“Una bicicletta elettrica da corsa per uomo a 32,01 euro (con spedizione gratuita). Un orologio da polso in acciaio inossidabile, col quadrante al quarzo e dentro la scatolina di pelle che pare uscito da una gioielleria: però costa appena 10,34 euro. Una lavatrice portatile a 1,56 euro, uno zaino da viaggio per le cappelliere degli aerei a 2,43 euro, un set di cinque pantaloncini estivi a 5,83. Poi un computer portatile a 167 euro. Uno smartphone a 51,01. Un drone con la telecamera integrata a 16,79. Promozioni e affari imperdibili che, per la verità, invece sarebbe il caso di perdere” scrive Libero. “Che l’Unione europea avesse messo sotto osservazione i colossi dello shopping digitale cinesi (il generalista Temu e l’azienda specializzata in abbigliamento Shein, tanto per fare i nomi) lo si sapeva: per quanto riguarda il comparto non alimentare, l’ultimo rapporto Ue sul safety gate (che è quel sistema comunitario di allerta per i prodotti che importiamo) conteneva il record di 4.137 segnalazioni, di cui il 40% per articoli sbarcati dal Dragone. Bruxelles, tra l’altro, sta conducendo, tramite la sua Commissione, un’indagine specifica basata su quella che è stata ufficialmente descritta come ‘un’ampia operazione di acquisti in incognito’ i cui risultati devono ancora essere pubblicati. Epperò è filtrata qualche “anticipazione”. Michael McGrath, che è un irlandese, è stato ministro delle Finanze nel suo Paese, è un politico di centrodestra e attualmente fa il commissario europeo per la Giustizia, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian, si è lasciato sfuggire che è ‘scioccato’ e che ‘abbiamo il dovere di proteggere i consumatori europei’ dato che sui su per giù dodici milioni di pacchi di basso valore che ogni anno entrano nel territorio del Vecchio Continente e che sono venduti da siti stranieri molti ‘infrangono palesemente la legge’. E non è (solo) una questione di concorrenza sleale dovuta ai prezzi stracciati, stracciatissimi. E’ anzitutto, un fattore di sicurezza. McGrath racconta, per esempio, che tra il materiale “a rischio” ci sarebbero dei ciucci per bebè composti da perline che si staccano un po’ troppo facilmente dal resto del silicone e che, in aggiunta, non hanno manco i fori della grandezza regolamentare per consentire il passaggio dell’aria qualora un bimbo le ingerisca accidentalmente. Tra gli avvertimenti più turbati rientrerebbero alcuni cosmetici che conterrebbero il cosiddetto “lillal”, nome (scientifico) in codice butyl phenyl methylpropional, che è una fragranza sintetica che da noi è vietata da almeno tre anni perché sarebbe tossica per quanto riguarda la fertilità e lo sviluppo fetale. (23 lug - red)
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