di Paolo Pagliaro
Era forse inevitabile, che si rileggessero alla luce della guerra in Ucraina i nostri trascorsi rapporti con Mosca E’ ciò che sta accadendo a proposito dell’istituto Spallanzani, dove una collaborazione di tipo scientifico avviata durante la pandemia assume ora le sembianze di un’operazione di spionaggio. Più o meno lo stesso sospetto aleggia sulla missione a Bergamo, nel marzo 2020, di un centinaio di medici, infermieri e bonificatori russi. Le polemiche di questi giorni su entrambi gli episodi hanno il sapore di un regolamento di conti a fini di politica interna.
Ma negli ultimi anni i rapporti con Mosca sono stati soprattutto di affari, e in questo caso la memoria è più selettiva. Nel decennio 2012-2021 gli investimenti russi non sono finiti solo nella City di Londra o nei forzieri delle banche di Cipro, ma hanno sfiorato i 6 miliardi anche in Italia. Hanno arricchito immobiliaristi e proprietari di ville a Forte dei Marmi o sulla costiera amalfitana, a Punta Ala o a Porto Cervo. Hanno consentito di acquisire quote e controllare imprese che si occupano di energia, alimentare, finanza, tecnologia.
Grazie agli acquisti cominciati nel 2014 e conclusi nel 2018, il magnate Roman Trotsenko è diventato il primo azionista della società che gestisce l’aeroporto di Grosseto, un’infrastruttura militare, base del 4° stormo dell’Aeronautica e dei suoi caccia ma in certi periodi aperto anche al traffico civile per voli charter.
Molti dei soldi investiti in Italia hanno un’origine opaca, e talvolta criminale, come documentano Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci nel loro libro “Oligarchi”, pubblicato da Laterza. Ma non risulta che qualcuno, pur avvertendo il cattivo odore, si sia mai voltato dall’altra parte.