di Paolo Pagliaro
Ogni giorno il centro contatti dell’Anac riceve circa 1500 richieste di informazioni sul corretto utilizzo degli strumenti anticorruzione previsti dalle varie leggi. Tema di grande attualità visto che nel 2022 – grazie soprattutto al Pnrr - il valore complessivo degli appalti pubblici di importo superiore a 40.000 euro è stato di 290 miliardi, con un incremento di quasi il 40% rispetto al 2021, e del 56% rispetto al 2020. Un traffico imponente, con l’Anac nel ruolo di torre di controllo. Quindi con il compito non tanto di rilevare gli incidenti, quanto di prevenirli.
L’Autorità nazionale anticorruzione è entrata nel suo decimo anno di vita e grazie anche all’impegno dei suoi due presidenti – prima Raffaele Cantone, poi Giuseppe Busìa - la classifica di Transparency International sulla corruzione percepita dice che dal 2014 a oggi l’Italia è migliorata di 28 posizioni avvicinandosi alla media dei paesi europei. Come nel caso del fisco, anche in quello degli appalti trasparenza e legalità sono in buona parte frutto della digitalizzazione dei processi. I politici, i funzionari e i tecnici che se ne sono occupati sono i veri riformisti.
Nella relazione che ha presentato oggi al Parlamento, Busia ha elencato le molte cose che ancora non vanno. Le stazioni appaltanti sono troppe, 39 mila, e l’Anac intende dimezzarle. Le gare sono poco concorrenziali e il numero dei partecipanti resta molto basso. Le piccole e medie imprese sono discriminate. E’ stato un errore eliminare il divieto dei subappalti a cascata. e rinunciare all’obbligo di dichiarare il ittolare effettivo dell’impresa. Molte imprese vincitrici non rispettano l’obbligo di assumere una quota di giovani e di donne. E in alcune concessioni pubbliche, come il Ponte sullo Stretto, ci sono molti rischi per lo Stato e quasi nessuno per i privati. E qui anche Busìa si è fatto oggi i suoi nemici.
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