di Paolo Pagliaro
Franco Bernabè e Massimo Gaggi hanno scritto una controstoria dei nostri anni, gli anni della Grande Illusione: quella che la tecnologia ci avrebbe aiutati a costruire una società più aperta, informata e consapevole. Invece è accaduto il contrario: il regno della libertà digitale, in cui chiunque puo esercitare il diritto a esprimere la propria opinione, si e rivelato un formidabile strumento di controllo sociale.
Il libro, edito da Feltrinelli, si intitola “Profeti, oligarchi e spie”, che sembra il titolo di un thriller e invece allude a quell’impasto di intelligenza visionaria, arroganza monopolistica e utilizzi impropri che chiamiamo Internet. Mentre i mezzi d’informazione giornalistica capaci di stimolare il pensiero critico sono sempre più marginali, così come perdono vitalità i partiti politici quale luogo di discussione e di costruzione del consenso, la tecnologia propone la propria narrazione ingannevole di un mondo radicalmente democratico, perché accessibile a tutti senza limiti e vincoli. Gaggi e Bernabè – per le loro biografie certo non sospettabili di luddismo - smontano questa ideologia in 300 documentatissime pagine. Ricordano che tutte che le rivoluzioni tecnologiche degli ultimi secoli – dalla macchina a vapore all’elettricità – hanno creato nuovi settori produttivi, mentre il digitale si è limitato a colonizzare settori già esistenti. Decrittano i meccanismi della manipolazione politica e della sorveglianza di massa, mettono in guardia contro la presunta saggezza dell’algoritmo, denunciano l’assenza di regole. Citano Larry Page, fondatore di Google, secondo il quale “vecchie istituzioni come le leggi non stanno al passo con il progresso tecnologico”: loro, i due autori, credono che di nuove leggi ci sia invece un urgente, bisogno e che il compito spetti a noi, che potremmo essere l’ultima generazione in grado di ricordare com’era la vita prima della rivoluzione digitale.