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direttore Paolo Pagliaro

A Magliano in Toscana (GR) “Blumen” di Corinna Brandl

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

A Magliano in Toscana (GR) “Blumen” di Corinna Brandl

Dopo il successo della prima esposizione, Magliano Contemporanea prosegue il suo cammino con una nuova mostra che intreccia sensibilità pittorica, esperienza psicologica e dialogo con la natura: “Blumen” di Corinna Brandl, in programma dal 20 luglio al 3 agosto presso lo Spazio Espositivo della Biblioteca Comunale di Magliano in Toscana (GR), con ingresso libero a tutti. La mostra, composta da undici opere pittoriche, è curata da Maria Grazia Londrino, anche direttrice artistica della rassegna, con progetto grafico firmato reemgraf – arstestuff e produzione generale della società Dialogues – raccontare l’arte Srls. A completare l’iniziativa, un docufilm su Corinna Brandl prodotto da Dialogues, Roma, con produzione esecutiva a cura della stessa Londrino. Nel cuore della mostra, il fiore. Ma non come oggetto da contemplare. Piuttosto come essere vivente e simbolico che pulsa sulla tela, si apre e si ritrae, si offre allo sguardo e si nega, suggerendo un dialogo costante tra natura ed emotività. Blumen – “fiori” in tedesco – è un invito a guardare più a fondo: le tele di Brandl, dense, cangianti, attraversate da un colore lirico e vivo, trasformano il fiore in presenza sensibile, carica di memoria, tensione emotiva, desiderio. Ogni pennellata è un atto di ascolto. Le opere nascono dal contatto quotidiano dell’artista con il suo giardino in Germania, luogo di osservazione e di cura. E nel paesaggio della Maremma, che accoglie oggi la mostra, questa esperienza si rinnova. La luce, i ritmi stagionali, la terra: tutto entra in risonanza con la pittura di Brandl, che non si limita a rappresentare il reale, ma lo attraversa con la delicatezza di chi sa che ogni forma, ogni colore, è prima di tutto vibrazione interiore. “La pittura di Corinna - dichiara la curatrice Maria Grazia Londrino - si distingue per una sapienza tecnica che sa farsi discreta, a favore di un’immersione sensoriale che richiama l’osservatore in uno spazio altro: intimo, talvolta onirico, eppure profondamente reale. Il rapporto con la Maremma grossetana non è una semplice citazione paesaggistica, ma un assorbimento emotivo. I fiori diventano protagonisti assoluti, simboli viventi di un dialogo continuo tra natura ed emotività. Ogni tela è una soglia, che ci chiede di entrare in ascolto di noi stessi”. “La presenza di Corinna Brandl all’interno della rassegna Magliano Contemporanea - continua Tamara Fattorini, vicesindaca di Magliano in Toscana - rappresenta per il nostro territorio un’occasione preziosa non solo dal punto di vista artistico, ma culturale e umano. Nei suoi fiori riconosciamo qualcosa di nostro: la grazia effimera delle fioriture, la forza silenziosa della terra. È un linguaggio universale che parla anche al cuore della nostra comunità”. Nata a Berlino nel 1951, Corinna Brandl cresce tra Inghilterra e Canada, assorbendo fin da giovane una visione del mondo plurale e aperta. Oggi vive e lavora a Bernau, in Germania, in una casa immersa nella natura che è anche parte viva del suo processo creativo. Alla formazione scientifica in psicologia e psicoterapia, che continua a esercitare, ha affiancato negli anni un’intensa ricerca artistica, formandosi tra Monaco, Salisburgo, Bad Reichenhall e Kolbermoor, con maestri come Hans Daucher, Andrea Fogli, Markus Lupertz e Thomas Lange. Questa doppia vocazione – psicologica e pittorica – plasma ogni sua opera, rendendo la pittura un atto terapeutico, una forma di conoscenza, uno spazio di trasformazione. Le superfici vibrano, i contorni sfumano, i colori trattengono emozioni. E i fiori, coltivati nel proprio giardino come un diario silenzioso, diventano soglie da attraversare: tra l’esterno e l’interno, tra il visibile e ciò che non si mostra. Nell’insieme dell’esposizione si coglie un desiderio di permanenza – non contro il tempo, ma dentro il tempo. Ogni fiore dipinto lascia una traccia. Ogni opera, come la terra, restituisce solo ciò che è stato accolto con cura. “Blumen” vuole rappresentare così un invito a rallentare lo sguardo, ad abitare uno spazio sospeso dove la pittura incontra il respiro della natura. Magliano Contemporanea, con la direzione artistica di Maria Grazia Londrino e l’organizzazione della società Dialogues, si conferma un punto d’incontro tra arte contemporanea e identità territoriale. Il progetto proseguirà per tutta l’estate con nuove iniziative espositive e si concluderà il 6 settembre con un evento speciale: il Premio Tavano-Amodeo, dedicato ai due grandi artisti piemontesi che, sin dagli anni Ottanta del Novecento, hanno scelto Magliano in Toscana come luogo di vita e di lavoro, rendendola per oltre quarant’anni il centro creativo della loro ricerca. (gci)

L'ARTE SOSTENIBILE DI HERBERT GOLSER DIALOGA CON IL RINASCIMENTO

Dal 26 luglio al 6 settembre le sale storiche del rinascimentale Palazzo Roveresco di Montebello, frazione di Orciano di Pesaro nel cuore delle Marche – già dimora di Lavinia Feltria della Rovere, tra le figure femminili più affascinanti del Rinascimento italiano – ospitano la mostra “L’anima del legno” di Herbert Golser, a cura di Riccardo Freddo e Luca Baroni. Dopo la personale nella fortezza sotterranea della Rocca Paolina di Perugia, l’artista austriaco prosegue così in un altro luogo simbolo del patrimonio italiano la sua indagine sul rapporto tra forza e fragilità della materia, esplorando il processo di riconnessione tra l’uomo e la natura. Al centro del suo lavoro, il sapiente utilizzo dell’energia custodita in un materiale organico, antico e solido come il legno, che Golser trasforma in arte viva, modellata nel tempo da aria, umidità e calore attraverso sculture lignee, incisioni minuziose e delicate. Rami spezzati, tronchi abbandonati, scarti (vivi) vengono selezionati e trasformati dall’artista in opere. Nulla viene sprecato, tutto si rigenera. In questo gesto di restituzione alla materia, Golser abbraccia un’etica del fare profondamente contemporanea, in cui il legno si trasfigura in presenza viva, carica di memoria e possibilità. A cura di Riccardo Freddo e Luca Baroni, “L’anima del legno” rappresenta il primo tassello di una visione curatoriale a lungo termine, volta a restituire al Palazzo Roveresco di Montebello un ruolo attivo nella produzione e promozione dell’arte contemporanea. Ispirandosi allo spirito del cenacolo culturale promosso da Lavinia Feltria, il progetto ambisce a far dialogare artisti contemporanei provenienti da diversi contesti internazionali, in un luogo dove storia, ricerca e memoria condivisa si incontrano. Figura colta e carismatica, Lavinia Feltria riuscì a ritagliarsi un ruolo di rilievo nel mecenatismo rinascimentale dominato dagli uomini. Cresciuta alla corte di Urbino, parlava correntemente latino e francese e intratteneva scambi epistolari con intellettuali e artisti del suo tempo; ebbe a frequentare anche Torquato Tasso, che soggiornò alla corte roveresca e che compose alcune rime per omaggiare la nobildonna. Inoltre, si tramanda che fosse appassionata di botanica e che avesse fatto coltivare nei giardini del palazzo varietà rare di piante medicinali, seguendo i trattati erboristici dell’epoca. Dopo la morte del marito, Lavinia visse ritirata a Montebello, circondata da un cenacolo di artisti, letterati e religiosi. Una cronaca d’epoca ricorda che nel suo studio personale conservasse una collezione di oggetti naturali e reliquie, tra cui un frammento ligneo di origine ignota che considerava “portatore di memoria”. Un dettaglio che trova oggi un’inaspettata risonanza nelle opere di Golser, per cui il legno non è solo materia plastica, ma archivio spirituale e sensibile. “Il lavoro di Golser ci ricorda che la materia non è mai muta. Il legno che lavora porta con sé una storia fatta di tempo, di strati, di silenzi. Le sue opere non si impongono, ma si offrono come presenze da ascoltare, capaci di costruire relazioni sottili tra spazio, memoria e visione. Con questa mostra, noi curatori vogliamo riprendere l’intuizione profonda di Lavinia Feltria della Rovere, che in queste stanze riuniva artisti e pensatori del suo tempo, dando loro uno spazio per creare e riflettere. Iniziamo da qui, da un grande artista internazionale come Golser, per aprire una nuova stagione di dialogo culturale”, dichiara Riccardo Freddo. La mostra è patrocinata dalla Rete Museale Marche Nord. (gci)

“UROBORO”: L’ARTE DI MARINA APOLLONIO A BELLANO (LC)

Con la mostra “Uroboro” di Marina Apollonio (1940), esponente di primo piano dell’arte optical e cinetica internazionale, BAC Bellano Arte Cultura apre il programma di mostre ideate per indagare i linguaggi del contemporaneo in relazione all’identità del luogo, del paesaggio e della sua memoria. A cura di Chiara Gatti, la mostra presenta due installazioni site-specific di Marina Apollonio distribuite tra il Museo Giancarlo Vitali, dove dialoga con la collezione permanente, e lo spazio al piano terra di San Nicolao Arte Contemporanea. Reduce dall’importante retrospettiva allestita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, conclusasi lo scorso marzo, Apollonio approda a Bellano con un progetto inedito, destinato a modificare la percezione degli ambienti che accolgono le sue opere di ampie dimensioni, una Dinamica circolare, di 4 metri e mezzo di diametro, e una Ellisse prospettica, di due metri di altezza. Il titolo della mostra, “Uroboro”, è un riferimento esplicito alla circolarità dei lavori dell’artista, che si legano idealmente all’iconografia sacra che riecheggia in sottotraccia alla storia secolare di San Nicolao, ai suoi affreschi trecenteschi e alle tracce liturgiche dell’originario convento degli Umiliati. Simbolo del cosmo e dell’eterno sin dalla tradizione egizia, l’uroboro era il serpente che, mordendosi la coda, disegnava un anello magico, allegoria dell’infinito rigenerarsi della vita. Una nuova leggenda dalle forme astratte abita ora la ex chiesa e coinvolge il pubblico in un viaggio sensoriale, in una interazione fisica con l’immagine che inganna i sensi e, allo stesso tempo, li attiva. Riflettendo sempre sulla forma pura e primaria del cerchio, Marina Apollonio ne ha esplorato negli anni ogni variazione organica, al fine di innescare un moto interno, foriero di relazioni dinamiche fra opera e ambiente. Le “dinamiche circolari” fanno parte della riflessione di Apollonio sin dai primi anni Sessanta, quando l’artista sperimentò il moto illusionistico della spirale, delle volute o dei cerchi concentrici distorti da piccole interferenze o inversioni di rotta, indagando le reazioni dello sguardo nei confronti di forme statiche, azionate tuttavia nel nostro cervello da ipotesi di cambiamenti, che vengono interpretati come movimenti veri e propri: il cambiamento della luce, le impalpabili modificazioni ambientali recepite come vitali, gli stessi microscatti oculari che ingannano la ricezione. “Scelta una forma primaria, quale ad esempio il cerchio - scriveva Apollonio nel 1966 - ne studio le possibilità strutturali per renderla attiva, cercando il massimo risultato con la massima economia”. Economia intesa come sintesi di geometria, essenza stessa della natura delle cose e, di conseguenza, del nostro modo di scrutarle. La mostra invita lo spettatore a interagire con le opere esposte a pavimento e a parete, le due grandi forme circolari, la cui ossatura pare animarsi nello spazio e, allo stesso tempo, dilatarsi o implodere, includendo le superfici murarie adiacenti, gli affreschi e le volte, nella forza centrifuga che si scatena. I cerchi concentrici di Marina Apollonio, complice il loro spessore variabile, il loro assottigliarsi e poi inspessirsi ripetutamente, evocano onde e risacche, pari a quelle di un organismo pulsante, in grado di trascinare il pubblico in una simulazione imprevista; un’adesione sensoriale programmata, non meccanica, ma percettiva, secondo lo studio introdotto dai padri nobili dell’arte programmata stessa e la loro anticipazione profetica delle neuroscienze. In un’epoca odierna in cui le neuroscienze, studiando gli organi di senso, analizzano a fondo la capacità del cervello di interpretare i segnali che lo raggiungono, l’opera d’arte optical – esattamente come fu “concepita” negli anni Sessanta – torna dunque di straordinaria attualità per la sua inclinazione a mettere alla prova il sistema nervoso, invitandolo a orientarsi tra verità e impressione. La ricerca artistica di Marina Apollonio si concentra su tali stimoli, combinando l’elaborazione cerebrale e la scientificità degli esiti con una componente estetica e formale di straordinaria eleganza, fatta di equilibri, simmetrie e ritmi perfetti. Dopo la mostra riservata alle fotografie di Giovanni Hanninen, che ha documentato le diverse fasi del cantiere di restauro in San Nicolao, il BAC apre, con “Uroboro” di Apollonio, il programma di mostre progettate per indagare i linguaggi del contemporaneo, posti in relazione all’identità del luogo, del paesaggio e della sua memoria. (gci)

PROROGATA AL 30 AGOSTO “IL TEMPO DELLE OMBRE E DELLA LUCE” DI OLIVIERO GESSAROLI

Sarà visitabile fino al 30 agosto la mostra “Il tempo delle ombre e della luce” del maestro Oliviero Gessaroli, ospitata negli spazi suggestivi della Casa Vinicola Garofoli. A decretarne la proroga, le numerose richieste del pubblico e l’apprezzamento crescente di appassionati d‘arte, estimatori e della critica, che ha accolto con favore il raffinato equilibrio tra lirismo e rigore formale che attraversa l’intera produzione dell’artista. La mostra propone un viaggio cromatico e sensoriale tra campi ondulati, cieli sospesi e marine rarefatte, resi attraverso una pittura che si fa quasi respiro del paesaggio. Le fotografie delle opere in mostra – alcune delle quali qui allegate – documentano un linguaggio visivo che affonda le radici nella tradizione italiana del paesaggio, filtrata da uno sguardo contemporaneo, silenzioso e contemplativo. Le pennellate sfumate e i volumi liquidi, quasi disciolti nella luce, raccontano una realtà interiorizzata, trasfigurata in atmosfere intime, dove la linea dell’orizzonte perde consistenza per divenire sentimento, memoria, risonanza. Le tonalità vibranti di rossi e gialli si alternano a distese violette, cieli azzurrati e verdi velati, in una tessitura pittorica che sembra nascere dal gesto del tempo più che della mano. Come suggerisce il titolo stesso della mostra, “Il tempo delle ombre e della luce”, l’opera di Gessaroli è attraversata da una dialettica sottile tra la presenza e l’assenza, tra la materia che si ritrae e la luce che si posa. All’interno della cantina storica della Garofoli, tra botti, fragranze e silenzi, le opere dialogano con lo spazio e ne amplificano l’aura, generando un incontro fertile tra arte, natura e cultura enologica. La mostra rappresenta dunque non soltanto un evento espositivo, ma un’esperienza immersiva e sensoriale che restituisce al visitatore una percezione rallentata, meditativa, del paesaggio e del tempo. La proroga fino al 30 agosto offre un’ulteriore occasione per visitare un percorso che si è rivelato capace di suscitare emozioni profonde, e di riconnettere l’osservatore con la dimensione essenziale della visione. (gci)

A MACERATA LA PERSONALE “RENATA BOERO. TELERI”

Prosegue con grande successo fino al 9 novembre ai Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi a Macerata l’importante personale “Renata Boero. Teleri” a cura di Vittoria Coen e Giuliana Pascucci, con opere monumentali a parete realizzate tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Duemila. Renata Boero, annoverata fra le figure femminili di spicco nell’arte del secondo Novecento, è attiva sulla scena internazionale dagli anni Sessanta. Una delle prerogative di molti suoi lavori, tra cui quelli che si ammirano in mostra, è l’assenza di supporti fissi che sostengano le tele: il risultato è una fusione simbiotica tra i segni che delineano il racconto cromatico messo in atto dall’artista e l’ambiente circostante, in cui elementi naturali e antropici si mescolano senza riserve. Questa caratteristica permette di entrare in contatto diretto e senza filtri con il nucleo della sua opera, dove spiccano tematiche primordiali legate ai concetti di tempo e memoria. Organizzata e promossa dal Comune di Macerata, dall’Accademia Belle Arti, dall’Università degli Studi di Macerata, la mostra è patrocinata dalla Provincia di Macerata con la Fondazione Marche Cultura e illustra il significativo percorso dell’artista. La poetica di Renata Boero trova la perfetta espressione in lavori di grande formato, caratterizzati da reticolati di tinture - ottenute dalla bollitura e dall’ammollo di radici, erbe, tuberi e altri elementi naturali - nei quali natura e spiritualità sono protagoniste del processo creativo. Questi aspetti si ritrovano nei grandi teleri esposti fra cui alcuni Cromogrammi, nelle Ctò-nio-grafie descritte invece da “scacchiere” più nette e da tonalità più delicate, esito della permanenza nel terreno per lunghi periodi, come nella composizione Fioritura 1 (1990-2000). In Cromogramma Giallo (1970-1975), la composizione orizzontale è suddivisa in quattro fasce parallele di rettangoli irregolari i cui colori variano dal giallo intenso e materico, nella parte superiore, a tonalità più profonde nella seconda, più calde ed equilibrate nella terza. Questa opera suggerisce un processo di trasformazione lento e stratificato. Una tale suddivisione degli spazi si ritrova anche in Cromogramma (1975-1980) in cui una griglia scandita da fasce di colori scuri e intensi sono attraversati da sfumature di verde, rosso e giallo. I pigmenti, che lasciano affiorare la grana della tela e le tracce del tempo, sono spesso assorbiti nel tessuto o applicati in modo più trasparente. Presenta toni più caldi Cromogramma Terra (1980-1990), la cui superficie risulta più testurizzata da pigmenti naturali che, oltre a richiamare processi di ossidazione e decomposizione, evocano una forte connessione con la materia e con il ciclo vitale. Con la sua forma quadrata, Ctò-nio-grafia “Paesaggio in rosa” (anni 2000) crea una composizione dal forte equilibrio, in cui predominano sfumature di rosa e velature scure, con tracce che sembrano assorbite nel tempo. Nel dittico Ctò-nio-grafia, realizzato anch’esso negli anni 2000, le tele mostrano con una griglia di rettangoli piegati e trame visibili cromie terrose, rosate, violacee, con interventi di nero e marrone fra cui alcune zone molto dense e tridimensionali. Legando arte, corpo e tempo in un processo alchemico, l’opera richiama processi organici e naturali. Fioritura 1 (1990-2000), allusivo alla ciclicità, alla crescita e alla trasformazione, si presenta come un mosaico che evoca elementi naturali come cortecce, fiori e terra. Le tonalità sono vibranti e intensi, con colori caldi, intervallati da punte di blu e violetto. La composizione sembra espandersi lungo un asse centrale, come se la tela avesse assorbito la natura stessa, e la superficie ondulata, che poggia direttamente sul pavimento, aumenta il senso di contatto con lo spazio e con l’osservatore. Si evince dalle opere di Renata Boero la necessità di approfondimento e comprensione dei processi naturali in relazione all’azione umana e l’idea di superamento dell’arte come rappresentazione della realtà. Orienta infatti la sua cifra stilistica verso l’interpretazione della pittura come gesto artistico che non ritrae la natura, bensì la ricostruisce concettualmente. Traendo spunto da questa esposizione, la Scuola di Studi Superiori Giacomo Leopardi organizza - nell'ambito della rete internazionale "Educating Future Citizen" - una Scuola di Alta Formazione, che prevede la presenza dell’artista. Conclude il percorso espositivo un video che rappresenta una sorta di archivio di gesti compiuti nel fare pittura. La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da Sagep Editori con le immagini delle opere esposte e testi di Vittoria Coen, Gianni Dessì e Giuliana Pascucci. Renata Boero nasce a Genova nel 1936. Dopo aver trascorso l’infanzia a Torino ed essersi dedicata agli studi umanistici in Svizzera, rientra nella sua città natale per iscriversi al Liceo Artistico, dove è allieva di Emilio Scanavino. Poco più che ventenne inizia ad esporre i propri lavori, si ricordano a tal proposito le sue partecipazioni alla Quadriennale di Roma nel 1959 e nuovamente nel 1986 e nel 1999. Negli anni Sessanta inizia la sua collaborazione con Caterina Marcenaro come restauratrice e, parallelamente, si dedica con passione alla documentazione sulle sostanze naturali, uno dei temi centrali della sua espressione artistica. Nel 1974 inaugura la serie degli Specchi, una delle quali esposta per la prima volta nel 1978 all’International Cultureel Centrum di Anversa. A Macerata nel 1977 inaugura la personale “Ex radicibus”, titolo espressivo della sua poetica, presso la Gallera Cicconi. È invitata a cinque Biennali di Venezia tra il 1982 e il 2010. Dal 1986 al 2007 è docente all’Accademia di Belle Arti di Brera; nel 2005 è Visiting Professor presso l’Università di San Diego, California. In seguito, tra il 2010 e il 2011 tiene una serie di conferenze e mostre in Argentina. Fra le principali esposizioni personali si citano i Musei Civici, Monza, 1988; Casa del Mantegna, Mantova, 1992; Museo Diocesano, Milano, 2014; Museo del Novecento, Milano, 2019. Ha partecipato alla Biennale de la critique, Anversa e Charleroi, 1979-1980; alla XVI Biennale di San Paolo, Brasile, 1981; alle mostre presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma nel 2021 e nel 2023. Renata Boero è pienamente inserita nella scena artistica internazionale, le sue opere sono presenti in permanenza in importanti musei nazionali ed esteri. (gci)

NELLA FOTO. Il giardino di Susanna © Corinna Brandl (dettaglio)

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