di Paolo Pagliaro
L’inchiesta di Bergamo sul covid fotografa il disordine istituzionale ampiamente sperimentato nei due anni di pandemia. Nel mirino della procura sono finiti infatti il governo centrale e gli amministratori regionali, i dirigenti delle agenzie sanitarie e quelli della protezione civile. Mancano sindaci e prefetti (e forse anche qualche magistrato), ma per il resto il quadro dei poteri pubblici chiamati in causa sembra completo. e riflette la confusione che nei primi terribili mesi di emergenza sanitaria spesso impedì di capire chi dovesse fare che cosa.
Ricordiamo tutti il rimbalzo di responsabilità tra Roma e Milano, le divergenze tra le regioni e il comitato tecnico scientifico, le pressioni delle imprese contro il lockdown, le direttive contrastanti sui tamponi e l’uso delle mascherine, le rivendicazioni di sovranità regionale persino sulla app per il tracciamento dei contagi, la piccola e drammatica geopolitica delle zone rosse, la diversa resilienza della medicina territoriale e della rete ospedaliera, per cui essere nati in una città piuttosto che in un’altra significava salvarsi invece che morire. In quei giorni fu chiaro che avere tanti diversi sistemi sanitari quante sono le Regioni, non stava aiutando l’Italia.
Ora ci si aspetterebbe che su questa esperienza la politica riflettesse prima di perfezionare il progetto della cosiddetta autonomia differenziata, che sembra destinata a perpetuare squilibri e divari. Nel suo saggio intitolato “Le regioni dell’egoismo”, il giurista Mauro Sentimenti non si fa però illusioni e dice chi di sè stessi i nostri governanti potrebbero dire, con Musil: “abbiamo visto molto ma non ci siamo accorti di niente”.