeo (in 6mila e con 11 cannoni contro 16mila fanti, 2mila cavalli ed 8 batterie di artiglieria) e permettere così ai piemontesi di organizzarsi e vincere a Goito il giorno dopo. In quei giorni anche Cristina combatte: con la penna in mano. Per farlo - mentre il governo provvisorio è paralizzato da veleni politici interni e guarda con sospetto all’attivismo di una donna - fonda due fogli politici, “Il Crociato” e “La Croce di Savoia”, per promuovere il plebiscito in cui vince il sì per l’annessione della Lombardia al Piemonte. Quando ad agosto le sarà ormai chiaro che Carlo Alberto ha trattato la resa con Radetzky mentre andava promettendo la vittoria agli insorti la sua vendetta saranno degli impietosi articoli sulla francese “Revue des Deux Mondes” (dei quali 25 anni dopo la corte sabauda certo si ricorderà non invitandola, unica nobildonna a Milano, alle celebrazioni per festeggiare l’unità italiana). Ricca, mazziniana, cosmopolita, tre anni prima Cristina aveva comprato e diretto la rivista patriottica la "Gazzetta italiana", che si stampava nella Parigi in cui il suo salotto era stata la seconda patria degli esuli italiani, e l’aveva fatta diventare il foglio antiaustriaco “Ausonio" - redazione a Torino, poi a Napoli - per offrire una tribuna alla causa unitaria e monarchica. La rivista politica riceverà più da una critica, non fosse altro perché diretta da una donna. Non era mai accaduto prima. Fino ad allora il giornalismo femminile si esprimeva quasi esclusivamente nel campo dei periodici femminili dedicati alla moda e alla cultura, sul modello delle gazzette settecentesche francesi che avevano visto nascere il primo pubblico femminile di lettrici (e nella seconda metà del ‘700 compaiono le prime toelette trasformabili in scrittoi, leggii che consentono di leggere e cucire allo stesso tempo e una apposita mantellina, la liseuse, per rendere la lettura più confortevole). Si era iniziato con le incisioni di figurini, poi con le didascalie descrittive, quindi si era passati agli articoli. Modello di riferimento dei periodici italiani era il “Journal des Dames et des Modes”, fondato da Madame de Beaumer nel 1759. Il primo apparve nel 1770 a Firenze: il mensile “La Toeletta” che parlava di letteratura, moda e bellezza. Seguirono i fiorentini “La Biblioteca galante (1775), il Giornale delle dame (1781) e il milanese il Giornale delle dame e delle mode di Francia” (1786), primo giornale illustrato, i veneziani “La donna galante ed erudita (1786) e il Magazzino di tutte le mode e del buon gusto (1791). E veneziana è Elisabetta Caminer, una delle più importanti giornaliste del secolo dei Lumi. In sostanza inizia la sua carriera facendo quello che facevano per lo più i giornalisti italiani del suo tempo: 17enne traduce gli articoli dei giornali francesi per pubblicarli sulla rivista del padre, “L’Europa Letteraria”. Ma lei ha qualcosa di più e diventa la prima opinionista della storia del giornalismo italiano. Neanche 18enne si permette di rispondere al drammaturgo Carlo Gozzi il quale si lamentava che sull’“Europa” le sue opere avessero ricevuto critiche non lodevoli da quella “giovinetta” la quale “prometteva di potersi ridurre un ornamento delle nostre società” che “fu eccitata a non contentarsi d'una cultura filologica, ma a divenire capitanessa d'un Giornale”. Lei, affatto intimorita, replica così al fratello di Gasparo Gozzi, il fondatore nel 1760 della Gazzetta Veneta (che importò il modello dello “Spectator” inglese del 1711, l’antesignana delle riviste mentre il primo quotidiano conosciuto è sempre inglese, il Daily Courrant, del 1702), uno dei  primi giornali italiani: "Il teatro italiano trovasi oggi abbandonato alla Donna Serpente e al Re Cervo....e ad altre simili scurilità”. Elisabetta, intanto diventata moglie del celebre naturalista Antonio Turra, apre  a Vicenza un noto salotto (dove Parini le dedica l'ode "La magistratura") e dirige “Il Giornale Enciclopedico” (1774), in collaborazione con il naturalista  Alberto Fortis, che diviene uno dei periodici culturali più importanti della sua epoca. Su di esso Elisabetta risponde a Montesqueiu il quale lamentava il “vizio radicale” delle femmine “le quali fra noi si mescolano da per tutto, e alla fine distruggono, e mandano ogni cosa in rovina". Caustica la reazione di Elisabetta per scardinare la “massima universale, che tutto il male de' Governi provenga dalle donne”: “Le donne in Oriente non hanno influenza negli affari domestici, e molto meno nelle costituzioni de' Governi; eppure ognuno sa, se sieno essi i meglio amministrati". A fermare la sua carriera una morte prematura, per cancro al seno, nel 1791. Quell’anno, a Parigi, a settembre la scrittrice Olympe de Gouges presenta una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. In piena Rivoluzione francese lamenta che nell’egualitaria nuova costituzione repubblicana le donne restano cittadine a metà. “La donna ha il diritto di salire sul patibolo; essa deve avere egualmente il diritto di salire sulla tribuna” scrive provocatoriamente. E sarà una tragica profezia nella Francia che si avvia verso il Terrore. L’attacco a Marat per le stragi del 1792 contro il clero, lo scontro con Robespierre che sospetta aspiri alla dittatura, la condurranno, il 3 novembre 1793, a 35 anni, alla ghigliottina. L’anno prima Mary Wollstonecraft  aveva pubblicato “Vindication”, il saggio che segna l’origine del femminismo britannico: “E’ giunto il tempo di restituire alle donne la loro dignità perduta”. Nel 1804 il Codice napoleonico “sancirà” l’inferiorità della donna nei confronti dell’uomo. Ma proprio la Francia, nel 1832, pubblica il primo giornale femminile emancipazionista, organo del movimento sansimoniano, in cui le redattrici si firmano con il solo nome di battesimo per marcare l’indipendenza dal marito: "La donna libera" verrà chiuso d’imperio due anni dopo.

La sua rivoluzione proto-femminista nel mondo editoriale l’Italia la vivrà invece nel suo “Quarantotto”. A Venezia solo per 9 numeri compare il trisettimanale repubblicano “Circolo delle donne italiane” che parla di notizie politiche e militari, attacca il clero e finisce nel mirino del Patriarca. A Roma, tra aprile e novembre, esce il settimanale “La donna italiana” che rendiconta  le iniziative delle donne italiane per la causa dell’indipendenza e riunisce nella sua redazione firme di intellettuali patriottiche come le toscane Amelia Calani e la pedagoga Luisa Amalia Paladini. E ha la sua svolta patriottica anche la testata femminile ottocentesca di maggiore successo: il Corriere delle Dame, fondato a Milano nel 1804 da Carolina Arienti, moglie del giornalista romano Giuseppe Lattanzi, tra le prime riviste femminili ad accompagnare ai tanto richiesti figurini di moda delle illustrazioni e, alle tematiche di costume, quelle politiche e sociali (diverrà celebre la rubrica “Il termometro politico”). Il 23 marzo 1848, Milano appena liberata dagli austriaci, annuncia che in ogni numero seguirà la cronaca rilanciando le notizie del “giornale officiale del governo provvisorio". E il 9 aprile segnala l’ingresso in città della Belgioioso con i suoi volontari e gli esempi delle tante milanesi che “si adoperano col prestare alloggio e assistenza ai feriti”. E in quel ’48 il Corriere - grazie al nuovo editore Alessandro Lampugnani (già creatore della fortunata rivista “Le ore casalinghe”, che quello stesso anno fonda “La Ricamatrice” raccomandato alle “signore che hanno a cuore le cose nazionali” nei quali ai ricami si mescolano firme letterarie: Ippolito Nievo fu uno dei suoi collaboratori più assidui) - rivoluziona anche il modo di intendere la moda, facendola entrare nel costume politico. Con la pubblicazione dei suoi figurini consacra ufficialmente il costume alla lombarda dei combattenti delle Cinque Giornate, la blusa di velluto nero con il grande colletto bianco e il cappello alla calabrese. E il 20 luglio 1848 scrive:  “Abbiamo visto la moda dei vestiti di velluto proposta per danneggiare le case commerciali della Germania; poi i cappelli acuminati, simbolo della rivoluzione napoletana, calpestati al loro apparire dal bastone della polizia; ma risorti più tardi a nuova e gloriosa vita, accompagnarsi con le fogge svelte e marziali dei popoli della Calabria”. E nel 1859 arriverà a scrivere: "Ormai per la toeletta di un giovane elegante è indispensabile l'uniforme militare, colla virtù e la coscienza di ben portarla". Ma sarà “grazie” all’entrata in vigore nel 1865 del Codice Pisanelli - il quale sancisce che qualsiasi attività femminile va sottoposta all’autorizzazione maschile, in campo sia giuridico che commerciale - che nasce in Italia la stampa femminile emancipazionista. Il primo gennaio di quell’anno, a Parma, esce il primo numero de "La Voce delle Donne" fondato e diretto dalla giovane piemontese Giovanna Garceà Bertola. Titolo di prima pagina: "Diritti e doveri, istruzione e lavoro per la donna!". Pubblicato per due anni, con la collaborazione della nota emancipazionista milanese Anna Maria Mozzoni, rappresenta “il primo grido del rinascimento intellettuale della donna”. E infatti finirà condannato dall’Arcivescovado e bruciato. Quindi nel 1868, a Padova, la 26enne Guadalberta Adelaide Beccari, cresciuta in una famiglia mazziniana, segnata da incontri con le patriottiche “madri” del Risorgimento Laura Solera Mantegazza, Sara Nathan ed Adelaide Cairoli, fonda il quindicinale “La Donna”, che rappresenta la prima pubblicazione nazionale espressamente al servizio delle rivendicazioni femminili (dalla parità di salario ai diritti politici, dal divorzio all’istruzione) con l’ambizioso programma di costruire la "madre cittadina" necessaria alla nuova Italia unita. Malgrado la “soavità” della sua fondatrice - dai modi discreti e afflitta da disturbi nervosi - la sua creatura editoriale (grazie anche al suo trasferimento nell’operosa Bologna) diventa per un trentennio la palestra per le maggiori firme del proto-femminismo italiano: Anna Maria Mozzoni, appunto (che tiene la prima rubrica scientifica - di fisica - redatta da una donna). Ma anche la socialista e suffragista torinese Emilia Mariani, la scrittrice veneta Malvina Frank, schierata per il divorzio e la mazziniana fiorentina Giorgina Craufurd che nel 1857 ha sposato Aurelio Saffi, esule italiano a Londra, già triumviro della Repubblica Romana nel 1849, una delle firme più importanti nella lunga campagna contro la prostituzione di Stato e a favore del voto alle donne, che impegna “La Donna” a partire dagli anni Settanta. Beccari morirà tuttavia poverissima, nel 1906, a Bologna.

Tra i giovani del battaglione Belgioioso che entrano a Milano nel Quarantotto c’è anche il giovane avvocato napoletano Giorgio Tommaso Cimino. Ha appena sposato la ventenne Aurelia Folliero, figlia della scrittrice Cecilia De Luna, l’arcade Calliroe Sebezia, che nel 1826 ha raggiunto il successo con l’opera “Mezzi onde far contribuire le donne alla pubblica felicità ed al loro individuale ben essere”, prima donna eletta nella Accademia Pontaniana. Nel 1872 Aurelia, anche lei scrittrice e tra le collaboratrici de “La Donna” (e madre di Emilia che a Londra diventerà una attivista con le più famose suffragiste inglesi, Emmeline Pankhurst e le sue due figlie, finendo anche imprigionata), fonda a Firenze il quindicinale “La Cornelia” che si distingue nell’ormai ricco panorama dell’editoria femminile di impronta educativa della seconda metà del secolo (si contano ormai circa 50 testate). Aurelia nel primo numero spiega che “intende nobilitare la donna istruendola e dandole la giusta idea dei suoi doveri e dei suoi diritti” e che quindi si rivolge “non alle donne paurose e avvilite per lungo abito alla rassegnazione né a quelle le quali appoggiando le oppresse temerebbero far indovinare i loro dolori che per orgoglio tengono nascosti ma alle donne amate, liete e potenti, alle mogli felici, alle madri fortunate e a tutte quelle cui la società prodiga onori e piaceri”. Per la prima volta la rivista presenta una bacheca di proposte di legge e iniziative. Vi collaborano, tra le tante firme, Erminia Fuà, la poetessa rodigina moglie del poeta-patriota Arnaldo Fusinato e Felicita Morandi, nome di punta nella riorganizzazione degli educandati del neonato regno unitario, ispettrice degli orfanatrofi femminili nel nord Italia.  L’anno prima della fondazione di “Cornelia” la Comune Parigi del 1871 aveva visto la nascita del giornale repubblicano “La Fronde”, fondato dalla socialista Marguerite Durand. Una sua collaboratrice, Caroline Rémy, nota con il nome di battaglia femminista “Séverine”, è considerata la prima donna giornalista che ha vissuto interamente del suo lavoro. Sua l’intervista a Leone XIII, la prima concessa da un papa e per di più fatta da una donna, comparsa il 4 agosto 1892 sulla prima pagina di “Le Figaro”.

La fine dell’800 segna l’avvento anche delle grandi donne del giornalismo socialista. Mentre il presidente del Consiglio Francesco Crispi sentenziava che la donna, se coinvolta nella vita pubblica, diventa da “angelo consolatore della famiglia” un “demone tentatore”,  la 23ene Rina Faccio diventa a Milano, nel 1899, la direttrice del settimanale socialista “L'Italia femminile”. Di lì a tre anni troverà  la forza per diventare Sibilla Aleramo: la scrittrice bohemienne assetata di amore per fuggire il ricordo della madre chiusa in manicomio e del figlio abbandonato per non essere più percossa dall’uomo costretta a sposare dopo esserne stata stuprata, adolescente. Ormai anziana e mito vivente del femminismo sarà una delle firme di punta di “Noi Donne”, il giornale fondato nel 1944 da Nadia Gallico Spano - una delle 21 donne elette all’Assemblea costituente -, organo ufficiale dell’Unione Donne Italiane. Nel 1912 Anna Kuliscioff - già anima della rivista “Critica sociale” al fianco del compagno Filippo Turati - crea la rivista "La difesa delle lavoratrici" insieme alla “crema” del giornalismo socialista italiano: Maria Gioia, Linda Malnati, Giselda Brebbia, Angelica Balabanoff, futura collaboratrice di Lenin (e già  fondatrice nel 1906 di “Su compagne!”, rivolto alle donne proletarie, insieme a Maria Giudice, la temeraria pasionaria socialista piemontese che dirigerà anche “Il grido del popolo”, insieme ad Antonio Gramsci). In redazione c’è anche Margherita Sarfatti che nel 1918 approderà al Popolo d'Italia, il quotidiano fondato e diretto da Benito Mussolini, allora socialista. Lei, ebrea, a fianco del futuro dittatore che la nomina poi direttrice editoriale di Gerarchia, la sua rivista di teoria politica. E, dopo aver catalizzato nel suo salotto il ceto intellettuale del regime (e aver dato al suo duce una biografia bestseller), all’avvento delle leggi razziali finirà a fare la giornalista a Montevideo.

 

( Marina Greco )

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