Avendo avuto il privilegio di essere tra i giornalisti chiamati, nel gennaio del 1976, da Eugenio Scalfari a far parte del gruppo che diede vita al quotidiano la Repubblica, credo di avere le carte in regola per poter dire alla signora Giorgia Meloni che in quasi mezzo secolo non mi sono mai accorto di condizionamenti della proprietà nello svolgimento del mio lavoro. Per molti anni mi sono occupato della Fiat e senza mai avvertire pressioni dirette o indirette nel trattare i problemi riguardanti il gruppo che allora faceva capo alla famiglia Agnelli.
A questo proposito vorrei anche ricordare che uno dei fondatori del giornale era il principe Carlo Caracciolo fratello della signora Marella, moglie di Gianni Agnelli. Anche allora ci fu chi insinuò che quella parentela si sarebbe fatta sentire sui resoconti delle vicende Fiat che in quegli anni erano costantemente all’attenzione delle cronache. Un dubbio a fugare il quale pensò lo stesso Agnelli nel suo ultimo colloquio con Scalfari nell’inverno del 2003. Disse testualmente l’Avvocato: “Salvatore (Tropea) non ci ha mai risparmiato nulla, ma ci siamo sempre trattati da galantuomini”. Non ho nessun motivo di pensare che questo tipo di rapporto sia cambiato dopo la morte dell’Avvocato e negli anni a seguire.
Che io ricordi, il presidente John Elkann non ha mai intralciato il mio lavoro con qualsivoglia forma di pressione. Né mi risulta che lo abbia fatto con i colleghi che dopo di me si sono occupati e continuano ad occuparsi della Fiat. Le raccolte dei giornali, e oggi internet, sono a disposizione della presidenza del consiglio e dei suoi consigliori sempre che siano interessati a valutare serenamente il lavoro e non si affidino alla scorciatoia delle insolenze e delle bugie. Se non lo fanno -come appare evidente in questi giorni- è perché gli scarsi o inesistenti risultati del governo di destra generano un nervosismo che non riescono a tenere sotto controllo. E allora non resta che resta che gettarla in rissa, fedele a un metodo nel quale, per formazione politica, la Meloni è piuttosto versata.
Nessuno dei suoi predecessori aveva mai detto che “la battaglia contro Repubblica è una priorità”. Lei lo ha detto e questo, al di là degli effetti che non potranno essere quelli da lei sperati, è la testimonianza di quale e quanto scarsa sia la sua considerazione nei confronti dell’informazione come servizio di una società democratica. Ma è quello che sa fare e che le viene meglio. E allora non resta che ripetere quanto scritto appena qualche giorno fa sempre con riferimento a questa sua pervicace idiosincrasia per i giornali e i giornalisti che non fanno parte del suo coro. Un giudizio che non è nostro ma di un celebre opinionista americano, Walter Cronkite, il quale replicando a un’esternazione di Richard Nixon, gli ricordò che “i presidenti passano e giornalisti restano”. Proprio così, signora Meloni, i presidenti passano e la Repubblica resta a fare quello che ha sempre fatto.