A Cleopatra, regina d’Egitto, donna di grande potere e fascino, le cui vicende hanno ispirato importanti scrittori come William Shakespeare, Théophile Gautier e George Bernard Shaw, oltre ad artisti, musicisti e registi, i Musei Reali di Torino dedicano una mostra dossier che s’inserisce nell’ambito delle celebrazioni dei 300 anni del Museo di Antichità (1724-2024). Dallo scorso 23 novembre fino al 23 marzo 2025, lo Spazio Scoperte della Galleria Sabauda ospiterà la rassegna dal titolo “Cleopatra. La donna, la regina, il mito”, curata da Annamaria Bava ed Elisa Panero, che si avventura nella vicenda storica e nella leggenda, attraverso un profilo del personaggio e del suo tempo, la nascita del mito e la fascinazione esercitata nel corso dei secoli. Il percorso espositivo è suddiviso in cinque aree tematiche e riporta al centro degli studi l’enigmatica Testa di fanciulla c.d. di Cleopatra, in marmo bianco della metà del I secolo a.C., del Museo d’Antichità, che nella capigliatura e nei tratti mostra caratteristiche che rimandano all’iconografia nota di Cleopatra VII, a cui si affiancano manufatti archeologici e sculture antiche, provenienti dal patrimonio dei Musei Reali e da collezioni pubbliche e private, messi in dialogo con opere pittoriche e grafiche e documenti cinematografici che hanno visto protagonista nel corso dei secoli la regina d’Egitto. La mostra si apre con un inquadramento storico del periodo nel quale ha vissuto e governato Cleopatra VII (51-30 a.C.), ultima regina della dinastia tolemaica in un Egitto ormai ellenizzato, in virtù dell’azione di Alessandro Magno (iniziata nel IV secolo a.C.). L’Egitto, paese all’avanguardia, inserito nel Mediterraneo, luogo d’incontro di diverse civiltà e tradizioni, connotato da un forte rispetto per le tradizioni dell’Egitto faraonico e nello stesso tempo dall’adesione alla Koiné culturale ellenistica. La sezione “Cleopatra: la regina che sfidò Roma” si focalizza sulla figura di Cleopatra e sul suo operato politico, in relazione ai protagonisti del suo tempo rappresentati dalla Testa di Giulio Cesare da Tusculum dei Musei Reali, considerato il suo ritratto più veritiero, e con quelli di Marco Antonio e Ottaviano Augusto, in prestito dalla Soprintendenza del Molise e dai Musei Capitolini. Dall’altro si analizza la Cleopatra come donna di potere, a capo di una nazione che vive, sotto il suo regno, un importante sviluppo economico, grazie anche alla riforma monetale voluta dalla stessa regina, che la posiziona in un ruolo di preminenza all’interno dello scacchiere del Mediterraneo. La mostra prosegue con il racconto della nascita del mito di Cleopatra, nato con la regina ancora in vita e sviluppatosi negli anni immediatamente successivi, con l’assimilazione della sua figura con quella della dea Iside, che contribuì ad accrescere il fascino e il mistero della sua persona nei secoli a venire. Durante il Rinascimento, l’immagine di Cleopatra inizia ad avere una certa fortuna nell’arte occidentale, come mostra una raffinata incisione di Marcantonio Raimondi della Galleria Sabauda nata dalla collaborazione dell’artista bolognese con Raffaello. Nel Seicento e nel Settecento la sovrana è protagonista di molte opere, nelle quali spesso è rappresentata nel momento della morte, come nel caso dei dipinti di Giovanni Giacomo Sementi (1625-1626 ca.), proveniente dalle raccolte viennesi del principe Eugenio di Savoia Soissons e ora conservata in Galleria Sabauda, di Giovanni Lanfranco (circa 1630) delle Gallerie Nazionali di Palazzo Barberini e Galleria Corsini, e di Guido Cagnacci (1660-1662) della Pinacoteca di Brera, oppure in relazione a figure storiche quali Giulio Cesare, Marco Antonio o Ottaviano Augusto, come il bel dipinto della pittrice Elisabetta Sirani di collezione privata modenese nel quale la sovrana mostra il prezioso orecchino di perle che scioglierà in una coppa di aceto per poi consumare la costosissima bevanda, alludendo all’episodio che sarebbe avvenuto nel sontuoso banchetto al cospetto di Marco Antonio raffigurato nella maestosa tela di Francesco Fontebasso (circa 1750) in prestito dal Palazzo Madama di Torino, e come il bozzetto di Claudio Francesco Beaumont raffigurante Cleopatra che si avvia verso il Palazzo di Cesare (1740), preparatorio per uno degli arazzi che costituiscono la serie con le Storie di Cesare conservata a Palazzo Reale. Nell’Ottocento l’interpretazione del tema in chiave esoterica darà vita a composizioni di gusto orientaleggiante come nel curioso dipinto di Anatolio Scifoni (1869), proveniente dalle raccolte di Palazzo Reale, che trasmette l’atmosfera sospesa e misteriosa dell’incontro tra Cleopatra e una maga. L’esposizione si chiude con una sezione dedicata alla fortuna pop della regina: in questa, oltre a dischi, fumetti e giochi da tavolo, spiccano le trasposizioni della vita di Cleopatra sul grande schermo, evocate attraverso locandine, fotografie e spezzoni di film, dall’epoca del cinema muto all’interpretazione di Elizabeth Taylor nella pellicola di Joseph Mankiewicz del 1963 fino a quella di Monica Bellucci nella commedia Asterix & Obelix - Missione Cleopatra del 2002. (gci)
L’ARTE DI SANDRO MARTINI ESPOSTA A MILANO
Un’occasione per scoprire un punto di riferimento nel panorama dell’arte astratta in Italia: la mostra “Sandro Martini. Segno e colore oltre il telaio”, curata da Luigi Sansone e ospitata alla Paula Seegy Gallery di Milano dal 3 dicembre al 25 gennaio 2025, è infatti una retrospettiva perfetta per approfondire l’artista. In esposizione una selezione di lavori appartenenti a varie fasi della carriera di Martini: acquerelli, collage, affreschi e sculture, tutte opere emblematiche della sua espressione e maturazione artistica, in cui il colore è l’attore principale. Queste opere sono testimonianza dell’evoluzione di Martini dalla pittura bidimensionale verso la realizzazione di creazioni nelle quali il colore diventa parte attiva, movimento, in grado di creare un ambiente immersivo nel quale pittura e architettura risultano armoniosamente in simbiosi. Sandro Martini, dunque, sfida il confine tra arte e architettura, opera e spazio, sviluppando un linguaggio artistico che vede la progressiva estensione del quadro tradizionale verso l’ambiente che lo circonda: un’arte dinamica, un’arte “oltre il telaio”. La sua poetica visiva rivela l’intenso rapporto tra i tre elementi di colore, luce e struttura, che ha esplorato e raffinato nel corso della sua carriera, caratterizzata da un’instancabile ricerca e una profonda conoscenza tecnica. L’artista, infatti, si è sempre confrontato con la lavorazione dei materiali grazie alla frequentazione del cantiere in cui il padre svolgeva il ruolo di ingegnere navale. A questa prima fase appartiene l’assemblaggio in legno d’ulivo e ferro saldato presente in mostra e intitolato: Porcospino (1959). Più incentrate sulla forza del colore sono le opere nel percorso espositivo come Trascrizione Misia (2003) e Quantità achè (2003), in cui emerge con chiarezza non solo l’intensità, ma anche il potere evocativo delle cromie, di cui l’artista con sapiente tecnica si serve come mezzo per costruire luoghi che sfuggono ai limiti convenzionali della tela. Nelle sue opere più recenti come Quantità Marmelitino del 2021, inoltre, il curatore Luigi Sansone rileva la scelta stilistica di Martini di attribuire un ruolo sempre più centrale ad un colore in particolare, all’apparenza neutrale: il bianco. Sandro Martini (Livorno 1941 – Milano 2022) è stato un artista a tutto tondo, una figura di grande rilievo dell’arte astratta italiana che, nel corso della carriera, ha saputo destreggiarsi con più tecniche e media: pittura, scultura, affresco, installazione, grafica. Debutta nel 1959 alla Galleria Le Ore e la sua carriera decolla negli anni Sessanta, quando inizia a collaborare con gallerie storiche italiane come Il Milione e Galleria Blu. Dal 1978 espone anche negli Stati Uniti (New York, Los Angeles, San Francisco), dove insegna incisione e tecniche di affresco per 25 anni al Kala Institute a Berkeley. In Italia e all’estero, segue parallelamente lo stesso percorso, partecipando a numerose mostre e realizzando grandi installazioni. In Italia si citano le esposizioni a Palazzo Citterio (1981) e alla Sala delle Grida alla Borsa Valori (1983) a Milano, nel 1989 a Piazzale Michelangelo a Firenze e al Centro Asteria di Milano, dove espone una serie di grandi affreschi. Sempre nel capoluogo lombardo, nel 1993 realizza una mostra antologica al Padiglione di Arte Contemporanea e nel 2004 crea un’installazione monumentale permanente di tele e vetri alla Casa di Carità. Nel 2005 la città di Livorno acquista una sua grande opera per il Museo di Arte Contemporanea, contestualmente all’antologica a lui dedicata al Museo Bottini dell’Olio. In America una sua installazione permanente di tele diviene parte del patrimonio della Djerassi Foundation a Stanford e numerose opere vengono installate in sedi pubbliche e private: a Bryant Park, sulla 42ma e al CityCorp a New York. Nel 2012 realizza, con lo studio canadese architects Alliance, l’imponente Glass Memory (vetri incisi e parete ad affresco), installazione permanente commissionata dalla Municipalità di Toronto. Nel 2015 espone alla Casa del Mantegna a Mantova. Nel 2017, presso la Biblioteca Sormani di Milano, viene presentato il Catalogo Ragionato dell'opera di Sandro Martini a cura di Luigi Sansone e Matteo Zarbo e, nel corso dello stesso anno, viene presentata una mostra personale dell’artista a Villa Visconti Borromeo Litta (Lainate, Milano). L’ultima esposizione di Sandro Martini “Come la vita” (Guastalla Centro Arte, Livorno) chiude nel 2023. (gci)
PROROGATA AL 31 DICEMBRE “GIANNI BERENGO GARDIN. MARAZZI, LE LINEE VELOCI”
Presentata da Marazzi Group, la mostra “Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci”, a cura di Alessandra Mauro e attualmente in corso negli spazi delle Sale della Musica, degli Incanti e dei Sogni del Palazzo Ducale di Sassuolo – Gallerie Estensi (Modena), è prorogata fino al 31 dicembre. La mostra, realizzata in collaborazione con Gallerie Estensi, Contrasto, Fondazione Forma per la Fotografia e Archivio Gianni Berengo Gardin, celebra il 50° anniversario del brevetto della monocottura rapida presentando un prezioso corpus fotografico realizzato da Gianni Berengo Gardin per l’azienda, lontano non solo dalla fotografia di documentazione tradizionale ma quasi unico nella storia del grande fotografo. Era il 1974 quando Marazzi, azienda leader nel settore della produzione ceramica, inventava la monocottura rapida, rivoluzionario brevetto tecnologico che cambiò per sempre il processo di produzione delle piastrelle. Per documentare questo salto tecnologico, fondamentale non solo per l’azienda ma per l’intero settore, tre anni dopo il fotografo Gianni Berengo Gardin viene invitato a realizzare una documentazione di queste nuove linee produttive. Il fotografo si trova immerso in un ambiente pulito, efficiente, dal sapore internazionale, di cui lo affascina soprattutto la velocità produttiva e quel nastro trasportatore dove colori, forme, disegni sembrano mescolarsi in un vortice: il soggetto del progetto diventa dunque quasi subito per lui il ritmo colorato della produzione, molto diverso da altri contesti industriali in cui aveva operato. “Mi fu chiaro subito come la sfida professionale fosse quella di riuscire a cogliere il flusso veloce dei colori, la scia dinamica delle forme - sottolinea Gianni Berengo Gardin - Il colore, che ho usato sempre poco, si imponeva, quindi, come scelta. Provai inoltre a lavorare in modo diverso da quel che normalmente facevo. Qui cambiavo spesso la distanza, avvicinandomi molto ai soggetti, per riuscire a cogliere i dettagli, i frammenti di quel che vedevo e realizzare così foto diverse dalle altre: sognanti, colorate, quasi astratte. Sono grato alla Marazzi per avermi lasciato libero di realizzare delle fotografie come queste, astratte, che anticipano in qualche modo un approccio concettuale inusuale a quell’epoca nella foto industriale in cui, in genere, veniva richiesto una documentazione più oggettiva, documentaria, del prodotto. Una festa per gli occhi e, per me, un lavoro molto originale”. L’esposizione presenta per la prima volta una selezione di 42 opere tratte da questa serie unica, in cui spicca non soltanto l’uso del colore, così raro nella produzione del fotografo, ma anche un altro elemento inaspettato. Come afferma la curatrice Alessandra Mauro, Berengo Gardin in questa serie fotografica “abbandona la giusta distanza del fotografo sociale, quella che da sempre lui utilizza per ritrarre le persone, si avvicina agli ingranaggi e realizza una serie di visioni macro per un racconto quasi astratto fatto di elementi isolati, di forme dinamiche, di strisce di colore che girano e si perdono, di mani sapienti che si muovono sui nastri. [...] Con questo corpus di immagini realizzato per Marazzi, l’autore dimostra non solo di riuscire a muoversi come sempre con attenzione esatta e sottile poesia, ma di riuscire anche a fermare, in tanti frammenti di secondo, il tempo colorato e veloce del lavoro che cambia”. Le immagini realizzate da Berengo Gardin diventano così tasselli di un affresco fotografico che prende forma all’interno dello spazio del lavoro: uno spazio che da concreto diventa a sua volta astratto, all’interno del quale si muove, in un flusso dinamico, un carosello incalzante, una danza di colori e di forme. “La relazione tra la produzione di Marazzi e le espressioni artistiche delle arti visive, dell’architettura, della moda e del design, è una storia che più volte si è intrecciata e ha incontrato grandi maestri dell’obiettivo, come Luigi Ghirri, Charles Traub o Cuchi White, e della matita, come Gio Ponti, Nino Caruso o Paco Rabanne, lasciandoli ogni volta liberi di sperimentare e di raccontare Marazzi dal loro punto di vista - dice Mauro Vandini, Amministratore Delegato di Marazzi Group - È un’emozione riscoprire in queste fotografie di Gianni Berengo Gardin, la fabbrica di allora e quell’attitudine alla sperimentazione che Marazzi ha continuato a coltivare nel tempo, affiancando alla ricerca di nuovi prodotti e processi, la promozione di letture differenti, personali, d’autore, della ceramica e del lavoro, che rappresentano oggi per noi un patrimonio inestimabile, accumulato in ormai 90 anni di storia, e una fonte inesauribile di ispirazione”. “Le Gallerie Estensi hanno sempre costruito e incentivato partnership pubblico-private, anche nel solco delle direttive ministeriali - dichiara Alessandra Necci, Direttore di Gallerie Estensi - La collaborazione con realtà eccellenti a livello mondiale del territorio modenese e sassolese è molto virtuosa, in particolare nel settore della ceramica in cui opera il gruppo Marazzi. Siamo dunque lieti che il partenariato fra Gallerie Estensi e Marazzi prosegua con ottimi risultati, nella prospettiva di un ulteriore sviluppo futuro”. “Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci” è anche il titolo del volume pubblicato da Marazzi Group e Contrasto, con testi di Alessandra Mauro e Gianni Berengo Gardin, che raccoglie una selezione di 42 opere della serie fotografica realizzata nel 1977 per l’azienda. (gci)
“DI SEGNO IN SEGNO”: LE OPERE DI OMAR GALLIANI A CITTÀ DI CASTELLO (PG)
La Galleria delle Arti di Città di Castello (PG), fondata nel 1976 da Luigi Amadei, presenta, dal 7 dicembre al 7 febbraio 2025, la mostra personale di Omar Galliani, intitolata “Di Segno in Segno”, con un testo critico di Lorenzo Fiorucci. L'esposizione, realizzata con il patrocinio di Comune di Città di Castello, Fondazione Cassa di Risparmio Città di Castello, Rotary Club Città di Castello e la partnership tecnica di Petruzzi Editore, sarà inaugurata sabato 7 dicembre alle ore 18.00, alla presenza dell'artista. Per la prima volta, viene esposto un corpus completo di opere grafiche di Omar Galliani, realizzate dagli anni Settanta agli anni Duemila. Il maestro del disegno italiano si approccia alle tecniche incisorie - principalmente litografia e acquatinta - grazie a una docenza all'Accademia di Belle Arti di Urbino (1979-80), città da sempre nota per le stamperie d'arte. Allo stesso modo, Città di Castello, che ha dato i natali a Celestino Celestini (1882-1961) e Alberto Burri (1915-1995), annovera nella sua storia una lunga tradizione dedicata alla stampa e all'editoria artistica, portata avanti anche dalla Galleria delle Arti di Luigi Amadei, che fatto della promozione grafica, in primis Burri, ma anche Picasso, Morandi e Bacon, una delle linee identitarie della propria mission. Il percorso espositivo comprende una quindicina di opere, molte delle quali in grandi formati, decisamente insoliti per le incisioni. Sono inoltre esposti alcuni esemplari unici, che associano alla litografia su pietra interventi manuali a tempera o pastello o applicazioni in marmo di Carrara. “Se le opere più note di Galliani trovano nel disegno la matrice più autentica della sua produzione, oltre che la tecnica prediletta - scrive Lorenzo Fiorucci - nella litografia egli non perde la genuinità della propria ricerca, seppur con esiti talvolta sorprendentemente diversi. Nelle litografie si possono infatti apprezzare quelle che sono le qualità tecniche di un segno grafico che nel suo dipanarsi tra la superficie liscia della pietra si fa prima specchio rovesciato di un'immagine e poi metafora di uno studio perseguito, senza soluzione di continuità, dagli anni Settanta ad oggi, in una prospettiva sempre più orientata ad una rilettura dell'idea stessa di figura, anche attraverso prelievi e citazioni storiche, nonché poetiche mitizzazioni arcaiche. [...] Nell'acquatinta, all'opposto, emerge preponderante quel dato tonale, cromatico, di sofisticata costruzione onirica, quasi in una commistione evocativa di istanze simboliste immerse in suggestioni cosmiche surreali. Il fascino della ricerca di Galliani sta proprio in questa capacità di cucire insieme visioni, creando un incantesimo, che trasporta l'osservatore all'interno di un mondo variegato, fatto di commistioni tra Oriente e Occidente, evanescenze atmosferiche, echi metafisici, citazioni classiche e richiami contemporanei”. “Tutte le volte che graffi una lastra ti accorgi del fondo di luce che avanza o indietreggia e il riflesso si impunta e suona con poche note sorde e lineari. Linea d'ombra o di luce dove gli acidi divorano e smussano i tuoi segni notturni. Notte di nitrati solubili o eterei in pose lunghe o brevi. Notte di pallidi segni inchiostrati di nero o di rosso. Notte di mani leggere o pesanti nel togliere o aggiungere. Mestica oleosa dei solchi baciati da carte umide e pesanti. Deposito di sali, evaporare leggero d'acqua e d'inchiostro. Nel fisso o nel mobile l'unico e il multiplo affiorano nella dinastia dei segni interrotti dal numero arabo. Codice di passioni violate su una tenera lastra di rame”, scriveva invece Omar Galliani nel 1991, durante un viaggio a Praga. (gci)
“LA LIBERA MANIERA”: A JESI (AN) L’ARTE ASTRATTA E INFORMALE DELLE COLLEZIONI INTESA SANPAOLO
La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (AN) presenta la mostra “La libera maniera - Arte astratta e informale nelle collezioni Intesa Sanpaolo”, promossa in sinergia con Gallerie d’Italia e Fondazione Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo e con il patrocinio della Regione Marche, prevista dal 7 dicembre al 4 maggio 2025 nel Palazzo Bisaccioni di Jesi. L’esposizione a cura di Marco Bazzini, uno dei più noti studiosi dell’odierna cultura figurativa, con il coordinamento di Mauro Tarantino, direttore della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, attinge alle prestigiose collezioni di Intesa Sanpaolo, nel quadro di un’efficace collaborazione che da alcuni anni è stata attivata con la Fondazione marchigiana. Quest’anno la piena sintonia e condivisione di obiettivi ha dato origine a questa nuova esposizione che ha visto coinvolta anche la Fondazione Ivan Bruschi di Arezzo nelle cui sale è stata presentata dal 2 marzo al 21 luglio 2024. Rispetto al precedente appuntamento aretino, la mostra presenta un maggior numero di opere, oltre una quarantina, sempre attentamente selezionate dalla ricca collezione di Intesa Sanpaolo. L’esposizione affronta il vitale periodo tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio dei favolosi anni Sessanta in Italia. Un decennio o poco più in cui il Paese viene ricostruito per lasciarsi alle spalle le rovine materiali delle città, dell’economia e della società civile. Allo stesso tempo, in quello che può essere immaginato come un abbandonato e incolto territorio, inizia anche la ricostruzione di una coscienza culturale che aveva pesantemente sofferto le restrizioni durante gli anni del Fascismo e che dopo la tragedia della guerra non rispondeva più a una domanda di “modernità”. Gli anni Cinquanta sono gli anni della rinascita del Paese, della formazione della Repubblica, di nuove geografie produttive e sociali, del risvegliarsi delle arti attraverso molteplici esperienze che non risparmiano accese polemiche. Il dibattito, guidato da fronti opposti che non ignorano differenti orientamenti poetici, è la prova di una vera vitalità e ripresa anche nell’arte italiana. Come scrive il curatore Marco Bazzini, “è difficile pensare agli anni Cinquanta come a un tempo in cui tutto si svolge con un progresso lineare perché sono anni in cui il divenire è caotico, soprattutto nell’arte che ne è lo specchio; anni in cui si seguono più direzioni, dove tutto sgorga da una dialettica tra più fuochi tra loro talvolta prossimi altre volte molto lontani. Una massa eterogenea di opinioni e pratiche contrastanti lascito di valori ed esperienze che, come api, impollinano il decennio successivo”. L’esposizione ha inizio con quelle personalità come Alberto Magnelli e il marchigiano Corrado Cagli che ebbero già una prima esperienza astratta tra le due guerre e che in quegli anni rientrarono in Italia dopo l’esilio, portando con loro le più attuali esperienze artistiche. Sono anni in cui gli artisti si aprono a una libertà espressiva fatta di tante e differenti maniere - da qui il titolo della mostra che riprende il più tipico termine utilizzato a metà del Cinquecento da Giorgio Vasari di cui quest’anno cadono i 450 anni dalla morte - a partire dalla sensibilità polimaterica di Alberto Burri o dalle nuove dimensioni spaziali indagate da Lucio Fontana e con lui da un nutrito gruppo di giovani tra cui presenti in mostra Edmondo Bacci, Gino Morandis, Tancredi Parmeggiani, Cesare Peverelli e Gianni Dova. Le nuove generazioni che dalla fine degli anni Quaranta possono iniziare ad affermare la loro proposta pittorica si indirizzano verso esperienze che scoprono il segno, Carla Accardi, Achille Perilli e Antonio Sanfilippo (esponenti del Gruppo Forma di Roma) ma anche il gesto che può assumere caratteri rivoluzionari come in Emilio Vedova. Colore e cromie decantano nella preziosa pittura di Afro Basaldella e Mario Nanni, mentre altri loro coetanei sono interessati a costruire una realtà tangibile, oggettiva che supera ogni estrazione o riferimento al reale come, tra i presenti in mostra, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Atanasio Soldati, Gianni Monnet (appartenenti al Movimento Arte Concreta formatosi a Milano). E ancora c’è chi come Renato Birolli, Ennio Morlotti e Antonio Corpora continuano a guardare alla natura proponendo dense superfici pittoriche o, al contrario, chi scruta l’universo atomico che in quel momento ha una non poca influenza nelle arti, come avviene in Enrico Baj, Guido Biasi e Mario Persico. Anche le artiste prendono parte a questa nuova dimensione con una sensibilità fortemente autonoma, oltre ad Accardi sono esposte opere di Carol Rama, Renata Boero, Regina, Paola Levi Montalcini e una giovanissima Grazia Varisco. Infine, un nucleo di artisti che si forma in questi anni ma che da tali premesse salta oltre l’Informale per guidare le ricerche del decennio successivo in cui si conquistano nuove dimensioni pittoriche: Toti Scialoja, Gastone Novelli, Mario Nigro, Enrico Castellani, Gianni Colombo e Agostino Bonalumi. In mostra anche opere di Piero Dorazio, Plinio Mesciulam, Alberto Moretti, Cesare Peverelli, Giulio Turcato e Arnaldo Pomodoro alle sue prime esperienze pittoriche di metà anni Cinquanta. “La libera maniera” vuole proprio evidenziare la diversificata e multiforme azione che gli artisti, durante gli anni del “miracolo economico” portano avanti. Un periodo fondamentale per gli sviluppi dell’arte italiana che le collezioni di Intesa Sanpaolo riconoscono per la sua importanza fin dai tempi della Banca Commerciale e di cui conservano una ricca raccolta, tra cui queste opere pregiate in mostra a Palazzo Bisaccioni a Jesi con inaugurazione venerdì 6 dicembre. (gci)
NELLA FOTO. Testa di fanciulla c.d Cleopatra VII, metà I secolo a.C., Museo di Antichità, Musei Reali di Torino_Foto di Olivier Roller
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