di Paolo Pagliaro
I prezzi dell’energia stanno perdendo ogni aggancio ai costi di produzione. Questa consapevolezza ha spinto il governo a tassare gli extraprofitti di tutte le imprese dell’elettricità, del gas e dei carburanti. Con l’una tantum del 10% annunciata venerdì, Draghi intende finanziare il taglio delle accise e dunque la riduzione del prezzo della benzina. Misure analoghe sono state prese o sono in discussione in Francia, Gran Bretagna, Spagna e in altri paesi dell’Unione.
L’extraprofitto è il guadagno che deriva da situazioni di mercato più che da meriti dell’imprenditore, e in qualche caso ha a che fare con la speculazione. L’Europa stima in 200 miliardi il valore degli extraprofitti incassati dalle imprese energetiche e 20 di questi miliardi riguardano le aziende italiane o operanti in Italia, come Eni, Enel, A2A, Hera, Edison, Acea, Iren, Sorgenia, Shell, Ip. Quasi tutte sono quotate e in un anno il loro valore in Borsa è aumentato del 18%.
Contestano il prelievo sugli extraprofitti i petrolieri, e c’era da attenderselo. Ma è contraria anche Confindustria, che giudica la tassa incostituzionale; e questo è meno ovvio, anzi è sorprendente, come fa notare Carlo Calenda, che oggi sulla Stampa ricorda come i profitti sull’energia fatti in "tempo di guerra" vadano a danno di tutte quelle imprese manifatturiere e dei trasporti, che Confindustria dovrebbe rappresentare.
Il fatto è che sui bilanci di Confindustria, osserva non senza malizia l’ex ministro, pesano molto le quote versate dalle grandi aziende pubbliche dell’energia. Queste spiegherebbe l’attività di lobbying contro il provvedimento annunciato da Draghi. Che poi l’azionista di riferimento di Eni ed Enel sia lo Stato, sembra a tutti un dettaglio trascurabile.