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direttore Paolo Pagliaro

I salotti / 1 – Risorgimento a colpi di ventaglio

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

I salotti / 1 – Risorgimento a colpi di ventaglio

Non potevano certo immaginare i 1314 soldati del Regno di Sardegna uccisi dai russi e dal colera nella guerra di Crimea che, due anni dopo, a far brillare il prestigio dei Savoia agli occhi di Napoleone III sarebbe stata una guerra molto diversa: quella sul numero dei volants dei loro ricchi vestiti che le due più belle donna d'Europa combatterono nel 1856, ai balli di corte francesi. Hanno entrambe 19 anni, entrambe italiane, statuarie, conturbanti. Una è la bionda Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, divenuta mantenuta di Napoleone III per volere di Cavour (che conosceva il debole per le belle donne del potente alleato) e grazie ad abiti tanto attillati, contro ogni moda del tempo, da farla apparire una "statua di carne"; l'altra è la bruna contessa Eugenia Litta, che entro pochi anni sarebbe diventata l'amante del principe Umberto, poi re d'Italia, conquistato apparendo a mezzanotte, ad una reale festa di carnevale, nel 1862 a Milano, come una principessa delle nevi: su una slitta bianco-ora in un abito guarnito da fiocchi di neve e bianchi veli trasparenti. Entrambe hanno dei mariti che accettano in silenzio i loro tradimenti, rispettivamente i conti Francesco Verasis di Castiglione, cugino di Cavour e Giulio Litta Visconti Arese. Curiosamente moriranno entrambi 41enni: il primo, nel 1867, cadendo da cavallo al matrimonio del principe Amedeo d'Aosta, travolto dalla carrozza reale, il secondo nel 1863. Ed entrambe, quindi contesse di blasone, sono in realtà figlie naturali di amanti principeschi delle loro madri, come loro altrettanto spregiudicate. Virginia è figlia del marchese spezzino Filippo Oldoini ma nasce quando la madre, una ballerina di teatro, amoreggia con il principe Joseph Poniatowski, discendente del re di Polonia; Eugenia, sebbene riconosciuta dal conte milanese Gian Giacomo Attendolo Bolognini, è frutto della relazione extraconiugale della madre Eugenia Vimercati con il principe Alfonso Serafino Porcia. Difficile immaginare 30 anni dopo queste splendide 19enni ammirate nella dorata corte delle Tuileries: l'una autoreclusa e nevrastenica nel suo lussuoso appartamento di Place Vendome a Parigi con gli specchi coperti di veli neri per non vedere la sua bellezza sfiorire, uscire solo di notte bardata di veli, quindi sfrattata a forza per andare a finire i suoi giorni in un appartamento sopra un ristorante, nel novembre 1899, lasciando in eredità gioielli per 2 milioni di lire del tempo ad ignoti eredi, visto che l'unico figlio (che peraltro l'ha sempre odiata), Giorgio Verasis, muore di vaiolo 24enne a Madrid, nel 1879; l'altra viene invitata nella reggia di Monza dalla ormai regina Margherita solo per il gusto di vedere quanto sia invecchiata quello che dal 1864 è rimasto l'unico vero amore del marito (ma, pur odiandola, Margherita concede alla 63enne Eugenia, nel 1900, di rimanere da sola davanti al corpo di Umberto, infine assassinato da Gaetano Bresci dopo aver già scampato tre attentati anarchici). Margherita e Umberto hanno, nel 1869, un figlio, il futuro Vittorio Emanuele III, che resterà unico perché presto lei scopre il marito in atteggiamenti amorosi con Eugenia che ha concepito un figlio negli stessi mesi in cui lei partoriva il suo. Umberto ha regalato alla puerpera Margherita una collana di perle a 10 giri ed alla sua amante una a 12 giri: la stessa che Eugenia avrà l'ardire di mostrare ad una impallidita Margherita ad un ballo, su questo terreno "battendo" quindi la contessa di Castiglione, visto che a lei Napoleone III dona una collana di perle a "soli" cinque giri... Si racconta che Umberto regalava alla moglie una perla per ogni amante, tenendo testa alla fama di amatore del padre (ebbe anche un figlio con la 14enne contessa Cesarini Galli Hercolani) e peraltro Margherita divenne famosa proprie per le sue collane a più giri. Già dal 1868, da quando 24enne ha sposato la 17enne cugina Margherita, il principe Umberto ha voluto la 31enne Eugenia dama della consorte, così da permetterle di abitare senza difficoltà nei pressi della residenza reale di Monza. E compariva al fianco di Vittorio Emanuele II visto che la moglie e cugina Maria Adelaide era morta 33enne nel 1855 (dopo avergli dato 8 figli in 13 anni di matrimonio) e non poteva certo presentarsi a braccetto con Rosa Vercellana, la "bella Rosina", suo moglie morganatica dal 1869. Peraltro, già da cinque anni, Umberto ha acquartierata l'amante nella villa di Vedano al Lambro (dove Eugenia morirà nel 1914), per averla "disponibile" nelle pause pomeridiane. Un anno dopo la nascita del figlio di Margherita, Eugenia partorisce Alfonso, che il duca Litta riconosce pur sapendo non essere figlio suo.


Alfonso morirà nel 1891, solo 21enne, e alla sua memoria la madre dedicherà il primo padiglione del nuovo policlinico di Milano. Le rimarrà accanto solo il primogenito Pompeo, nato nella Parigi che l'aveva vista danzare con i suoi volants, e che dedicherà la sua vita a dilapidare l'eredità paterna (tanto che Eugenia rinuncerà a 18 dei 20 milioni lasciatigli in eredità da Umberto, per non vederseli dilapidare dalla famiglia). Pompeo sarà l'unico a dare quindi filo da torcere alla proverbiale fierezza della contessa: quella che, 19enne, con uno sguardo profondo nell'ovale perfetto del viso, sul candido collo da cigno, le fa compiere tre gesti di arditezza rimasti proverbiali: a Napoleone III che, in una passeggiata in calesse a Parigi, le chiede quale strada prendere dice: "Maestà è lo stesso, tutte le strade portano a Roma". Tre anni dopo, nel giugno 1859, ammiccherà all'indirizzo dell'imperatore "Come vedete Maestà tutte le strade che portano a Roma passano da Milano". Napoleone III era entrato vittorioso a Milano dopo la battaglia di Magenta, e Palazzo Litta era diventato il quartiere generale del generale francese Mac Mahon e si racconta che la contessa abbia quindi concesso le sue grazie a Napoleone III per i suoi tre giorni di permanenza in città, per poi flirtare anche con Vittorio Emanuele II. Inoltre nel 1857 la ventenne contessa Litta aveva anche osato sfidare l'imperatore austriaco: si era trasferita nella villa della madre a Cernobbio per non dover partecipare al ballo di corte meneghino dato da Francesco Giuseppe e da Sissi ma poi, formalmente invitata ad una cena di gala, non aveva toccato cibo e detto parola. D'altronde Eugenia, che fin da adolescente è chiamata la "bella Bolognina", dagli austriaci è soprannominata la regina delle oche, ossia le nobildonne che "starnazzano" in difesa di Roma, laddove quelle filo-austriache sono le "anatre". E lei, insieme alle sue amiche, sfida questo nomignolo indossando una fascia tricolore con la scritta provocatoria "siam sorelle, siamo strette da un patto", diserta cene e rappresentazioni alla Scala filo-austriache e più che recarsi dalla contessa russa Giulia Samoyloff, la figlia naturale dello zar Alessandro I per la cui bellezza spasimano gli ufficiali asburgici, preferisce il salotto dissidente di Carlo e Mariquita D'Adda e quelli apertamente patriottici di Carmelita Fè, vedova di Luciano Manara, martire della Repubblica romana e della contessa Ermellina Maselli, matrigna dei fratelli "martiri" Emilio ed Enrico Dandolo, che con Manara l'uno trova la morte, l'altro rinviando la sua fine a reduce della guerra di Crimea ucciso dalla tisi. Ma soprattutto Eugenia diventa una assidua ospite di Clara Maffei, la regina assoluta dei salotti politici del Risorgimento. Tornando alla "guerra dei volants" di Virginia ed Eugenia nella Parigi del 1856 si ricorda che, a profetizzare il decadimento che avrebbe aggredito anche le due belle 19enni, c'è il macabro spettacolo che la 51enne principessa patriota Cristina di Belgioioso dà di sé passeggiando nei pressi della sua casa di Montparnasse: curva per la pugnalata di un folle che le ha reciso i tendini del collo, rosa dalla sifilide, con la bocca sdentata e lo sguardo ardente ma vuoto, vagante come in cerca del suo splendore perduto, quando 24enne, nel Faubourg Saint-Honoré, teneva il salotto più importante della Parigi degli anni Trenta, proteggendo seriamente gli esuli italiani, civettando allegramente con Listz, Chopin, Rossini, Gounod, Bellini, Stendhal, Hugo, Dumas, Balzac. E Balzac, che chiamava la spregiudicata Belgioioso la Fedora "senza cuore" (mentre Stendhal si ispira a lei per la duchessa Sanseverina della Certosa di Parma), ha invece modo di far sgorgare affettuosi complimenti per un'altra nobildonna italiana che, negli stessi anni della Belgioioso salottiera a Parigi, apre a Milano il suo salotto destinato a diventare, dopo il 1848, il più importante del Risorgimento, acceso dalla presenza munifica dei "grandi vecchi" Verdi e Manzoni. Per alleviare il dolore della morte della loro primogenita, a 9 mesi, il poeta Andrea Maffei aveva spinto nel 1834 la moglie Clara, contessina bergamasca 20enne, a ricevere i suoi amici letterati. Se lui, autore del libretto dei Masnadieri di Verdi e futuro senatore potrà così a cuor leggero tornare a dedicarsi alle sue avventure libertine fuori casa, lei scoprirà che la raffinata educazione e la discendenza dalla famosa poetessa Veronica Gambara le permettono di svolgere con eleganza il ruolo di regista di quei ritrovi di letterati e patrioti vennero definiti "officine di guerra contro l'Austria avvolte da un'apparente soavità di musiche e di poesia". Così Balzac, sprofondando la pingue mole nelle poltrone della contessa milanese - dove si accomodano negli anni anche Giusti, Rossini, Carcano, d'Azeglio, Cavour, i fratelli Dandolo, Correnti, George Sand, Stendhal, Aleardi, Boito, Verga - la descrive nel 1837: "Si sarebbe cercata invano una figura più elegante, più snella e più morbida... E non era meno riccamente dotata sotto l'aspetto dell'intelligenza e dello spirito. Aveva la battuta pronta, e sapeva raccontare con una grazia e un fascino infiniti. Fatta per brillare in pubblico". Se il salotto di Clara Maffei diventa dal 1850 il centro di comando della politica espansionista cavouriana, si sostiene che se Cavour sia riuscito a far firmare a Napoleone III gli accordi di Plombières del 1858 - che impegnano la Francia ad accorrere in aiuto del Regno sardo in caso di attacco dall'Austria, ottenendo in cambio Nizza e la Savoia -, molto si deve anche alla sottoveste verde trasparente (la stessa con la quale avrebbe voluto essere sepolta) con cui la contessa di Castiglione fascia le sue esuberanti forme in una notte di ottobre del 1856, mollemente adagiata sul letto della "stanza azzurra" del castello di Campiègne, dove Napoleone III le ha fissato l'atteso rendez-vous al quale lei lavora ormai da 10 mesi. Da quando, la sera del 9 gennaio 1856, a Parigi, ha fatto il suo spettacolare ingresso nel salotto della principessa Maria Clotilde Demidoff indossando un abito rosa dalla scollatura vertiginosa, con piume altrettanto rosee fra i capelli gonfi sulle tempie ed il resto della capigliatura bionda pettinata all'indietro in una cascata di morbidi riccioli (e un testimone racconterà che "sembrava una marchesa d'altri tempi acconciata da oiseau royal"). Una apparizione che folgora non solo gli uomini ma anche le donne che, benché dame, non esitano a salire sulle poltrone per meglio ammirare quella audacissima toilette. Tuttavia, sebbene il 49enne Napoleone III, cugino della padrona di casa, abbia subito preso a corteggiare la conturbante contessa, finisce poi per dire che è "stupenda ma senza spirito". Incredibilmente, infatti, la civettuola Virginia è rimasta balbettante davanti all'imperatore, schiacciata dalla responsabilità della missione sexy-diplomatica affidatale: entrare nelle grazie - e sotto le coperte - del capo del secondo Impero. Una missione assunta d'intesa con il governo piemontese, su disegno del cugino Cavour: il primo abboccamento la contessa lo ha avuto da un suo zio, il vecchio generale Giuseppe Cigala che poi l'ha lasciata sola a "trattare" i dettagli con Vittorio Emanuele II. L'incontro, una sorta di "test" reale, viene annotato dalla stessa contessa alla data del 16 novembre 1855 nel suo leggendario diario intimo (il solo scampato alla distruzione del suo compromettente carteggio, avvenuto per ordine regio dopo la sua morte), in quel linguaggio cifrato da lei adottato per annotare le performance delle decine di amanti che collezionerà negli anni (da Rothschild a Costantino Nigra, l'ambasciatore a Parigi che "proteggerà" l'ormai decaduta Pompadour del Secondo Impero, alla sfilza di 42 nomi, dei quali 12 "amministrati" contemporaneamente, computati dopo il 1870, quando Urbano Rattazzi arriva a definirla la "vulva d'oro del nostro Risorgimento"). Del suo incontro con il gagliardo re sabaudo la contessa di Castiglione riferisce: "Alle 11 è andato via, l'ho accompagnato fino al giardino, dove egli mi ha 5... f", laddove 5 sta per una storpiatura di "e" (embrassement, abbraccio) e "f" sta per "foutre" (ma nel suo "Journal intime" la contessa conteggia anche come "b" i semplici baci e come "bx" quelli più "carichi"...). Tanto maliarda quanto calcolatrice, la contessa di Castiglione non si perdona quel suo primo tentennamento con Napoleone III e si rifà nei reali incontri a venire, tirando fuori dal suo baule di antesignana di Mata Hari uno stupefacente guardaroba che rivoluziona la moda, soprattutto intima, del tempo: abiti dalle linee morbide che sgonfiano le inamidate crinoline, corte culotte che spodestano le braghettone, scandalose giarrettiere impreziosite da gioielli e scritte erotiche, sottovesti di raso. Quindi, con un abito di velluto bianco e oro si presenta ad un ballo dal principe Gerolamo Bonaparte mentre Napoleone III ne sta uscendosi. Incrociandosi sullo scalone del palazzo lui l'apostrofa per il suo ritardo. E lei osa rispondergli che è "Sua Maestà che va via troppo presto". Poi è un abito di trasparente mussolina ad esibirla alle attenzioni reali nella residenza imperiale estiva, a Villeneuve-l'Etang. "Non appariva indecente, tanto questa stupenda creatura somigliava a una statua antica" racconta la coetanea principessa di Metternich, nipote del famoso cancelliere ed intima amica dell'imperatrice Eugenia, la moglie di Napoleone III che malamente cela la rabbia quando vede il marito partire in barchetta con la contessa di Castiglione, soli, per approdare sull'isoletta al centro di un laghetto artificiale, nella cui ombra l'imperatore riesce a strappare alla bella ospite solo un fugace bacio. E dire che, nello stesso periodo, Virginia sta concedendo ben altro al giovane conte Francesco di Puliga che si occupa di trasmettere i messaggi sui progressi della missione ad un preoccupato Cavour che, intanto, lavora anche su di un altro fronte amoroso: le nozze che si sarebbero celebrate il 30 gennaio 1859, a Torino, tra Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, e Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte, cugino di Napoleone III. Chissà quindi lo statista con quanto sollievo apprende della notte di amore autunnale del 1856 che vede l'imperatore, in veste da camera viola, entrare da una porticina nella stanza in cui l'attende la contessa seminuda, con i suoi fiammeggianti occhioni verdi-azzurri. Nel suo diario scriverà: "Vidi la sua ombra avvicinarsi al letto. Si abbassò e io chiusi gli occhi. Il mio destino si compì. La pendola batteva le due. Ero sola. Aveva suonato l'una e mezzo quando la porta si era aperta. Era stata sufficiente soltanto una mezz'ora per fare di me una imperatrice". All'inizio del 1857 Virginia è ormai diventata l'amante ufficiale del nipote di Bonaparte, con un favoloso "mensile" di 50mila franchi, profusione di regali preziosi, tra cui anellone con smeraldo del valore di 100mila franchi con la sigla "Vniarpgoilneioen" che lei esibisce sfacciatamente a corte, un ingioiellato "copri-vulva" imperiale, antesignano del perizoma, e pregiati merletti che servono ad abbellire le lenzuola di seta nera (altra delle "invenzioni" della contessa). L'alcova è allestita in un lussuosa residenza vicino ai Campi Elisi dove, da una discreta porticina in giardino, l'imperatore, con tanto di scorta militare lasciata a guardia, può entrare per le sue rapide sortite. Qui la sera del 2 aprile 1857 un poliziotto corso accoltella un uomo armato. La contessa finisce interrogata dalla polizia come sospetta mandante di quello che viene bollato un tentato attentato anarchico, lei sostiene di essere vittima di un complotto tesogli dalla gelosa imperatrice Eugenia (ed infatti l'ucciso risulta essere anche lui un poliziotto corso). Fatto sta che data da allora il progressivo raffreddamento dell'amante imperiale che intanto, nel gennaio 1858, sfugge per un soffio ad un vero attentato terroristico, quello a colpi di bombe di Felice Orsini, poi ghigliottinato. A conclusione della seconda guerra d'indipendenza, nel luglio 1859, la stella di Virginia presso Napoleone tramonta del tutto, salendo quella della contessa contessa Walewska, moglie del ministro degli Esteri. L'imperatrice Eugenia riesce finalmente a fare espellere l'odiata rivale che se ne torna a Torino dove, lei, la donna più chiacchierata d'Europa, trova sbarrati al suo ingresso i salotti della città. E d'altronde non poteva essere diversamente visto che il più famoso in città è il salotto "Millerose" che accoglie letterati, artisti, ma anche patrioti ed esuli stranieri per volere della tanto colta quanto religiosa Olimpia Rossi, moglie del barone Andrea Savio, amico e consigliere di Cavour, che si appresta a perdere in battaglia due figli ufficiali di artiglieria (Alfredo 22enne il 1860 nell'assedio di Ancona ed Emilio, 24enne nel 1861 durante quello di Gaeta). Lutti che accenderanno ulteriormente la fede religiosa della contessa Olimpia facendola approdare all'incontro con don Giovanni Bosco, del quale diverrà entusiasta benefattrice. In quello stesso salotto è poi di casa anche l'ormai 74enne vandeana Juliette Colbert ,alias marchesa Giulia Falletti di Barolo, che da una decina d'anni piange la perdita di quello che è stato il suo fedele bibliotecario per vent'anni - il Silvio Pellico reduce dalla prigione dello Spielberg - ma forse anche di più se si arrivò a parlare, lei rimasta vedova a 53 anni - di un suo possibile matrimonio con lo scrittore. Sarebbe stato quindi molto imbarazzante se la contessa di Castiglione avesse diviso il sofà con la vecchia filantropa che, oltre ad avere assunto su consiglio di Cavour il celebre enologo Oudart per trasformare il robusto vino delle sue vigne nel grande Barolo, da oltre mezzo secolo si dedica alle maggiori attività benefiche della città, dal "rifugio per le donne peccatrici" ad asili, ospedali, scuole gratuite, monasteri, assistenza alle carcerate e ai poveri (il suo Palazzo Barolo che la sera ospitava l'èlite culturale della città, il giorno vedeva infatti sfilare i 200 poveri della mensa). Non è dato sapere se i due maggiori salotti patriottici della Torino del 1859 - quello della 55enne Giuditta Sidoli, già amante di Mazzini e "segretaria" della Giovine Italia negli anni dell'esilio di Marsiglia e quello della 66enne marchesa Costanza Alfieri, moglie di Roberto d'Azeglio, che si è fatta promotrice di iniziative in aiuto dei feriti, ricevendo la medaglia d'oro - abbiano in cuor loro riconosciuto i "meriti" patriottici della giovane contessa di Castiglione. Comunque il 61enne cognato di Costanza, Massimo D'Azeglio, conia per Virginia il diminutivo di "Nicchia", con un gioco di parole tra il vezzoso Virginicchia e il suo modo vezzoso di rannicchiarsi ed il rimando alla sua "intimità" così prodiga. La storia conserva la memoria anche di una seducente contessa cui si deve il germinare del seme del Risorgimento veneto. Elena Monti, ancora splendida nei suoi 50 anni, moglie di un generale francese, amante del duca Francesco IV di Modena, al quale ha dato due figli, ed amica della moglie di Napoleone ed imperatrice Maria Luisa, organizza l'11 novembre 1818, nella sua villa di Fratta Polesine, una cena carbonara. E' lei che tira le fila della prima cospirazione anti-austriaca in terra veneta che vede riuniti possidenti, religiosi, intellettuali, funzionari. Peccato che quell cena di San Martino (che ogni 11 novembre viene rievocata con figuranti in maschera e fuga finale in carrozza) finisca con una retata degli austriaci, le deportazioni degli arrestati nello Spielberg in cui già langue Silvio Pellico, i polpastrelli del "congiurato" don Fortini scorticati per vendicarsi di un religioso che ha "toccato il male", la morte della contessa un anno dopo per le sofferenze patite in carcere.

( Marina Greco )

 

 

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