Quella dell’Argentina è una coazione a ripetere o se si preferisce una tendenza ad archiviare il passato al punto da non riuscire a riconoscerlo neppure quando esso si ripresenta con le caratteristiche già tristemente sperimentate. La scelta di Javier Milei è una sorta di vizio australe di cui il paese di Borges fatica a liberarsi e che si ripropone oggi per la natura del personaggio e del suo programma. All’ombra di due donne, tra tarocchi, astrologia e tavoli da medium della sorella Karina e amicizie ostentate con i militari degli anni della nefasta dittatura da parte della sua vice Victoria Villaruel, “el loco”, soprannome appiccicatogli dai compagni quando giocava come portiere nelle partite di calcio della scuola, non sembra intenzionato a cambiare direzione di marcia.
Eppure l’anarco-capitalista approdato alla Casa Rosada, essendo nato nel 1970, ha una età che dovrebbe consentirgli di ricordare le disavventure politiche e monetarie in cui si è cacciato il suo paese negli ultimi tre o quattro decenni. Evidentemente il suo carattere di arruffapopolo travestito da liberista, che non ha esitato a insultare papa Francesco definendolo “comunista” in uno dei tanti attacchi contro la politica di vicinanza ai poveri della Chiesa di Roma, prevale sulle istanze di moderazione e di realismo che dovrebbero essere il fondamento di chi è stato chiamato a guidare un paese complicato come l’Argentina.
E invece ecco riaffiorare da un passato neppure tanto lontano le ricette delle privatizzazioni in salsa portena in aggiunta all’abolizione della Banca centrale e alla dollarizzazione del peso che non si vede bene con quali risorse finanziarie potrà essere supportata dal momento che l’Argentina non riesce neppure a versare le quote del Fondo monetario. La memoria corta o la spregiudicatezza, nell’euforia della vittoria, impediscono a Milei di fare un salutare passo indietro andando a ripescare le cronache del suo paese relative alle concitate giornate del dicembre del 2001. Dopo un decennio di relativa crescita, la parità col dollaro adottata da Domingo Cavallo il ministro italo-argentino appartenente alla troupe di Chicago Boys, si rivelò allora insostenibile e portò il paese guidato da Fernando de la Rua verso un progressivo tracollo seguito dal default del gennaio 2002 con abbandono della “ley de convertibilidad”.
Sempre allora l’Argentina fu attraversata da turbolenze popolari con assalti ai negozi di generi alimentari, massiccia contestazione della politica governativa e oceaniche manifestazioni contro la Casa Rosada. Un sottosopra contro il quale si cercò di rimediare con l’emissione di pittoresche monete come i “patacones” che i tassisti della capitale e non solo loro si rifiutavano di accettare. Mentre si susseguiva un avvicendamento di presidenti senza precedenti (ne furono eletti ben sei in una sola notte) seguito con apprensione dalle cancellerie di mezzo mondo e, come oggi, in modo particolare da Washington. Bisogna perciò essere di memoria corta per non ricordare tutto questo e farsi trascinare ancora una volta dal vento dell’avventura o dell’avventurismo che ha soffiato producendo tanti guasti nel paese che nella prima metà del secolo passato era stato l’Eldorado di una massiccia emigrazione italiana.