La Galleria de' Bonis di Reggio Emilia (Viale dei Mille, 44/D) presenta, dal 19 giugno al 31 luglio, un “Viaggio in Italia” per celebrare l'arte e l'anima del Novecento italiano attraverso le opere dei suoi protagonisti. L'esposizione, dal titolo “Viaggio in Italia. La pittura italiana e lo spirito del Novecento nelle opere dei suoi protagonisti”, propone un itinerario tra paesaggi iconici e sperimentazioni artistiche che hanno plasmato l'identità culturale del Paese. “Viaggio in Italia” non è solo una rassegna di paesaggi, ma un'immersione profonda nell'italianità, intesa come espressione della personalità pittorica di artisti che hanno lasciato un segno indelebile nel secolo scorso. La Galleria de' Bonis, da sempre punto di riferimento nel collezionismo e nella ricerca sulla figurazione italiana del Novecento, ha selezionato per l'occasione un corpus di opere significative, che offrono un vero e proprio excursus storico-artistico attraverso il paesaggio e lo spirito italiano. Il percorso espositivo comprende la campagna emiliana nei paesaggi di Antonio Ligabue, una veduta di Cortina, uno dei luoghi del cuore di Filippo de' Pisis, un coloratissimo eppur essenziale paesaggio di Salvo, uno degli artisti più ricercati del momento, per la prima volta fra le scelte della galleria. E poi le famose e possenti rocce di Mario Sironi, un paesaggio lacustre dai toni chiari di Umberto Lilloni e uno geometricamente scomposto del reggiano Alberto Manfredi, spiagge versiliane, insolitamente vuote e silenziose nelle tele di Carlo Carrà, un "tappeto natura" con un greto di torrente di Piero Gilardi. E tanti altri scorci da scoprire. La mostra non si limita a paesaggi, si sviluppa anche attraverso opere di artisti che hanno segnato un momento epocale nella pittura italiana: da Giacomo Balla, con l'opera futurista Ballerina più spazio, a Fausto Melotti, con le sue sperimentazioni materiche in scultura e bassorilievo sul tema, a lui caro, del teatro. “Una sezione che completa il percorso principale - spiega il gallerista Stanislao de' Bonis - per dare voce, anche oltre il paesaggio, all'innovazione e alla storia dell'arte italiana”. In esposizione, opere selezionate di Giacomo Balla, Carlo Carrà, Filippo de Pisis, Piero Gilardi, Renato Guttuso, Antonio Ligabue, Umberto Lilloni, Alberto Manfredi, Fausto Melotti, Giuseppe Migneco, Salvo, Mario Schifano, Mario Sironi e Tino Stefanoni. (gci)
A LECCO “ANTONIO LIGABUE E L’ARTE DEGLI OUTSIDER”
Un racconto sul complesso rapporto tra arte e follia; uno sguardo approfondito sulle vicende personali e sulla produzione di autori che hanno scritto pagine importanti della storia dell’arte italiana del Novecento, la cui formazione sviluppatasi nell’alveo di studi tradizionali, si è indirizzata verso esiti altri, dopo aver vissuto una esperienza manicomiale che li ha segnati profondamente e sulla ricerca di autori che proprio in un ospedale psichiatrico hanno scoperto il potere dell’arte e il proprio talento. Questo è il filo rosso che guida la mostra, in programma nelle sale del Palazzo delle Paure a Lecco fino al 2 novembre, dal titolo “Antonio Ligabue e l’arte degli Outsider”, curata da Simona Bartolena, con opere di Antonio Ligabue, Filippo de Pisis, Carlo Zinelli, Gino Sandri, Edoardo Fraquelli, Pietro Ghizzardi, Mario Puccini, Rino Ferrari, artisti che hanno conosciuto il manicomio o le cui ricerche hanno seguito percorsi anomali, fuori dagli schemi. Alcuni di loro sono entrati in strutture psichiatriche quando già pittori affermati, altri si sono scoperti artisti proprio nelle stanze di una casa di cura. Tutti si sono distinti per la loro diversità, il loro pensiero libero, il loro essere degli outsider, poetici portatori di punti di vista differenti. Otto linguaggi artistici fuori dal comune, capaci di raccontare il complesso rapporto tra arte e “follia”, un intreccio difficile da districare che lascerà al visitatore importanti motivi di riflessione. Il percorso ruota attorno alla figura di Antonio Ligabue, “Toni al matt”, come solevano spesso definirlo gli abitanti della Bassa padana, regione dove trascorse buona parte della sua vita, e di cui si celebrano i sessant’anni dalla scomparsa, avvenuta a Gualtieri il 27 maggio 1965. La difficile e tormentata vita di Ligabue, nato a Zurigo nel 1899 e trasferitosi ventenne in Italia, a Gualtieri, è segnata da ostilità e incomprensioni, da ricoveri all’Istituto Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia e al Ricovero di mendicità di Gualtieri, ma è tutta dedicata, fino alla morte, alla pittura e alla scultura. A Lecco sono proposti alcuni dei suoi maggiori capolavori che documentano i suoi motivi più ricorrenti, dalle belve feroci (Giaguaro con gazzella e serpente, 1948; Leonessa con zebra, 1959-1960; Volpe in fuga, 1957-1958), ai paesaggi rurali padani (Ritorno dai campi con castello, 1955-1957) dai lavori nei campi (Contadino con cavallo al traino, 1955-1956.; Aratura coi buoi, 1953-54) agli autoritratti (Autoritratto con grata, 1957), oltre a due opere inedite, provenienti da collezione privata: Autoritratto con libellula e Pascolo. Questa selezione sottolinea il grande valore di Ligabue nell’ambito dell’arte italiana ed europea, al di là della fuorviante definizione di naif che l’ha troppo a lungo accompagnato e ne ha mortificato la comprensione, e lo collocherà tra gli esponenti più significativi di quel filone “primitivo” ed espressionista. Un’altra personalità di ampio profilo attorno cui si sviluppa il percorso espositivo lecchese è Filippo de Pisis (1896-1956), pittore, ma ancor prima poeta, dotato di spiccata sensibilità. La sua cifra stilistica s’iscrive inizialmente nell’ambito della Metafisica, dopo l’incontro con Giorgio de Chirico e il fratello Alberto Savinio, caratterizzata da una pittura elegante, di tocco, ma in cui traspare una vena struggente, un affanno latente, che trapela dall’apparente leggerezza dell’insieme. Dopo i periodi felici trascorsi a Parigi e Londra, de Pisis rientra in Italia; qui, un male sottile, strisciante, incalcolabile, s’impossessa del suo corpo e della sua mente. La sua straordinaria sensibilità si trasforma in un profondo mal di vivere, un’inquietudine incontrollabile. Per cercare una cura alla sua malattia, entra a Villa Fiorita a Brugherio, una struttura specializzata nella Brianza monzese. A Lecco, vengono proposte alcune struggenti Nature morte e uno scorcio di Brugherio (da collezione privata) realizzati in questo periodo, veri e propri capolavori del dolore, in cui risulta evidente la traccia del disagio di cui è vittima, composti da pochi tocchi, da pennellate di colore puro, dai contorni neri a linea continua, ombre scure, su una tela lasciata in gran parte scoperta, in cui si respira un disperato senso di vuoto. La mostra prosegue con le creazioni di altri outsider. Tra questi, spicca il livornese Mario Puccini (1869-1920), vero e proprio caso nella pittura toscana tra i due secoli. Isolato, affetto da difficili patologie comportamentali, autonomo nella ricerca pittorica, fu definito dal critico Emilio Cecchi, suo estimatore, “un Van Gogh involontario”. Considerato folle, nel 1894 viene rinchiuso nell’Ospedale psichiatrico San Nicolò di Siena, struttura da cui uscì quattro anni dopo. Puccini riprese a dipingere come un uomo nuovo, come se gli anni di reclusione lo avessero convinto della propria vocazione all’arte. Una volta fuori dalle mura dell’Ospedale, egli si interesserà in via esclusiva ai suoi dipinti, caratterizzati da una certa ripetitività nei temi (le marine e le ambientazioni di Livorno) ma animata da una cifra stilistica personale, unica, potentemente emozionale, in cui il colore è il vero protagonista. Anche quella di Gino Sandri (1892-1959), finissimo intellettuale, scrittore straordinario e disegnatore e pittore dalla mano felicissima, è un’esistenza segnata dalla permanenza in manicomio. Promettente artista, molto apprezzato come illustratore, nel 1924 Sandri viene inquisito e rinchiuso in una casa di cura a Roma con l’accusa di essere un soggetto pericoloso, a seguito di non precisati crimini di “natura politica”. Rilasciato e rientrato a Milano nel febbraio del 1926, riprende la propria attività artistica, ma dopo pochi mesi è di nuovo internato in una clinica a Turro e poi ad Affori, per poi passare, dopo la morte della madre, due anni nell’ospedale psichiatrico di Mombello a Limbiate. Una volta dimesso, si trasferisce a Ceriano Laghetto ma il suo equilibrio psichico è ormai compromesso e sovente egli rientra in manicomio. Completamente solo, lascia alle tante pagine scritte e ai fogli su cui traccia i volti di chi lo circonda la propria testimonianza di vita. I suoi disegni degli ospiti del manicomio - molti dei quali si possono ammirare a Palazzo delle Paure - tratteggiano, con il segno sicuro di un artista completo e talentuoso, i caratteri di un’umanità varia, ai margini della società, ma sempre poetica. Di altissima qualità dal punto di vista stilistico, le grafiche di Sandri hanno la capacità di emozionare, narrando persone reali, descritte in tutta la loro complessità. I ritratti degli internati nel manicomio di Mombello furono anche il soggetto privilegiato di Rino Ferrari, entrato in clinica psichiatrica a seguito dell’esperienza traumatica vissuta durante il massacro di Cefalonia. Incoraggiato dal medico, Ferrari inizia a disegnare. L’artista passava ore con i moribondi, cercando di cogliere, come nelle opere della serie Agonia, il momento di passaggio tra la vita e la morte. Anche Carlo Zinelli (1916-1974), uno degli autori più noti del panorama della creatività nata tra le mura di un manicomio, trova nell’arte uno straordinario strumento di comunicazione. Grazie alla vicinanza e al conforto dello psichiatra Vittorino Andreoli, Zinelli produrrà opere dalla cifra stilistica inconfondibile, riconosciute oggi come una delle espressioni più interessanti dell’Art Brut. La rassegna si completa con due affondi su Pietro Ghizzardi (1906-1986) ed Edoardo Fraquelli (1933-1995). Il primo, figlio della grande pianura attraversata dal Po, è spesso accostato ad Antonio Ligabue. Ma la sua pittura non racconta la vita nei campi, i paesaggi della Bassa, le ambientazioni esotiche popolate da belve feroci, quanto ritrae le belle donne del paese con uno stile che rivela inaspettati accenti primitivisti e con una tavolozza dalle infinite gamme dei grigi. Il secondo, nato a Tremezzo sul lago di Como, muove i suoi primi passi nell’ambito dell’Informale, con accenni più vicini al naturalismo morlottiano. Fragilissimo psichicamente, Fraquelli entra in manicomio e abbandona per qualche tempo l’arte. Sarà l’incontro due giovani collezionisti che si innamorano della sua pittura e lo sostengono a spingerlo a riprendere a dipingere. Le sue opere si caratterizzano per una sapienza compositiva e un equilibrio sempre controllatissimi. Fraquelli passa da creazioni cromaticamente vibranti e dal segno carico di tensione a lavori in cui l’ordine e il silenzio sembrano avere la meglio. La sua ora è una pittura di luce, di gialli vibranti e onirici rosa, l’esito quasi inevitabile di una liberazione interiore, di una nuova consapevolezza e di una profonda speranza. (red)
PROLUNGATA AL 2 NOVEMBRE “THE WORLD OF BANKSY”
Milano non si stanca di Banksy. Dopo aver conquistato decine di migliaia di visitatori nei primi mesi di apertura, “The World of Banksy – The Immersive Experience” prolunga la sua permanenza nel capoluogo lombardo fino al 2 novembre, confermandosi tra gli eventi culturali più amati della stagione. La proroga risponde all’entusiasmo del pubblico e al desiderio di offrire ancora a tutti la possibilità di fare un viaggio immersivo nell’universo provocatorio e visionario dello street artist più celebre al mondo. Ospitata nel nuovo polo culturale Varesina 204, nel cuore del Milano Certosa District, la mostra propone oltre 100 opere – tra graffiti, fotografie, installazioni e stampe – realizzate su supporti differenti, dalla tela al forex, dal plexiglass all’alluminio. L’allestimento, concepito appositamente per questa tappa milanese, guida il visitatore in un percorso multisensoriale, tra murales su larga scala, ambientazioni urbane ricostruite e una coinvolgente sezione video che approfondisce i principali temi sociali affrontati da Banksy: guerra, disuguaglianza, consumismo, controllo e diritti umani. “The World of Banksy” è pensata per un pubblico ampio e trasversale, curioso non solo di ritrovare immagini iconiche come Flower Thrower, Napoleon o Ozone Angel, ma anche di comprenderne il contesto, la potenza simbolica e il messaggio. Ogni ambiente è progettato per restituire la forza immediata delle opere originali, accompagnando lo spettatore in una riflessione continua tra arte e attualità. Attivo dalla metà degli anni Novanta, Banksy è oggi una delle figure più influenti dell’arte contemporanea. Le sue opere, realizzate con la tecnica dello stencil, hanno invaso i muri di città in tutto il mondo, da Londra a Tokyo, da New York a Venezia. Pur mantenendo il suo anonimato e una netta distanza dal mercato tradizionale dell’arte, Banksy ha ottenuto riconoscimenti globali e una notorietà crescente, anche grazie al suo impegno sociale e alla capacità di intervenire con forza sulle questioni più urgenti del presente. (gci)
“THEA MARIS – RITORNO ALL'ORIGINE”: TRA MITO, MATERNITA’ E PERCEZIONE SENSORIALE
Una mostra diffusa tra mito, maternità e percezione sensoriale. A Maratea, in un contesto carico di storia e spiritualità̀, prende forma “Thea Maris – Ritorno all'origine”, il progetto fotografico e installativo di Anna Caterina Masotti visitabile dal 27 giugno al 27 agosto. Un percorso artistico e personale che intreccia il mito classico di Afrodite con la biografia dell'artista, in una narrazione per immagini, ricami e suoni. La mostra, articolata in cinque luoghi simbolici della cittadina lucana, si configura come un viaggio meditativo tra fotografia, memoria intima e paesaggio. Il nucleo poetico di “Thea Maris” si concentra sulla figura archetipica della Dea del mare, Afrodite, riletto nella chiave di una giovane donna moderna che attraversa il confine tra adolescenza e maturità. Non un'icona idealizzata, ma un corpo reale in trasformazione. "Riscoprendo antichi codici e riferimenti alla Grecia classica – spiega Masotti – ho reinterpretato l’idea di bellezza attraverso forme e tecniche contemporanee. Queste immagini sono state scattate quasi tutte a Maratea, dove mia madre era incinta di me al sesto mese. Oggi torno in questo mare con mia figlia, creando un legame che si rinnova e si arricchisce come ogni onda che bacia la riva". Il progetto si declina in una serie di immagini fotografiche in bianco e nero, ricamate a mano con fili dorati, bronzei e neri. Opere sospese tra fisicità e immaterialità, tra luce e memoria, che si accompagnano a ceramiche artistiche, tessuti stampati, oggetti luminosi e a video installazioni temporanee. Tutto concorre a creare un dispositivo percettivo immersivo, in cui l’osservatore è invitato a esplorare la relazione tra generazioni, tra natura e corpo, tra intimità e archetipo. La mostra si articola in cinque luoghi emblematici della città. A Palazzo De Lieto, edificio settecentesco con sezioni archeologiche e pinacoteca, le opere dialogano con le ancore romane rinvenute nei fondali locali. L’ancora "Venus", in particolare, rievoca l’icona mitica della nascita di Venere. La leggerezza della seta e la sottigliezza del ricamo contrastano con la pesantezza degli oggetti storici, creando un cortocircuito tra passato e presente, tra tempo e visione. Le piccole fotografie installate lungo le pareti richiamano l’energia misteriosa del mare e la sua potenza generatrice. Nella Chiesa dell’Immacolata, le opere sospese in chiffon e seta si integrano con le superfici in pietra, maiolica e legno. L'intervento, discreto e luminoso, agisce in armonia con l'architettura sacra, attivando una meditazione silenziosa sulla bellezza effimera. Ricami e trasparenze costruiscono un tessuto simbolico che lega spiritualità e materia. Nella Chiesa di San Francesco, un'unica immagine di grande formato rappresenta una mano che offre fiori di buganvillea, impreziosita da un'ape ricamata in filo dorato. L'opera, pensata come gesto simbolico di dono e condivisione, si radica nel paesaggio fiorito attorno alla chiesa e si connette al tema della cura e della trasformazione. La Chiesa di Porto Salvo, al porto, ospita una sequenza di piccole fotografie ricamate, raffiguranti conchiglie, meduse e coralli. Disposte lungo le pareti come una via simbolica, le immagini richiamano la processione della Madonna sul mare e instaurano un dialogo visivo tra spiritualità popolare, devozione marina e tradizioni di pesca. Lo Spazio Altri Turismi ETS, infine, accoglie fotografie su seta, opere ceramiche e lampade d'artista. Un tempo falegnameria, oggi spazio espositivo e artigianale convertito all’arte, il luogo riflette il dialogo tra saperi antichi e linguaggi visivi contemporanei. Le opere, molte delle quali acquistabili, testimoniano la vocazione della mostra a diventare esperienza abitabile e diffusa. Il progetto è accompagnato da testi critici di Laura Frasca e da un apparato visivo che include fotografie, video e installazioni ambientali. L’allestimento segue i principi della psicologia della Gestalt, organizzando linee, forme e relazioni in modo da stimolare una percezione profonda e stratificata. La chiarezza compositiva non elimina il mistero, ma lo evidenzia: ogni immagine diventa così una soglia, un dispositivo visivo aperto all’interpretazione individuale. “Thea Maris” non è una mostra nel senso tradizionale. È un attraversamento, una navigazione dentro e fuori la coscienza, in cui il mare è grembo e confine, elemento originario e simbolico. Le immagini, con i loro ricami sottili, non sono solo opere da guardare: sono superfici da abitare, tracce da sentire. E come onde, si rinnovano ad ogni sguardo. (gci)
L’ARTE RICORDA A RAVENNA IL NAUFRAGIO DEL 3 OTTOBRE 2013 A LAMPEDUSA
“Vincenzo Latina. Una costellazione in terra – Il memoriale delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa” è la toccante mostra dedicata a una delle pagine più cupe della storia recente del nostro Paese, dal 20 giugno fino al 21 settembre al Museo Nazionale di Ravenna. L’esposizione descrive il progetto di “risanamento” delle cave di pietra nella parte più meridionale dell’isola di Lampedusa, voluto per ricordare le 368 persone, bambini, donne e uomini, che persero la vita nel naufragio avvenuto a mezzo miglio dalla costa dell’isola il 3 ottobre 2013, mentre cercavano di raggiungere l’Europa. Fu un episodio che scosse profondamente le coscienze, perché portò all’opinione pubblica italiana ed europea tutta la durezza ma anche l’ineluttabilità del fenomeno migratorio dal Sud del mondo. Curata da Gioia Gattamorta, promossa da Ravenna Festival e dall’Istituto Nazionale di Architettura - Sezione Emilia-Romagna, in collaborazione con i Musei nazionali di Ravenna e l’Ordine degli Architetti PPC di Ravenna, con il patrocinio del Comune di Lampedusa e Linosa e il contributo di Botticino Stone District e Rotary Club Valle Sabbia Centenario, l’esposizione itinerante, che ha già toccato le tappe di Roma e Brescia, giunge a Ravenna in occasione del Ravenna Festival 2025. Opera di Vincenzo Latina, architetto e professore all’Università degli Studi di Catania, completata nel 2019 dopo un lungo iter, il Memoriale è oggi metafora stessa di questo avamposto d’Europa: al contempo meta del turismo per il suo mare prodigioso, e primo approdo per chi dall’Africa cerca una terra dove rifugiarsi per assurgersi infine a memoria di tutte le migliaia di vittime del Mediterraneo. Un progetto composito quello che appare oggi nella mostra, che mette insieme un giardino, un teatro all’aperto e un Memoriale delle Migrazioni. Come in molti suoi progetti, Vincenzo Latina si è messo in ascolto delle voci del luogo: “luogo parlante”, definisce lui stesso lo spazio scavato nella roccia, la cui profondità varia dai due ai quattro metri e mezzo, dove affiorano gli odori e i rumori di un mare che, come recita L’infinito di Giacomo Leopardi, da cui il progetto trae ispirazione, “nel pensier mi fingo”, cioè non vedo ma posso vividamente immaginare. Scrive Latina che “le parole chiave dell’intervento potrebbero essere le seguenti: essenziale, poetico, laconico, sostenibile, accessibile”. E in effetti alla poesia il progetto arriva attraverso un estremo sacrificio. L’architettura intesa come ricostruzione, di visioni, di immaginari, di narrazioni, riesce attraverso pochissimi segni a sovrapporsi, a innestarsi sui segni esistenti per renderli eloquenti. Vincitore del bando aperto dall’Amministrazione comunale di Lampedusa negli ex siti cava tra Cala Francese e Punta Sottile, il progetto ha voluto fin dalle intenzioni essere uno spazio aperto al pubblico destinato a ospitare manifestazioni musicali, teatrali ed eventi culturali, uno spazio dei lampedusani, ma anche un luogo di interesse turistico che fosse espressione delle arti, dello scambio delle idee e infine della conservazione della memoria collettiva. Il muro della cava, già pregno di cicatrici, è ulteriormente “mitragliato” da 368 fori, di diverso diametro (di 100 e di 50 mm) che ricompongono una “costellazione immaginaria”. Di giorno il monumento si mimetizza con le sue ombre discrete nel palinsesto di tracce incise nei piani verticali e orizzontali della cava. Di notte, in occasione del 3 ottobre, la parete si accende di luci tremule che ricordano quelle degli astri nel cielo. Se il foro è perdita e assenza, di notte le luci diventano presenza e speranza. Una costellazione in terra è un momento di riflessione e partecipazione corale affinché il Mediterraneo possa diventare un mare di Pace. La mostra espone fotografie della cava leggermente incassata nella roccia, da cui non si vedeva l’orizzonte, trasformata in un’area teatrale all’aperto, opere d’arte che interpretano il Memoriale o che ne fanno parte, di Vincenzo Latina e di altri artisti, testi e video, che aiutano il visitatore a immergersi nel contesto e a comprendere che un nuovo spazio pubblico lì prende vita, immaginato come luogo d’incontro, cultura, festa ma anche di meditazione e di preghiera religiosa e laica aperto a tutti. Il percorso infine descrive come un’opera di architettura possa comunicare il ricordo di una tragedia attraverso il brulicare della vita. Vincenza Latina è professore associato di Progettazione Architettonica e Urbana presso l'Università degli Studi di Catania, è stato docente alla Scuola di Architettura di Mendrisio, Università della Svizzera italiana. Autore di numerose pubblicazioni, architetto di fama internazionale, vincitore di numerosi premi tra cui la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2012 e il Premio Architetto Italiano 2015. È autore di pregevoli innesti di architettura contemporanea nei tessuti urbani antichi che gli hanno valso riconoscimenti nazionali ed internazionali per aver coniugato il restauro ambientale, la riqualificazione urbana, la valorizzazione socioculturale e quella economica, tra cui il celebre Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision sull’isola di Ortigia a Siracusa. (gci)
NELLA FOTO. Antonio Ligabue, Vita nei campi, I periodo, olio su compensato, 26,7 x 33,7 cm
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