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direttore Paolo Pagliaro

“PRIMA. Che io possa andare oltre”: il talento delle artiste esposto

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“PRIMA. Che io possa andare oltre”: il talento delle artiste esposto

Una mostra collettiva per approfondire il tema del talento femminile: la Galleria BPER Banca ha inaugurato l’esposizione “PRIMA. Che io possa andare oltre”, aperta al pubblico dallo scorso 18 ottobre all’11 gennaio 2025 presso gli storici spazi di Palazzo Martinengo di Villagana a Brescia, sede di BPER Banca. L’esposizione, la cui curatela è affidata a Giovanna Zabotti con la collaborazione di Chiara Grandesso e Silvia Moretti, patrocinata dal Comune di Brescia, affronta il tema ponendo la corporate collection di BPER Banca in un dialogo aperto che attraversa diverse epoche e geografie della storia dell’arte e prende in esame i diversi linguaggi della creatività. La Galleria BPER Banca propone un percorso multisensoriale che intende coinvolgere il pubblico in una riflessione collettiva sulla necessità di far emergere e valorizzare le capacità imprenditoriali al femminile, in particolare nelle realtà culturali e artistiche. “PRIMA. Che io possa andare oltre” punta, infatti, i riflettori sull’esperienza artistica di una serie di donne che hanno fatto del proprio talento una professione e aperto la strada a coloro che le hanno seguite. Il punto di vista privilegiato per costruire questo percorso, che travalica i confini linguistici tra le arti visive così come quelli temporali, è la collezione BPER Banca, che offre prestigiosi esempi della maestria pittorica di una delle artiste più significative del Barocco bolognese, che si è contraddistinta per la tenacia con cui ha tradotto le proprie capacità in una realtà imprenditoriale: l’artista Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – Bologna, 1665). A partire dalle tele della maestra Sirani, l’allestimento abbraccia media differenti e artiste di epoche distanti, coinvolgendo l’opera della maestra dell’astrattismo italiano Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014), il lavoro dell’artista femminista Stefania Galegati (Bagnacavallo, Ravenna, 1973), le tavole disegnate da Ana Kapor, gli specchi del duo Goldschmied & Chiari (Sara Goldschmied – Arzignano, Vicenza, 1975; Eleonora Chiari – Roma, 1971), il vetro di Marina e Susanna Sent (a Murano dal 1993), sino alle poesie di Alessandra Baldoni (Perugia, 1976), che legano insieme le realizzazioni di queste autrici attraverso la parola. Il titolo della mostra gioca sul doppio significato della parola “prima”, termine che racchiude in sé le dimensioni del tempo e dello spazio oltre che il riferimento all’eccellenza del risultato. Partendo da un passato dove la presenza femminile in campo artistico tendeva a essere ignorata o sminuita, ma che ha comunque dato vita a delle esperienze che sono state di stimolo e ispirazione per le generazioni a venire, la mostra instaura un forte dialogo con una contemporaneità densa di figure femminili che spiccano per il proprio talento e la propria unicità. “Questo progetto espositivo nasce da un processo di scambio e dialogo continuo con un gruppo di lavoro composto da donne e professioniste - spiega la curatrice Giovanna Zabotti - che per vari motivi hanno dimostrato di poter essere considerate per ciò che sono e ciò che fanno, anche in ruoli tradizionalmente riconducibili all’attività maschile. Insieme a loro e al team de La Galleria BPER Banca abbiamo concepito una mostra piena di forza e di energia, che restituisce voce a donne che con coraggio e grinta si sono ‘impossessate’ per la prima volta di ruoli considerati di dominio maschile in cui hanno eccelso. Questo stupore verso il successo femminile in determinati ambiti si sperimenta ancora oggi ma la volontà è che non si debba parlare più di prime volte ma che, appunto, si possa andare oltre”. Fil rouge tra le opere in mostra è la poesia che induce il visitatore a osservare l’intersezione tra le diverse forme del pensiero creativo. La poesia è intesa come strumento di riflessione e introspezione, un modo straordinario ed efficace per mettere in dialogo opere, stili ed epoche apparentemente diverse e, al contempo, per coinvolgere il pubblico in un itinerario che sia anche emozionale. La mostra include, infatti, i componimenti poetici di Alessandra Baldoni, invitata a interpretare con le parole i lavori presentati. Di Alessandra Baldoni anche l’installazione site-specific che apre la mostra intitolata “l’universo non ha centro” composta da otto scrigni/libro in ferro e vetro che, con versi e immagini, in un gioco di luci e ombre, raccontano cosa sia il talento e come venga percepito. Il percorso espositivo inizia con due opere di Elisabetta Sirani (1638 - 1665), provenienti dal nucleo storico della corporate collection di BPER Banca. Le qualità eccezionali dell’artista negli ambiti della pittura, del disegno e dell’incisione le fanno ottenere nel 1660 l’ammissione all’Accademia nazionale di San Luca a Bologna come docente, trasformandola in breve tempo nell’artista donna più celebrata del periodo, alla guida dell’importante bottega appartenuta al padre Andrea Sirani, e - nella prima - direttrice di una scuola di pittura femminile. In mostra per l’occasione i dipinti Madonna che allatta il Bambino (1658) e San Giovannino nel deserto (1660), sintesi perfetta dello stile pittorico espressivo e veloce che caratterizza il lavoro di Elisabetta Sirani. La mostra prosegue con un focus sul lavoro di Carla Accardi (1924 - 2014), tra gli artisti più significativi del secondo dopoguerra in Italia e unica donna del Gruppo Forma 1, di ispirazione formalista e marxista, nato a Roma intorno all’omonima rivista alla fine degli anni Quaranta. Carla Accardi è una delle prime donne italiane a dedicarsi all’astrattismo, la sua ricerca artistica si basa su due cardini principali: dal punto di vista tecnico la riduzione delle forme e dei segni all’essenziale e l’eliminazione di ogni significato simbolico o allegorico della composizione, dal punto di vista teorico l’impegno nel dimostrare che le artiste donne non devono necessariamente essere autrici di un’arte delicata nei temi e nelle cromie per via del loro genere, al contrario possono essere libere di rappresentare messaggi forti, al pari dei colleghi uomini. L’acrilico su tela dal titolo Rosso-nero (1985), proveniente dalla raccolta corporate di BPER, rappresenta in sintesi il lavoro di un’artista che tra gli anni Sessanta e Ottanta ha rivoluzionato il concetto di opera d’arte, promuovendo al contempo numerose istanze femministe e aprendo così la strada alla ricerca di numerose artiste contemporanee. Accompagna l’opera l’allestimento di una panchina rossa, richiamo alla lotta contro la violenza sulle donne. In mostra, per l’occasione, i dipinti Soledad (2024) e Il silenzio del luogo (2024) di Ana Kapor e Isola #49 (2021) di Stefania Galegati, opera vincitrice della prima edizione del BPER Prize, il premio di BPER Banca dedicato alle tematiche dell’inclusione e della valorizzazione del talento femminile, promosso in occasione di Arte Fiera Bologna a febbraio 2024. La mostra si conclude con un focus dedicato al vetro che include il lavoro del duo al femminile Goldschmied & Chiari, un unicum nel panorama artistico contemporaneo italiano, che si distingue per l’esplorazione multimediale di tematiche che spaziano dal femminismo all’ecologia. In occasione di “PRIMA. Che io possa andare oltre” accanto all’opera Untitled View (2020), sono presentate le creazioni originali di un altro duo creativo: Marina e Susanna Sent, titolari di un prestigioso laboratorio d’arte a Murano, che raccoglie l’eredità di generazioni di maestri del vetro, che si sono affermate per la realizzazione di gioielli e sculture in vetro dal design unico e originale, imponendosi in un ambito da sempre appannaggio dell’artigianato maschile. La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’architetto Silvia Moretti e con l’exhibition designer Andrea Isola, che insieme hanno concepito un allestimento che pone in relazione tra loro opere diverse da un punto di vista linguistico, materico e temporale, invitando il visitatore a scoprire inedite connessioni tra autrici di provenienze ed epoche così distanti e a scoprire la grandezza della produzione femminile nei diversi campi delle arti visive. “PRIMA. Che io possa andare oltre” si inserisce nell’insieme di attività e iniziative che La Galleria BPER Banca dedica alla valorizzazione dell’inclusività attraverso la propria corporate collection, con l’obiettivo di stimolare nel visitatore una riflessione verso le tematiche sociali più stringenti del panorama attuale. La realizzazione della mostra negli spazi storici di Palazzo Martinengo di Villagana, aperti per la prima volta nel 2023 in occasione di Ospiti a palazzo. Figure in posa e al naturale, rinnova l’attenzione costante alla gestione del proprio patrimonio artistico che La Galleria BPER Banca coltiva sin dalla sua fondazione e promuove nei territori. (gci)

A TORINO L’ESPOSIZIONE IN OMAGGIO A MARIO MERZ

La Fondazione Merz presenta, dal 28 ottobre al 2 febbraio 2025, la seconda parte della mostra “Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola” dedicata a Mario Merz, in occasione del centenario della nascita dell’artista il 1° gennaio 2025, negli spazi della Fondazione a Torino in via Limone 24. L’esposizione presenta una selezione di lavori tra installazioni, igloo, tavoli, tele e opere su carta. Alle opere già presenti nel primo allestimento, per questa nuova fase, si aggiungono tre altre opere imponenti in termini di contenuto e di misura. Il progetto espositivo prende le mosse a partire dal concetto legato alla necessità di individuare la natura profonda che si cela dietro ai modelli per arrivare alla base del pensiero umano, il quale nella sua diversità è definito sempre da leggi che sfuggono allo scorrere del tempo e alla varietà degli ambienti. La frase che dà il titolo all’esposizione è stata estrapolata da uno scritto di Mario Merz e si ricollega a questa necessità di guardare alla natura e allo scorrere del tempo per poter raggiungere un senso di leggerezza concettuale, che si ritrova nel nucleo di opere presentate. Nei lavori in mostra vi sono elementi e concetti che si ripropongono e che si legano in un percorso che, citando sempre Merz, mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola. All’atmosfera onirica e delicata che ha pervaso fino a oggi l’ambiente espositivo irradiato dai riflessi dorati emanati dall’igloo Senza titolo (foglie d’oro) (1997), dalla cera del tavolo Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia (1985), esposta in questa occasione per la prima volta in Europa, dalla trasparenza dei vasi di L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour (1995) oltre che dalle opere alle pareti già presenti in mostra, si affaccia un dominante controcanto, dovuto all’installazione di due altri igloo del 1989 e del 2002 e un imponente lavoro pittorico, Geco in casa (1983). Come un iconico virtuosismo pas de deux tra la tela e il coccodrillo con i numeri di Fibonacci, antica presenza in fondazione, le opere rimbalzano da una parte all’altra dello spazio espositivo collegandosi le une con le altre in un’atmosfera da favola; un apparente disordine in cui cose dal mondo si mescolano e diventano responsabili del loro trasformarsi per riapparire in un’armonica unione. In occasione dell’inaugurazione della mostra il 28 ottobre, come protagonista c’è “Mario Merz. Igloo”, primo volume del catalogo ragionato dell’opera dell’artista, dedicato appunto agli igloo. Basato sull’esaustiva ricerca condotta dalla storica dell’arte Maddalena Disch, il catalogo rappresenta un progetto editoriale di Fondazione Merz edito da hopefulmonster. Il volume è introdotto da un testo a firma di Beatrice Merz e dal saggio di Maddalena Disch. Ogni opera è presentata con una scheda analitica storica e biografica coadiuvata da accurati riferimenti bibliografici e da un esauriente repertorio fotografico. Il volume include testi dell’artista e interviste. Il libro, costituito da 560 pagine e 350 immagini, esce in due edizioni, una in lingua italiana e una in lingua inglese. Il progetto del catalogo è realizzato grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell’ambito del programma Italian Council (2023). In programma anche la proiezione del video-documentario “Che fare? / MARIO MERZ” di Roberto Cuzzillo, che rende omaggio a Mario Merz con una selezione di interviste d'epoca, accompagnate da immagini di mostre passate e recenti. Il filmato esplora il significato dell'Igloo per Merz e offre una riflessione su cosa significasse essere artisti a quell’epoca. Attraverso le sue parole e le sue opere, emergono le sfide e le innovazioni di quegli anni, che hanno plasmato il panorama artistico moderno. Ad accompagnare la mostra, le giornate di 14 e 15 gennaio 2025 saranno dedicate a incontri, convegni e vari momenti aperti al pubblico dedicati alla figura di Mario Merz, sempre negli spazi della Fondazione Merz a Torino. (gci)

A MILANO GLI ACQUERELLI DI MARCO PALMIERI

Sensazioni, pause, riflessioni, attimi di sospensione e momenti di straniamento: le opere di Marco Palmieri sono progetti, teorie capaci di creare architettura, spazio, grazie al suo sguardo sulla realtà. Dallo scorso 22 ottobre fino al 22 novembre, l’artista espone negli spazi della galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura di Milano, con cui lavora dal 2008, la mostra "Always Something There", dedicata alla sua ultima serie di acquerelli, che prosegue una ricerca artistica che delinea i tratti salienti dell’immaginario spaziale. Grazie a una visione nutrita dalle Annunciazioni rinascimentali, dalla Metafisica del Novecento fino alle visioni fotografiche di Luigi Ghirri, "Always Something There" coglie la composizione alla base dei lavori di Palmieri, guidando i visitatori in un percorso a ritroso che rende evidente la profonda affinità dell’artista con i suoi modelli, in un lavoro di progressiva scarnificazione poetica che rivela gli elementi costanti, le invarianti della sua fotografia. “Scriveva Carrà che la pittura italiana è sempre un'arte di architetture e di architetti. Lo chiamava ‘principio italiano’ – commenta Elena Pontiggia in merito alla nuova mostra di Palmieri – Di quel principio anche Marco Palmieri è un esempio. Nelle sue opere, che in questo ciclo recente si ispirano anche alle fotografie di Luigi Ghirri, procede per prismi e poliedri platonici, riportando luoghi e oggetti a solidi essenziali”. Con un approccio indisciplinato al mestiere di architetto, la pratica di Marco Palmieri è caratterizzata da atteggiamento aperto e non specialistico, che lo porta a condurre un’indagine sullo spazio declinata in tutte le sue sfaccettature attraverso pittura, fotografia e installazione. Marco Palmieri (Napoli, 1969) vive e lavora a Milano. Si laurea in Architettura all’Università di Napoli nel 1997 con una tesi in progettazione architettonica. Lavora a Parigi, per poi insegnare a Dublino presso la UCD dal 1998 al 2000. Nel 2000 torna a Milano e collabora con Ettore Sottsass fino al 2007, diventando uno dei suoi più stretti collaboratori. Insieme realizzano allestimenti per musei e lavorano a progetti dalla scala architettonica fino al disegno di oggetti. Nel 2008 apre il suo studio a Milano e si dedica a progetti di architettura, interior design e allestimenti museali in Italia e all’estero, con committenti come la Pinacoteca Agnelli a Torino e Fondation Louis Vuitton a Parigi. (gci)

AL MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO IL NUOVO ALLESTIMENTO

Dallo scorso 17 ottobre, in occasione del suo terzo centenario, il Museo di Antichità di Torino presenta il nuovo allestimento “Anatomia di un inizio. Alle radici dell’Archeologia Scientifica in Piemonte”, a cura dell’archeologa Elisa Panero, che arricchisce il percorso espositivo della sezione Archeologia a Torino. Grazie a un accordo triennale con il Museo di Antropologia ed Etnografia dell'Università di Torino (MAET) e con il sostegno di Reale Mutua, in un nuovo allestimento progettato dall’architetto Carlotta Matta dei Musei Reali, per la prima volta sono messe a confronto due straordinarie sepolture, testimonianze di due contesti culturali e geografici molto diversi tra loro: una tomba neolitica scoperta a Montjovet, in Valle d’Aosta, e la mummia di un giovane uomo rannicchiato, rinvenuta nei pressi di Luxor, in Egitto. La tomba neolitica di Montjovet fu scoperta nel 1909 in una piccola necropoli a inumazione, scavata dall’egittologo piemontese Ernesto Schiaparelli (1856-1928), direttore dell’allora Regio Museo di Antichità Greche, Romane ed Egizie – l’attuale Museo di Antichità dei Musei Reali di Torino – e Soprintendente alle Antichità del Piemonte, Istituto di tutela che comprendeva anche la Valle d'Aosta e la Liguria; subito musealizzata nella sua interezza, la sepoltura fu studiata e pubblicata da Giulio Emanuele Rizzo, professore straordinario di archeologia, e da Mario Carrara, docente di medicina legale alla Regia Università di Torino. La tomba fu compiutamente allestita nel museo proprio cent’anni fa, il 17 ottobre 1924, quale prima “tomba ricostruita” nella nuova sala della Preistoria Piemontese e Ligure, curata da Pietro Barocelli, archeologo dalla grande modernità professionale. Riproposta nel secondo dopoguerra, nel riordino museale attuato nel 1949 sotto la direzione del Soprintendente Carlo Carducci, negli ultimi 50 anni è stata conservata nei depositi del Museo di Antichità: oggi il pubblico dei Musei Reali di Torino può ammirare la tomba grazie a un nuovo riallestimento. La mummia di un giovane uomo rannicchiato, invece, fu rinvenuta nel 1920 dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Ernesto Schiaparelli, coadiuvato dall’antropologo Giovanni Marro (1875-1952), nel sito di Gebelein, a circa 30 chilometri a sud dell’odierna città di Luxor, sulla riva ovest del Nilo; databile alla IV dinastia, tra il 2578 e il 2477 a.C., è confluita all’Istituto e Museo di Antropologia, oggi Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino, fondato nel 1926 proprio per accogliere in un’unica sede le raccolte scientifiche di Marro e gli oggetti provenienti dalle campagne di scavo condotte dalla Missione in Egitto. Sulle due sepolture sono state condotte recenti indagini per la datazione e il restauro: per la prima, dai Musei Reali con l’Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi (DBios) e il Department of Prehistoric Archaeology, Institute of Archaeological Sciences and Oeschger Center for Climate Change Research (OCCR) dell’Università di Berna, Svizzera; per la seconda, oltre che dal DBios, anche dal Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino e dalla Fondazione Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”; le indagini hanno permesso di gettare nuova luce su questi resti e nuove considerazioni storiche e allestitive, partendo dalla temperie culturale del primo ventennio del Novecento quando, anche in Piemonte, intervenne una svolta decisiva nello studio e nella “percezione” dell’archeologia, non più considerata come una ricerca avventurosa, ma una disciplina scientifica volta a rispondere ai bisogni primari dell’uomo e a raccontare le storie del passato. I resti umani rappresentano qualcosa di fondamentale, in quanto documento di una storia individuale e tassello della storia evolutiva umana. Considerazioni che trovano un punto di avvio proprio agli inizi del Novecento nel mondo archeologico piemontese, gravitante intorno al Museo di Antichità e all’attività del direttore a quel tempo, Ernesto Schiaparelli, insieme a grandi studiosi che, intorno a lui, hanno contribuito a dettagliare pionieristicamente “l’anatomia di un inizio” nell’ambito della ricerca archeologica scientifica. (gci)

"IL MIO GIARDINO": A MILANO LA PERSONALE DI UGO LA PIETRA

Un'occasione per scoprire l'arte di Ugo La Pietra: la Paula Seegy Gallery di Milano presenta “Il mio giardino", mostra personale di una figura di spicco nel campo di arte, architettura e design. La mostra, aperta al pubblico dallo scorso 24 ottobre fino al 30 novembre, ospita un corpus di 27 opere in gran parte inedite tra acrilici su tela, su legno e lavori su carta, frutto della ricerca dell’artista sul rapporto tra l’uomo e la natura, con una particolare attenzione ai giardini urbani e domestici. Nel corso dell’esposizione, il 19 novembre la galleria ospiterà la presentazione del libro di Ugo La Pietra “Il Giardino delle Delizie”, edito da Manfredi Edizioni. Per l’occasione interverranno l’artista e Manuel Orazi, autore della prefazione. Nei lavori in mostra, La Pietra esplora il tema del giardino come spazio reale e simbolico, topos a lui molto caro. L’artista infatti conduce da decenni una ricerca che si muove tra i territori dell'arte visiva e del progetto, mantenendo un’attenzione costante per i temi ambientali e urbani. In particolare, l’esposizione riflette sul ruolo del giardino come luogo di rifugio e contemplazione, oasi nell’arido contesto urbano contemporaneo, su cui l’uomo impone le proprie leggi di geometria e struttura. Il giardino diventa così una metafora della relazione tra artificio e natura, ordine e caos, in cui l’intervento umano cerca di definire e dominare le leggi dell’ambiente stesso. Al contempo, come afferma Ugo La Pietra, esso rimane “meta di riposo psicofisico, luogo dove coltivare contemporaneamente la spettacolarità e la concettualità, spazio organizzato per il piacere, espressione del superfluo, sinonimo di ‘paradiso’, paradigma di atemporalità e universalità”. A questo proposito la serie “Il Giardino delle Delizie” (2020) evoca l’idea di quel giardino “paradisiaco” come spazio mentale in cui l’intervento umano si mescola armoniosamente con l’ambiente che lo circonda. Tra i lavori più emblematici si distingue anche la serie dei “Gazebi” del 2023-24, come “Casetta alberata” e “Gazebo Gotico”, che ritrae piccoli rifugi immersi nel verde, dove l’artificio architettonico si sposa con l’elemento naturale. Emerge con chiarezza un intreccio tra immaginazione e rigore progettuale, tra poesia e pragmatismo, un gioco tra geometria e imprevedibilità della natura. Attraverso il suo linguaggio Ugo La Pietra ci invita a guardare al giardino da prospettive diverse, come luogo di piacere estetico e come spazio di riflessione sulle dinamiche tra uomo e ambiente. Accompagna la mostra la pubblicazione "Il mio giardino", edita dalla Paula Seegy Gallery, con introduzione di Ugo La Pietra, testi critici di Marco Meneguzzo e Simona Bartolena, e immagini di tutte le opere esposte. Ugo La Pietra nasce a Bussi sul Tirino (Pescara) nel 1938. Originario di Arpino (Frosinone), nel 1964 si laurea in Architettura al Politecnico di Milano, dove vive e lavora. Architetto, artista, cineasta, editor, musicista, fumettista, docente, si occupa di ricerca nella comunicazione e nelle arti visive, muovendosi contemporaneamente nei territori dell’arte e del progetto. Instancabile sperimentatore, ha attraversato diverse correnti, dalla Pittura Segnica all’Arte Concettuale, dalla Narrative Art al cinema d’artista, e utilizzato molteplici medium. Ha condotto ricerche che si sono concretizzate nella teoria del “Sistema disequilibrante” – espressione autonoma all’interno del Radical Design – e in importanti tematiche sociologiche illustrate in mostre come “La casa telematica” (MoMA di New York, 1972 – Fiera di Milano, 1983), “Rapporto tra Spazio reale e Spazio virtuale” (Triennale di Milano 1979, 1992), “La casa neoeclettica” (Abitare il tempo, 1990) e “Cultura Balneare” (Centro Culturale Cattolica, 1985/95). Ha esposto il suo lavoro in Italia e all’estero in sedi e manifestazioni artistiche di rilievo, tra cui: Biennale di Venezia, Museo d’Arte Contemporanea di Lione, Museo FRAC di Orléans, Museo delle Ceramiche di Faenza, Fondazione Ragghianti, Fondazione Mudima, Museo MA*GA. (gci)

NELLA FOTO. Elisabetta Sirani, San Giovannino nel deserto, 1660, olio su tela, 72 x 93 cm, Collezione BPER Banca, Modena

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