Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Presentato il progetto "Chi sei, Napoli?" dell'artista JR

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

Presentato il progetto

Le Gallerie d’Italia portano a Napoli l’artista francese JR, tra i più importanti rappresentanti della scena artistica contemporanea, famoso in tutto il mondo per i suoi progetti che uniscono fotografia, arte pubblica e impegno sociale. È stato presentato alle Gallerie d’Italia in Via Toledo, museo di Intesa Sanpaolo a Napoli, il nuovo progetto “Chi sei, Napoli?”, ottavo capitolo della serie “Chronicles”, che dopo Clichy-Montfermeil (2017), San Francisco (2018), New York (2018), Miami (2022), Kyoto (2024), tre città americane (Dallas, Saint Louis e Washington DC) per un murale sul tema delle armi in America (2018), e quindici città di Cuba (2019) giunge nella città partenopea con la prima installazione di questo tipo in Italia, realizzata con il patrocinio del Comune di Napoli. L’opera site-specific di JR è stata presentata il 21 maggio in Via Duomo, di fronte alla facciata della “Cattedrale di San Gennaro”, Duomo di Napoli, trasformata in un mosaico di volti locali, incarnando lo spirito comunitario, la resilienza, l’energia e l’anima polimorfa della città. Sarà possibile ammirarla dallo scorso 22 maggio fino al 5 ottobre 2026. La collaborazione dell’Arcidiocesi di Napoli, attraverso la Fondazione Napoli C’entro, è stata fondamentale per consentire la realizzazione dell’opera su un luogo sacro per la città, riconoscendo il valore sociale e simbolico del progetto di JR. Nel settembre 2024, l'artista francese JR ha iniziato a Napoli un'esplorazione profonda dell'identità culturale complessa della città. In una settimana, dal 23 al 29 settembre, sono stati protagonisti i cittadini di sette quartieri, con set fotografici allestiti a Piazza Sanità, Piazza Dante, Fuorigrotta, Mergellina, San Giovanni a Teduccio, Piazza Cavour e Borgo di Sant'Antonio. Durante questo periodo intenso, sono stati raccolti i ritratti e le storie di 606 napoletani provenienti da diversi background sociali e culturali, catturando così l’essenza di Napoli. Se il progetto fosse stato fatto una settimana prima o dopo, sarebbe stato completamente diverso. È fatto delle persone che erano lì, in quel momento. Il risultato del lavoro di JR è un collage fotografico monumentale sulla facciata del Duomo e raccontato nella sua composizione in una mostra alle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo in via Toledo, dove si potrà rivivere anche il ‘dietro le quinte’. In mostra verranno presentati anche tre murales della serie “Chronicles”, realizzata in Francia (Chroniques de Clichy-Montfermeil), a Cuba (Las Crónicas de Cuba) e in USA (The Gun Chronicles: A Story of America), per mostrare come l’arte di JR possa stimolare conversazioni creando un potente impatto visivo. Napoli, con il suo carattere contrastante – raffinata e ruvida, poetica e caotica, sospesa tra mare e vulcano –, si è rivelata un luogo ideale per questa narrazione collettiva. Le donne e gli uomini che hanno partecipato al progetto – pizzaioli, vigili del fuoco, poliziotti, sacerdoti, scrittori, musicisti, turisti, nonne, studenti, e il sindaco stesso – hanno scelto come farsi rappresentare, e hanno raccontato la loro storia in italiano o in napoletano. I ritratti, realizzati tutti con la stessa luce, assegnano pari dignità a ogni persona coinvolta. Le registrazioni vocali sono disponibili sul sito jrchronicles.net. JR ha un legame personale con Napoli e la sua cultura: il suo studio a Soho, New York, si trova a pochi isolati da Mulberry Street, cuore della comunità italiana e sede della Festa di San Gennaro. Nel 2014 ha realizzato “Unframed” sull’isola di Ellis, incollando immagini storiche di immigrati – molti dei quali napoletani – sull’ex ospedale dell’isola. Con il cortometraggio “Ellis”, interpretato da Robert De Niro, JR ha reso omaggio ai tanti che da Napoli sono partiti per cercare una nuova vita in America. Attraverso “Chi sei, Napoli?”, JR invita ognuno a riflettere su come vorrebbe essere ricordato. L’opera, che unisce arte e partecipazione, passato e presente, intende stimolare nuove conversazioni, generare incontri inaspettati e restituire alla città un ritratto in cui ogni abitante possa riconoscersi. Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, afferma: “È stato straordinario tornare a lavorare con JR, artista e fotografo tra i più magnetici, conosciuti e seguiti, in un grande progetto di arte collettiva che dalle Gallerie d’Italia di via Toledo coinvolge tutta Napoli. Un enorme e sorprendente affresco racconta sulla facciata del Duomo, nel luogo simbolo della città, le storie di centinaia di napoletani, dando forma spettacolare al dialogo continuo fra persone, strade, monumenti e arte che è una delle bellezze più inconfondibili di Napoli. JR usa la creatività come azione sociale e trasforma l’arte in una forza contagiosa capace di raggiungere e unire le persone. Chi sei, Napoli? sottolinea in modo evidente la funzione pubblica delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo e rende l’impegno in cultura della più importante banca del Paese un collante tra istituzioni, realtà culturali e artisti, per dare vita a racconti ed esperienze uniche. Le cronache di Napoli sono la conferma del profondo legame tra le Gallerie d’Italia e la città, proprio in occasione del terzo anniversario dell’apertura del museo nel 2022”. Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, afferma: “L’arte pubblica ha un grande valore per le città, culturale e sociale, che v ad arricchire il patrimonio artistico di Napoli già di per sé straordinaria. E così, anche i luoghi di culto possono, proprio attraverso l’arte pubblica, esprimere nuovi significati e diventare veicolo di messaggi collettivi estremamente evocativi. La facciata del Duomo di Napoli diventa, con il lavoro dell’artista francese JR, un caleidoscopio di umanità e rappresenta, verso l’esterno, le anime della città. I ritratti - tra cui anche io, ed è stata una bellissima esperienza prendervi parte - incontrano lo spazio urbano e lasciano un segno del lavoro svolto, contribuendo a delinearne l’identità, fatta di storie personali vere. Alle Gallerie d’Italia, il racconto del progetto creerà ulteriori occasioni di incontro e di dialogo, in continuità con l’installazione site-specific. L’arte ha un grande valore sociale e l’unione di queste storie, molto diverse le une dalle altre, opera per ricomporre le differenze ed esprime due principi fondamentali: la coesistenza e la condivisione, tra passato, presente e futuro”. Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, dichiara: “Sono felice che il sogno artistico di JR e del suo staff sulla facciata della nostra Cattedrale in questi giorni trovi compimento: la facciata del nostro Duomo grazie a questa iniziativa nei prossimi giorni non sarà solo una parete decorata, ma un respiro collettivo, un mosaico di umanità che ci ricorda che siamo un popolo in cammino, non un’istituzione che si guarda allo specchio. Perché la Chiesa non è un edificio da custodire, ma una vita da condividere. È carne, voce, lacrime e speranza. È il popolo di Dio, fatto di donne e uomini concreti, con le mani sporche di quotidiano e il cuore rivolto al cielo. Questa opera ne è segno: volti che si affacciano sulla città come una benedizione, mani che si intrecciano come preghiere silenziose, occhi che parlano di futuro. Non nascondiamo le nostre fragilità, anzi le esponiamo, perché crediamo che Dio non abiti la perfezione, ma l’amore. E il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha preso proprio la nostra forma: quella umile e impastata di contraddizioni, come un presepe che racconta non la favola di una notte, ma il riscatto quotidiano di un popolo. È questo il volto della Chiesa che sogniamo: una casa aperta, una tenda piantata in mezzo alla gente, che non divide ma accoglie, che non giudica ma accompagna, che non impone ma serve. E se oggi questa facciata respira un’aria nuova, è perché dietro ogni pietra ci sono storie vive. E noi vogliamo continuare a camminare con la nostra gente, con la nostra città di Napoli, con il Vangelo tra le mani e la speranza nel cuore. Desidero ringraziare di cuore JR per aver condiviso con noi il suo sguardo e la sua arte, e tutti coloro che hanno reso possibile questa bellissima opera, sostenendola anche con generosità. Grazie a chi ha creduto che l’arte potesse diventare parola viva, ponte tra il cielo e la terra, specchio della dignità di ogni persona”. Il catalogo dell’esposizione è edito da Società Editrice Allemandi. Il museo di Napoli, insieme a quelli di Milano, Torino e Vicenza, è parte del progetto museale Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, guidato da Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni Storici della Banca. (gci)

TORINO, A PALAZZO MADAMA MANOSCRITTI E MINIATURE RITAGLIATE

Ha aperto al pubblico lo scorso 23 maggio il progetto espositivo “Jan Van Eyck e le miniature rivelate”, curato da Simonetta Castronovo, conservatrice di Palazzo Madama, e realizzato in partnership con il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino. La mostra, visitabile fino all’8 settembre, nasce dalla volontà di valorizzare e approfondire la conoscenza della collezione di manoscritti e miniature ritagliate (cuttings) del Museo Civico d’Arte Antica di Torino, costituita da 20 codici miniati, 10 incunaboli e da un ricco fondo di 80 tra fogli e miniature ritagliate, databili tra il XIII e il XVI secolo raramente esposta perché particolarmente delicata. Il progetto intende svelare e illustrare al pubblico un patrimonio che pochi conoscono, affiancando alle vetrine una grafica che, oltre a inquadrare ciascun volume e ciascun frammento nel giusto contesto geografico e stilistico, apra anche degli approfondimenti sia sulle tecniche di realizzazione dei manoscritti e i materiali impiegati, sia sulle biblioteche nel Medioevo e nel Rinascimento e sulla circolazione dei libri in questo periodo. Il progetto ha preso avvio nel 2021, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Storici (prof. Fabrizio Crivello) e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino (prof. Angelo Agostino), e il Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università del Piemonte Orientale (prof. Maurizio Aceto). Il primo intervento è consistito nella schedatura sistematica dei materiali e in una campagna fotografica di tutte le opere prese in esame, seguite da una campagna di analisi scientifiche (quali misurazioni con le tecniche FORS e XRF riguardanti i supporti, i pigmenti, le dorature). La mostra nasce quindi dalla volontà di presentare, terminati i rilevamenti e le ricerche su questo fragile patrimonio, gli esiti degli approfonditi studi appena conclusi. L’esposizione è articolata in sei sezioni cronologiche. Aprono la mostra, all’interno della sezione dedicata al Duecento e al Trecento, gli Statuti della Città di Torino del 1360 (manoscritto noto come Codice delle Catene, oggi conservato nell’Archivio Storico del Comune), un volume di grande importanza politica e simbolica per Torino, dal momento che racchiude i primi ordinamenti che regolavano la vita cittadina e i rapporti del Comune con i conti di Savoia; quindi, due statuti di Corporazioni medievali, la Matricola degli orefici e quella dei Cordovanieri di Bologna, e infine una Bibbia del 1280, autentico capolavoro del Duecento bolognese. Al Gotico internazionale e lombardo appartengono una serie di frammenti provenienti da raffinati Libri d’ore e Antifonari legati al gusto della corte dei Visconti, come il Giovanni Battista di seguace di Michelino da Besozzo; mentre nella sezione dedicata al XV secolo in Francia e nelle Fiandre sarà presentato il celebre codice delle Très Belles Heures de Notre Dame di Jean de Berry, noto anche come Heures de Turin-Milan, con miniature di Jan Van Eyck, l’opera più preziosa in assoluto del Museo Civico di Torino, mai più esposto al pubblico dal 2019; affiancato da altre testimonianze dell’arte fiamminga e franco-fiamminga, alcune giunte precocemente in Piemonte: come il Messale commissionato dalla famiglia Buschetti di Chieri, il Libro d’Ore di Simon Marmion e il Libro d’ore di Chalons-sur-Saone di Antoine de Lonhy, il pittore borgognone poi attivo tra Savoia, Valle di Susa, Torino e Chieri nell’ultimo quarto del Quattrocento. Risalenti al XV e XVI secolo e provenienti da Ducato di Savoia sono invece, il Libro d’Ore Deloche del Maestro del Principe di Piemonte e il Laudario della Confraternita di Santa Croce di Cuneo. Seguono una quinta sezione, dedicata al Rinascimento, con il Messale del cardinale Domenico della Rovere miniato da Francesco Marmitta e numerosi frammenti, e infine quella dedicata agli incunaboli miniati, con il raro Libro d’Ore di Antoine Vérard (Parigi 1481-1486). Chiude la mostra il cosiddetto Libro di Lettere Astrologiche (1550), in realtà un manuale di calligrafia, forse realizzato per il giovane Emanuele Filiberto di Savoia, con straordinarie iniziali a inchiostro, ancora di ispirazione medievaleggiante. La pubblicazione del catalogo sistematico di questa collezione, dove confluiranno anche i risultati delle indagini diagnostiche e che vede la collaborazione di ventisei specialisti di miniatura medievale e rinascimentale, è prevista per giugno per i tipi dell’Artistica Editrice di Savigliano. (gci)

A BRESCIA LA PRIMA RETROSPETTIVA ITALIANA SUL FOTOGRAFO JOEL MEYEROWITZ

Una promessa che pulsa in ogni scatto e un desiderio: quello di restituire il senso di meraviglia e realtà con cui si dovrebbe osservare il mondo. È in una raccolta di storie – raccontate da chi quella meraviglia e quel senso di umanità ha reso sue bussole visive – che fino al 24 agosto, il Museo di Santa Giulia a Brescia ospita la prima retrospettiva italiana dedicata a Joel Meyerowitz. Dal titolo “A Sense of Wonder. Fotografie 1962–2022”, la mostra, promossa da Brescia Musei e curata da Denis Curti, espone oltre novanta immagini di uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea che non ha “solo” immortalato il mondo, ma ha insegnato a guardarlo, davvero. Era il 1962 quando Meyerowitz, folgorato da un incontro con Robert Frank, abbandonò una promettente carriera da art director per entrare, a piè pari, nel mondo della vera immagine. Bastarono pochi minuti, pochi istanti trascorsi a osservare quel gigante della fotografia in azione, che in lui tutto cambiò. E così, chiese in prestito una Leica e dopo due giorni iniziò a catturare il vivo battito della realtà. Quella realtà che Meyerowitz trovò nella strada, come luogo pulsante sì di caos, ma anche di vita. È infatti accanto a compagni di cammino – come Garry Winogrand e Todd Papageorge, che il fotografo colse, nei boulevard di New York, volti, posture e sguardi, delineando una street photography che è invito all’intimità nel luogo, però, meno intimo che esista. Ma è proprio la restituzione di quella realtà – nella sua vera, e talvolta cruda, verità – che rende gli scatti di Meyerowitz così profondamente umani, come sottolineato anche nell'audace scelta del colore come modalità comunicativa per le immagini. Perché in un'epoca in cui bianco e nero dominavano la scena fotografica come “unico veicolo d’arte”, scegliere il colore era forse un'eresia, ma fu proprio questo a segnare l’inizio di un nuovo modo di raccontare il mondo. Più vibrante, più empatico, e forse, proprio per questo, più sincero. E anche quando il soggetto cambiava, restava quel “sense of wonder”, quel senso della meraviglia, che dà il titolo alla mostra. Dall’America ferita della guerra del Vietnam alle spiagge silenziose di Cape Cod, Meyerowitz mantenne infatti sempre fede al suo obiettivo: indagare l’essere umano e il paesaggio che lo accoglieva, anche quando quel “paesaggio” era simbolo di morte e distruzione – come nel caso delle rovine di Ground Zero che Meyerowitz documentò come unico fotografo autorizzato dopo l’11 settembre 2001. Una coreografia dell’istinto, dunque, che trasforma lo sguardo in narrazione, e la fotografia in una forma di “poesia visiva”, in grado di descrivere la realtà con una grammatica tanto personale quanto universale. Perché dietro l’obiettivo l’artista non cerca la posa, ma la verità. Quella verità che si svela nei gesti minimi, nei silenzi profondi e nel gioco imprevedibile della vita che Meyerowitz non ha “solo” fotografato, ma ha insegnato a guardare, in un modo nuovo e soprattutto vero. (gci)

A PERUGIA “GIANNI BERENGO GARDIN FOTOGRAFA LO STUDIO DI GIORGIO MORANDI”

Un “dialogo” tra scatti fotografici e arte: dallo scorso 23 maggio al 28 settembre, la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nello spazio CAMERA OSCURA dedicato alla fotografia, allestito all’interno del percorso del museo perugino, ospita la mostra “Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi”, a cura di Alessandra Mauro. L’esposizione raccoglie 21 dei più significativi scatti realizzati da Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930) nel 1993, quando viene chiamato per documentare i luoghi dove ha lavorato il grande pittore emiliano, in occasione dell’apertura a Palazzo d’Accursio a Bologna del Museo Morandi. Prima di smantellare lo studio, era necessario che lo si immortalasse per sempre. L’obiettivo di uno dei più importanti fotografi del Novecento penetra così negli ambienti dove sono nati i capolavori di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), per raccontare la stratificazione di luoghi tanto vissuti, l’usura e la familiarità evidente con quelle stanze che sono state abitate ogni giorno per anni. Gianni Berengo Gardin entra così nell’intimità di Giorgio Morandi; si ferma sugli oggetti tante volte osservati e ritratti nelle tele. Con attento pudore, il fotografo registra lo spazio del pittore: il cappello lasciato sul letto, il materasso che sembra riportare ancora l’impronta del suo corpo, per proporre un piccolo grande “viaggio in una stanza” che ha la portata di una vera avventura esistenziale. Ma soprattutto Berengo Gardin fissa attraverso l’obiettivo i vasi, le bottiglie, i piatti, le caffettiere e tutte le cose che Morandi ha disposto con sapienza e ordine, prima e dopo averle riprodotte nei suoi quadri. All’interno di CAMERA OSCURA, si osserva quindi il dietro le quinte del lavoro del maestro, con la possibilità di comprendere ancora meglio il segreto dei suoi dipinti. “Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi” anche nella sua ‘spazialità’ intende omaggiare l’arte di Berengo Gardin, evocando, nella mente del visitatore, lo studio, il luogo raccolto, intimo, della creazione artistica. Grazie a due eccezionali prestiti dal Museo Morandi di Bologna – Giorgio Morandi, Natura morta, 1951, olio su tela; Giorgio Morandi, Natura morta con oggetti bianchi su fondo scuro, 1930, incisione all’acquaforte da matrice di rame – l’esposizione perugina crea un inedito confronto tra le immagini di Berengo Gardin, nel loro impeccabile bianco e nero, e i colori delicatissimi di Morandi, che ha trasformato un’ossessione in pura poesia: la documentazione fotografica diventa evocazione poetica, registrazione puntuale di una pratica artistica fatta di misura e contemplazione. La mostra è realizzata in collaborazione con il Museo Morandi di Bologna, con lo Studio Berengo Gardin di Milano e con il supporto de L’orologio società cooperativa – Business Unit Sistema Museo. Catalogo Silvana Editoriale. (gci)

L'ARTE GIAPPONESE DI KEITA MIYAZAKI NEL BORGO DI PAOLO E FRANCESCA

Nel cuore delle Marche, a Gradara (PU) - borgo sospeso nel tempo che custodisce secoli di storia, dominato dal celebre castello teatro del tragico amore tra Paolo e Francesca cantato da Dante - il MARV - Museo d'Arte Rubini Vesin ospita la prima grande personale mostra in Italia dell'artista giapponese Keita Miyazaki: “Post-Apocalyptic Bloom”, a cura di Riccardo Freddo e Luca Baroni in collaborazione con Gallery Rosenfeld, dal 6 giugno al 6 luglio. L'esposizione, che dal 7 luglio e fino al 6 settembre sarà visitabile alla Rocca, si inserisce nel percorso di dialogo tra storia e contemporaneità che Gradara ha saputo attivare negli ultimi anni, facendo della cultura un motore di rinascita, proprio come accade nelle opere di Miyazaki. La vasta selezione di opere recenti mette in luce il peculiare linguaggio scultoreo dell'artista: una visione in cui la distruzione si trasforma in rinascita, la meccanica si fonde con l'organico, e l'arte diventa un giardino post-apocalittico. L'artista fonde materiali industriali – componenti meccaniche, motori dismessi, metalli – con elementi delicati e artigianali come carta piegata a mano, feltro cucito, tessuti: una combinazione che richiama il concetto di wabi-sabi, ovvero la bellezza dell'imperfezione e della transitorietà. Le sue sculture raccontano un mondo post-apocalittico che rifiorisce, in cui ciò che era rottame diventa simbolo di nuova vita. “Con la carta voglio far fiorire le mie opere”, spiega Miyazaki e non è un caso che il verbo “fiorire” trovi qui un'eco perfetta. Gradara, con la sua vocazione all'incanto e alla narrazione, è la cornice ideale per un'esposizione che invita a riscoprire la bellezza nel riuso, nel frammento, nella trasformazione. Proprio come i fiori che sbocciano dalle sculture di Miyazaki, anche l'arte contemporanea trova terreno fertile in questo borgo denso di memoria e futuro. “Post-Apocalyptic Bloom” trasforma così lo spazio espositivo in un giardino meccanico e poetico, dove la memoria dell'industria si intreccia con la delicatezza della natura. Keita Miyazaki, artista già protagonista di mostre in importanti istituzioni come il Victoria and Albert Museum, il Centre Pompidou, il Jameel Arts Centre e il Palais de Tokyo, e presente in prestigiose collezioni in Europa, Asia e Stati Uniti, penetra con il suo linguaggio scultoreo nel borgo protetto dalle cinta murarie medievali, che oggi si fa crocevia tra passato e futuro, in un viaggio da Tokyo a Pesaro Urbino che il curatore Riccardo Freddo ha saputo immaginare fondendo al meglio l'arte di ispirazione nazionale con i luoghi scrigno tutti da scoprire della nostra penisola. Riccardo Freddo commenta: "Le opere di Keita Miyazaki mi colpiscono profondamente per la loro malinconica armonia. C'è in esse una bellezza fragile e imperfetta che richiama la filosofia giapponese del wabi-sabi: una bellezza triste, incompleta, che accetta il tempo, l'asimmetria e la decadenza come elementi essenziali. Le sue sculture non cercano un equilibrio classico o una forma compiuta come nelle tradizioni scultoree europee, ma si radicano proprio nell'idea che il bello possa nascere anche dal difetto, dall'errore, dall'imperfezione È in questa tensione che si sprigiona la forza poetica del suo lavoro". Keita Miyazaki (Tokyo, 1983) è un artista visivo giapponese attivo tra Tokyo e Londra, noto per le sue sculture ibride che combinano materiali industriali e tecniche artigianali. Dopo aver studiato all'Università delle Arti di Tokyo e al Royal College of Art di Londra, ha sviluppato un linguaggio visivo riconoscibile, che mette in dialogo rovine meccaniche e forme vegetali. Le sue opere sono state esposte in musei e gallerie internazionali, tra cui Victoria and Albert Museum, Centre Pompidou, Palais de Tokyo, Jameel Arts Center, e fanno parte di collezioni prestigiose come la Fondazione Benetton, il Mori Arts Center e la Daiwa Foundation. Riccardo Freddo è un esperto di arte contemporanea con una solida formazione internazionale. Dopo la laurea alla LUISS e studi a Stanford, ha approfondito l'arte investendo con una tesi supervisionata dalla Columbia University. Ha lavorato in istituzioni di rilievo come Paddle8, Christie's e Sotheby's, dove ha curato aste e progetti speciali tra New York, Los Angeles e Londra. A Parigi ha gestito una prestigiosa collezione privata e ha conseguito un master al Marché de l'Art alla Sorbonne. Nel 2023 ha fondato The Place of Silence, residenza d'artista in Umbria dedicata alla riflessione e al dialogo con la natura. Oggi è Institutional and Museum Liaison della galleria Rosenfeld di Londra, dove coordina mostre e relazioni con musei e istituzioni internazionali. Unisce visione strategica, sensibilità artistica e passione per l'innovazione culturale. (gci)

NELLA FOTO. Immagini di allestimento a cura di Salvatore Laporta

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