di Paolo Pagliaro
(15 ottobre 2021) La più massiccia e costosa operazione di lobbying della recente storia europea non impedirà che la prossima settimana anche il parlamento italiano dia finalmente il via libera al recepimento della direttiva sul copyright, che obbliga le grandi piattaforme tecnologiche, cioè Facebook e le sue sorelle, a rispettare il diritto d’autore, riconoscendo un compenso alle fonti da cui esse traggono immagini, musica e soprattutto notizie. Un saccheggio che, sommato all’uso improprio di miliardi di dati personali forniti dagli utenti, fa sì che le 5 più grandi aziende tech siano oggi la terza potenza economica mondiale dopo Usa e Cina.
Il testo del decreto che recepisce la direttiva europea è il frutto di una lunga e approfondita istruttoria condotta con il Dipartimento dell’editoria, e ora può vedere la luce anche perché il clima politico è cambiato. Non è più decisivo il no dei 5 Stelle, strenui oppositori di una riforma considerata un “bavaglio alla libertà della rete”.
La direttiva sul copyright è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti europei che mirano a rendere più equo e trasparente il mercato digitale. Sono in cantiere altre misure contro la violazione della privacy, la disinformazione programmata, l’irresponsabilità delle piattaforme rispetto ai contenuti che veicolano.
Per fare pressione sulle istituzioni europee e ridurre il danno, l’anno scorso le multinazionali della Rete hanno speso in attività di lobbying 97 milioni di euro. Soldi utilizzati per pareri di esperti, report, conferenze, incontri, sponsorizzazioni, secondo quanto si legge in un’inchiesta di Altraeconomia. La direttiva che protegge il diritto d’autore non era quindi un risultato scontato.
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