L’atletica è la regina degli sport e assieme al calcio può vantare la maggior copertura mediatica globale. Esperti di economia e scienze sociali tengono in gran conto i risultati delle competizioni internazionali di atletica per comprendere il grado di sviluppo degli Stati.
Tutti possono correre, saltare, lanciare con scarsi o nulli mezzi. Ma per ottenere importanti risultati occorre un contesto fatto di strutture; attrezzature; competenze tecniche, biologiche, mediche; risorse pubbliche e private ecc. ecc. Esistono nazioni “povere” che, per particolari condizioni, sfornano campioni che spesso si trasferiscono nei paesi più ricchi e strutturati per poter continuare al massimo la carriera, pur proseguendo, non sempre, a gareggiare per la nazionale del proprio paese.
Agli ultimi mondiali di Budapest, che si sono conclusi domenica con la partecipazione di 202 nazioni e di oltre 2.100 atleti, si è verificato, in negativo, un risultato clamoroso: la Germania non ha conquistato neppure una medaglia. Zero.
Fino al 2020 c’era il celebre bilancio “schwarze Null” dei conti pubblici tedeschi. Adesso siamo al Null nel medagliere mondiale.
La Germania è sempre stata una potenza sportiva. Al netto delle mancate partecipazioni alle competizioni post belliche e alla divisione seguita al conflitto mondiale, la Germania (in tutte le sue espressioni politico-amministrative) nel medagliere olimpico complessivo sarebbe terza dopo Usa e Russia-Urss. E nell’atletica i tedeschi (Est più Ovest) in alcune particolari occasioni sono stati capaci di superare gli Stati Uniti.
I dati economici e sociali che ci parlano di una Germania in difficoltà sono stati anticipati da altre discipline sportive e adesso vengono confermati da questi mondiali di atletica. Questa competizione iridata ci ha detto altre cose: L’India è in crescita, lo sviluppo cinese ha rallentato, anche la Francia è in difficoltà (ha conquistato una medaglia in extremis). Gli Stati Uniti - stante la situazione russa - non hanno al momento rivali. Particolare la situazione della Gran Bretagna dove, nonostante i forti tagli di bilancio avvenuti in diverse federazioni sportive, per il momento i risultati continuano ad arrivare. Da analizzare la Norvegia che grazie alle risorse del fondo sovrano è da tempo ai vertici dello sport mondiale. E l’Italia? Benino. Siamo maestri nel lamentarci e nel fasciarci la testa, ma il nostro movimento sportivo più autentico (il calcio in fondo è un giuoco e non uno sport) continua a farsi valere perché si basa su un tessuto sociale ed economico che, nonostante i tanti problemi, resiste.
Da segnalare che il nostro paese ha portato in finale, nelle staffette 4x400 metri, sia la rappresentativa maschile che femminile. Per alcuni analisti la 4x400 rappresenta un buon parametro delle capacità di un Paese perché in pochissimi minuti (quattro “giri della morte”) ci mostra la forza del movimento e della cultura sportiva di un paese, che sono necessariamente il riflesso delle sue capacità economiche e sociali. Non a caso l’India ha portato in finale la sua 4x400 maschile i cui componenti sono ormai eroi, ma sarebbe meglio dire miti, nazionali alla pari di Neeraj Chopra, il formidabile giavellottista, già medaglia d’oro olimpica, che ha confermato la sua leadership a Budapest. Chopra risulta essere l’atleta su cui sono stati scritti più articoli tra tutti i campioni dell’atletica, il che ci dice anche della crescita, pur tra problemi e censure, dell’informazione in India.