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direttore Paolo Pagliaro

“Il Fotoreporter”: a Roma i celebri scatti di Robert Capa

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“Il Fotoreporter”: a Roma i celebri scatti di Robert Capa

In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capa, dal 21 settembre alle ore 19.30, presso la Galleria dell’Accademia d’Ungheria in Roma, si terrà la mostra fotografica “Robert Capa, il fotoreporter”. L’esposizione, organizzata in collaborazione con il Robert Capa Contemprary Photography Center Budapest, resterà aperta al pubblico fino al 19 novembre, ad ingresso libero. La selezione della mostra presenta settantacinque immagini della sua vita, dalla foto che cattura la conferenza di Trockij (una delle sue prime commissioni) a quella scattata durante la guerra d’Indocina. Grazie alle fotografie acquistate nel 2008, quello di Budapest è diventato uno dei centri di riferimento del patrimonio Capa, insieme ai centri di New York e di Tokyo. La serie intitolata Raccolta Master III (Master’s Set III) che documenta la vita di Robert Capa, comprende 937 ingrandimenti realizzati negli anni ‘90. Queste fotografie sono state selezionate da Cornell Capa (fratello minore di Robert Capa) e dallo storico della fotografia Richard Whelan (monografista di Robert Capa) tra il 1990 e il 1992 tra quasi 70mila negativi lasciati da Capa. Le fotografie in mostra sono state selezionate dalle immagini della collezione ungherese Robert Capa Master Collection, conservata nel Centro di Fotografia Contemporanea Robert Capa di Budapest. Robert Capa (22 ottobre 1913 - 25 maggio 1954), il fotografo di fama mondiale nato a Budapest, fu testimone oculare degli eventi storici che hanno determinato il XX secolo, nonché messaggero in ventitré paesi di quattro continenti. Per tutta la sua vita sostenne che il linguaggio universale della fotografia potesse apportare cambiamenti, rendendo il mondo un posto migliore. Fu in grado di vedere ciò che gli altri non riuscirono e, con il suo cambio di prospettiva, seppe dare una nuova definizione alle cose, avvicinandosi al mondo con un nuovo approccio. La sua empatia e umanità hanno caratterizzato tutte le sue attività: è stato uno degli “avventurieri etici”, secondo le parole di Henri Cartier-Bresson, e l’atteggiamento morale nelle sue immagini è d'esempio ancora oggi. La mostra rende omaggio all’uomo che vide cinque campi di battaglia e, corpo a corpo con la morte, documentò la storia dando una nuova definizione alla metodologia della fotografia di guerra. Conquistò fama mondiale grazie alla fotografia scattata durante la guerra civile spagnola, intitolata Morte di un miliziano lealista, fronte di Córdoba, Spagna nel 1936. Questo periodo fu tra i più tristi della sua vita, segnato dalla tragica perdita della sua compagna, la collega di origini polacche Gerda Taro. Capa scattò fotografie di soldati e partigiani, raffigurandoli sia in momenti di vita quotidiana che durante le battaglie, dalla posizione dell’osservatore partecipe ed empatico. Era lì con loro, ed è da molto vicino che scattò le sue fotografie. Famose sono le sue parole al riguardo: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, non eri abbastanza vicino”. Su suggerimento di Capa, insieme ai fotografi Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David “Chim” Seymour, nel 1947 fu fondata l’agenzia Magnum Photos. (gci)

A FERRARA IL FUMETTO DELLA RIVISTA “LINUS”

Alla scoperta della storia del fumetto: dallo scorso 8 settembre fino al 26 dicembre, presso il Castello Estense di Ferrara, arriva la straordinaria mostra che riunisce per la prima volta le 700 copertine originali della storica rivista "Linus" dal 1965, data della sua fondazione, a oggi. Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra il Comune di Ferrara, Fondazione Ferrara Arte, Fondazione Elisabetta Sgarbi, La nave di Teseo e Baldini+Castoldi. In anteprima assoluta una grande esposizione che attraversa i 58 anni della rivista “Linus”, concepita in occasione del centenario della nascita di Charles M. Schulz, l’autore dei mitici Peanuts. Da Giovanni Gandini, Umberto Eco e Oreste del Buono, fino all’attuale direzione di Elisabetta Sgarbi e Igort, la mostra è un viaggio nel colore, nelle idee e nella storia d’Italia, seguendo la rivoluzione a fumetti di "Linus", che ha contribuito a fare la storia culturale del nostro Paese. “La eccezionalità e unicità della rivista ‘Linus’ viene raccontata in questa mostra che, attraverso le copertine e i numeri originali, ne ripercorre l’intera storia. Ma c’è un racconto nel racconto: il nuovo corso di ‘Linus’, determinato dall’ingresso della Nave di Teseo e dalla Direzione di Igort, è caratterizzato da un attento sguardo alla storia di ‘Linus’ e del fumetto e dalla attenzione costante a trovare nuovi tratti e nuove voci. Questa mostra esemplifica questa direzione bifronte, che caratterizza ogni vero progetto culturale. E il Castello Estense è il contesto più prestigioso in cui raccontare queste storie. E questa mostra sarebbe piaciuta molto a Umberto Eco”, spiega Elisabetta Sgarbi. Per Igort “‘Linus’ è una rivista-mondo che ha attraversato generazioni, nel corso della sua lunga vita. È stata la prima antologia mai creata che raccoglieva strisce e fumetti nati sui quotidiani e offriva loro una nuova dimensione, quella del mensile, meno legata alla contingenza, e, naturalmente, nuovi lettori curiosi. Una rivista da leggere e rileggere, rivolta a tutti. Amo ‘Linus’, e mi piace invitare i lettori alla meraviglia e all'esplorazione delle storie disegnate. Per ritrovare lo spirito di quei pionieri che hanno fatto grande il mondo del fumetto”. (redm)

PROROGATA AL 1° OTTOBRE "LEX" A ROMA

È stata prorogata fino al 1° ottobre la mostra “Lex. Giustizia e Diritto dall’Etruria a Roma”, ospitata dal 27 maggio nelle sale espositive del Museo dell’Ara Pacis a Roma e dedicata ad alcune riflessioni sul concetto di Giustizia e sull’ordinamento giuridico degli antichi romani, attraverso personaggi, luoghi e testi di legge. La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali ed è ideata e organizzata dal Centro Europeo per il Turismo Cultura e Spettacolo con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. L'esposizione e il catalogo, edito da Gangemi Editore, sono a cura dell’archeologo Vincenzo Lemmo. Il percorso, articolato attraverso più di 80 opere provenienti dalle collezioni dei Musei civici di Roma Capitale, da musei e istituzioni nazionali e da collezioni private, muove da alcune premesse a carattere storico e sociale sul concetto di Giustizia, sul ruolo del Diritto nella società etrusco-italica e nel tessuto della Roma monarchica, per poi sottolineare l’importante passaggio da una tradizione orale ai vincoli dei dispositivi fissati dalla scrittura. Al di là di una contestualizzazione cronologica di alcuni fenomeni e istituti, la mostra vuole offrire al visitatore una sintetica panoramica degli elementi fondanti del diritto romano, la sua pervasività nella vita quotidiana di un civis, e le più importanti istituzioni giuridiche. (gci)

A FORLI’ LE FOTOGRAFIE DI EVE ARNOLD

Dopo il grande successo de “L’Arte della moda. L'età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968”, dal 23 settembre fino al 7 gennaio 2024 le sale del Museo Civico San Domenico di Forlì si aprono a una leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. Promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, con il Comune di Forlì, la mostra “Eve Arnold. L’opera, 1950-1980”, a cura di Monica Poggi, nasce dalla collaborazione tra l’istituzione forlivese con CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia, Torino, ed è realizzata d’intesa con Magnum Photos. Negli anni, davanti al suo obiettivo, sono passati dive e divi del cinema, sfilate di moda e reportage d’inchiesta ancora attuali nello sguardo. Per questo motivo, l’esposizione si articola in un ampio percorso tra 170 fotografie: un vero e proprio viaggio all’interno della produzione della fotografa statunitense, sancita anche nel passaggio dal bianco e nero agli scatti a colori. La comunità afroamericana è stata la prima protagonista dei suoi scatti: inaugura infatti la sua carriera ritraendo le modelle delle sfilate di Harlem dietro le quinte, sovvertendo i canoni della fotografia di moda, abbandonando la posa in favore della spontaneità e dando dignità a un mondo sommerso. Nello stesso periodo si occupa di un reportage sulla famiglia Davis, residente a Long Island. Considerata una famiglia “tipo” americana, discendente dai primi coloni, i Davis possiedono diversi terreni dove sfruttano braccianti neri: un’occasione per la Arnold per mostrare le due facce del boom economico degli anni ’50 e mostrare al mondo il prezzo pagato dagli ultimi in nome degli affari. La fragilità, a partire dalla propria, è al centro anche di un lavoro di rara profondità, che le permette di attraversare il dolore per la perdita di un figlio traducendo in immagini quanto è venuto a mancare. Eccola dunque impegnata a immortalare i primi istanti di decine di neonati presso il Mather Hospital di Port Jefferson, riuscendo ancora una volta a cogliere l’essenza più pura di quanto si trova davanti. Dopo l’ingresso in Magnum comincia a entrare in contatto con il mondo dello spettacolo. Come primo incarico deve ritrarre Marlene Dietrich, la diva per eccellenza del cinema muto, durante l’incisione del suo album. La fotografa non si fa intimorire dal peso specifico di quella notorietà e inizia a fotografarla senza sosta, cogliendo la natura più vera di quell’immagine già tanto iconica. Nonostante le numerose indicazioni della Dietrich in fase di post-produzione, Eve Arnold decide semplicemente di ristampare meglio le foto e spedirle ad Esquire: un gesto coraggioso che ha scardinato l’immagine impalpabile della superstar tedesca, conquistando però anche la sua fiducia e apprezzamento. Ed è proprio a questa filosofia che si rifà quando dovrà ritrarre Joan Crawford durante gli innumerevoli “riti” estetici prima di entrare sul set, affidandosi all’istinto e al suo sguardo e arrivando così a mostrare il lato più intimo e autentico di un mito. Al vertice della sua produzione legata al mondo di Hollywood, troviamo Marilyn Monroe. Sempre grazie a Magnum cominciano anche gli incarichi internazionali, che la fanno tornare a una fotografia più impegnata: nel 1969 si occupa del reportage “Oltre il velo” tra Afghanistan, Pakistan, Turkmenistan, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, un progetto che la porterà a produrre un documentario, il primo a mostrare l’interno di un harem di Dubai. Nel 1979, invece, si recherà in Cina per documentare il cambiamento del Paese dopo l’insediamento di Deng Xiaoping, sempre più aperto verso l’occidente. L’esposizione è accompagnata dal catalogo “Eve Arnold”, edito da Dario Cimorelli editore. La descrizione più lucida e diretta del suo lavoro è probabilmente lei stessa a darla, fornendo anche la più chiara delle indicazioni di poetica: “Sono stata povera e ho voluto ritrarre la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite; mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite; sono una donna e volevo sapere delle altre donne”. “Al centro del lavoro di Eve Arnold - sottolinea Monica Poggi, curatrice della mostra - c’è sempre l’essere umano e il motivo che l’ha portato a essere lì dov’è. Che i suoi soggetti siano celebrità acclamate in tutto il mondo, o migranti vestiti di stracci, poco cambia”. (gci)

“ANEMONI”: A RAVENNA LE OPERE DI RENATA BOERO, VALENTINA D’ACCARDI E ALESSANDRO ROMA

Roma, 15 set - Tre generazioni di artisti in mostra a Ravenna: dal 7 ottobre al 16 dicembre la Fondazione Sabe per l’arte ospiterà “Anemoni”, mostra di Renata Boero, Valentina D’Accardi e Alessandro Roma, a cura di Irene Biolchini, realizzata nell'ambito di Ravenna Mosaico – VIII Biennale di Mosaico Contemporaneo con il patrocinio del Comune di Ravenna e del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna e in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Ravenna. L'inaugurazione della mostra, prevista il 7 ottobre a partire dalle 11.00, coincide con la diciannovesima Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI - Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani. Il progetto coinvolge tre artisti di generazioni diverse che, con differenti approcci creativi, riflettono sul rapporto tra natura, decorazione e frammento. Il titolo della mostra, “Anemoni”, richiama il tema della vegetazione che caratterizza i mosaici ravennati e in particolare i fiori simbolo di caducità e di fragilità. Le opere in mostra stabiliscono, a seconda dei casi, rapporti diretti e indiretti con la tradizione musiva sul piano materiale, tecnico e iconografico. A Ravenna gli anemoni sono raffigurati come una croce e alludono alla rinascita, reinterpretazione dell’uso farmacologico e cicatrizzante che ne facevano i latini. L’esposizione è un percorso di rinascita, di cura dei traumi, di rapporto con le forze naturali come portatrici di distruzione e creazione. Renata Boero presenta Cromogramma, realizzato immergendo la tela in infusi di pigmenti naturali. Le molteplici piegature che danno vita all’opera generano una griglia, o una sequenza di tasselli di colore. La sua non è una rappresentazione della natura, ma la manifestazione del rituale magico-mitico che ha generato l’opera. Lo stesso rituale che viene celebrato in Abissi di Valentina D’Accardi dove, donando un corpo scultoreo all’immagine digitale, si ritorna ad un rapporto diretto con il mistero e l’insondabile (cercati nella vita di una sequenza di piante domestiche). A chiudere questa riflessione attorno alla potenza creatrice, distruttiva e salvifica della natura, si impongono le opere di Alessandro Roma, una successione di piatti in ceramica (unici manufatti salvatisi dall’alluvione di maggio scorso, galleggiando all’interno del laboratorio di Ceramiche Lega) in cui il soggetto perde i contorni del dato naturale per diventare presenza e salvezza. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Danilo Montanari e arricchita da eventi collaterali organizzati nel periodo di apertura della mostra. Renata Boero (Genova, 1936) trascorre l’infanzia a Torino, poi si trasferisce in Svizzera dove compie studi umanistici. Tornata a Genova, si iscrive al Liceo Artistico, dove è allieva di Emilio Scanavino. Nel 1959 espone un’opera alla Quadriennale di Roma, manifestazione a cui partecipa anche nel 1986 e nel 1999. Negli anni Sessanta collabora come restauratrice con Caterina Marcenaro: da quest’esperienza prende avvio l’idea che la tela, per dialogare con lo spazio, deve essere libera dal telaio, e inizia un appassionante lavoro di documentazione sulle sostanze naturali che darà origine ai Cromogrammi. Nel 1974 inaugura la serie degli Specchi: con queste opere, una delle quali esposta per la prima volta nel 1978 all’International Cultureel Centrum di Anversa, è invitata alla Biennale di Venezia nel 1982. Dagli anni Ottanta continua la sua ricerca artistica lavorando su varie serie quali Blu di legno, Architetture, Enigmi, Crani, Acquerelli di San Diego, fino a quella attuale delle Germinazioni. L’artista vive e lavora a Milano. Valentina D’Accardi (Bologna, 1985) è laureata in Arti Visive al Biennio Magistrale in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e lavora principalmente con la fotografia, il video, il disegno e l’installazione. Nel 2021 è terza classificata a Camera Work, premio promosso dal Comune di Ravenna, dove, nello stesso anno, si tiene la personale presso PR2 Spazio Espositivo. Nel 2018 è terza classificata all’Artifact Prize e nel 2016 è vincitrice del Premio Setup Miglior Artista Under 35. Nel 2016 ottiene inoltre la Menzione della Giuria al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee ed è finalista a Giovane Fotografia Italiana #04, sezione del Festival Fotografia Europea. Ha pubblicato due volumi con Danilo Montanari Editore, "Fiume" nel 2016 e "Inoltranze" nel 2020. Ha esposto in Italia, Francia, Principato di Monaco, Lituania e Slovenia. Alessandro Roma (Milano, 1977) presenta una ricerca caratterizzata da un approccio pittorico predominante, ma recentemente ha esplorato altre tecniche, come la fusione, la stampa su tessuto, la ceramica e il collage. È stato protagonista di diverse mostre personali, tra cui quelle presso il Museo Ettore Fico di Torino (2023), Fondazione Thalie di Bruxelles (2019), MIC Museo della ceramica internazionale di Faenza (2018), Museo Villa Croce di Genova (2016) e MART Museo d’Arte Contemporanea di Rovereto (2011). Tra le mostre collettive, si segnalano quelle presso Triennale Milano (2021), Museo Archeologico Antonio Salinas di Palermo (2019), Biennale Internazionale di Ceramica Contemporanea di Vallauris (2019), le gallerie londinesi Corvi-Mora e Greengrassi (2014), Artists Space di New York (2014), Galleria Lorcan O’Neill di Roma (2012) e Biennale di Praga (2009). (gci)

NELLA FOTO. Death of a Loyalist militiaman near Espejo, Córdoba front, Spain, early September 1936 - © International Center of Photography/Magnum Photos (dettaglio)

(© 9Colonne - citare la fonte)