di Paolo Pagliaro
(19 novembre 2020) Polonia e Ungheria hanno posto il veto sul bilancio europeo e dunque hanno bloccato il Recovery Fund. Contestano il fatto che la concessione degli aiuti europei sia condizionata al rispetto dello stato di diritto, come ha chiesto il parlamento e come è previsto dall’articolo 2 del Trattato su cui è fondata l’Unione.
Contro Polonia e Ungheria è stata avviata da tempo una procedura d’infrazione per le leggi che in quei Paesi minano l’indipendenza della magistratura e per le politiche discriminatorie nei confronti delle ong e delle minoranze, a cominciare da quelle etniche.
A Bruxelles si sta dunque consumando uno scontro politico di prima grandezza, perché non ha a che fare con le compatibilità finanziarie ma riguarda i princìpi, ed è uno scontro che potrebbe mettere a rischio la stessa sopravvivenza dell’Unione a 27. I realisti dicono però che Polonia e Ungheria alla fine scenderanno a patti, perché i due paesi non solo sono tra i beneficiari netti del budget dell’Unione europea, ricevono cioè più soldi di quanti ne versano, ma sarebbero anche tra i principali destinatari dei finanziamenti a fondo perduto e dei prestiti previsti dal Recovery Fund, che ora si chiama Next Generation EU: in percentuale sul Pil la Polonia dovrebbe ricevere il 4,3 contro, ad esempio, il 3,7 dell’Italia.
Probabilmente non salterà l’Unione europea, mentre è più probabile che venga messo finalmente in discussione il principio del voto all’unanimità che ne paralizza il funzionamento.