“Ogni discussione sulla sicurezza dell’Ucraina senza la partecipazione di Mosca rappresenta una strada verso il nulla”. È intervenuto così sul tema delle garanzie da concedere a Kiev il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, in dichiarazioni riportate dalla TASS. Secondo il diplomatico gli Stati Uniti avrebbero ormai “una comprensione sempre più chiara delle cause profonde della crisi ucraina”. Il capo della diplomazia russa ha citato come modello di riferimento le proposte avanzate dai negoziatori ucraini nel 2022 a Istanbul, poi arenatesi: “Quella bozza prevedeva garanzie fornite dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, comprese Russia e Cina, oltre a Stati Uniti, Francia e Regno Unito”, ha ricordato. Intanto, il fronte occidentale si muove. A Washington è in programma un incontro cruciale tra i vertici della difesa di trenta Paesi, al quale parteciperà anche Tony Radakin, vertice dell’esercito britannico. L’obiettivo è definire in concreto gli impegni di ciascun Paese nelle garanzie di sicurezza per Kiev. Secondo fonti diplomatiche citate dal Guardian, il Regno Unito confermerà il dispiegamento di soldati per supporto logistico e addestramento, escludendo però un impiego diretto vicino ai confini russi. Inizialmente era stata discussa l’ipotesi di inviare fino a 30mila uomini per proteggere siti strategici ucraini, ma il piano è stato ridimensionato a causa delle resistenze di alcuni partner europei. Radakin dovrebbe ribadire le promesse del ministro della Difesa John Healey, che nei giorni scorsi aveva assicurato la disponibilità del Regno Unito a rafforzare le capacità ucraine “per cieli sicuri, mari sicuri e per consolidare la forza delle forze armate ucraine”. Un sostegno inteso come addestramento e logistica, non come invio di battaglioni da combattimento. Sul piano economico-finanziario, Londra ha annunciato nuove sanzioni contro otto persone e società accusate di aiutare la Russia ad aggirare le misure occidentali attraverso il sistema bancario kirghiso e reti di criptovalute. Nel mirino è finita in particolare la Capital Bank di Bishkek e il suo direttore Kantemir Chalbayev, accusati di facilitare pagamenti per l’acquisto di beni militari. Colpite anche le piattaforme Grinex e Meer, legate a un nuovo token digitale sostenuto dal rublo, l’A7A5, che avrebbe movimentato oltre 9 miliardi di dollari in appena quattro mesi. “Mantenere alta la pressione sulla macchina bellica russa è vitale per sostenere gli sforzi del presidente Trump di fermare le uccisioni in Ucraina e costringere Putin a negoziare seriamente”, ha sottolineato il governo britannico. Parallelamente, sul terreno diplomatico, Lavrov ha accusato l’Europa di “goffi tentativi” per condizionare la Casa Bianca, mentre Trump ha intensificato i contatti con i leader coinvolti. Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán ha confermato la disponibilità di Budapest a ospitare eventuali colloqui tra Putin e Zelensky, ma ha ribadito la sua contrarietà a legare l’ingresso nell’Ue a questioni di sicurezza: “L’adesione non offre alcuna garanzia — ha scritto su Facebook — collegarla alle garanzie di sicurezza è inutile e pericoloso”. La prospettiva di Budapest come sede di futuri negoziati ha suscitato perplessità in Polonia. Il premier Donald Tusk ha ricordato il precedente del Memorandum di Budapest del 1994, con il quale Ucraina, Russia, Stati Uniti e Regno Unito sancirono la rinuncia di Kiev al proprio arsenale nucleare in cambio di garanzie territoriali poi disattese. “Budapest? Forse sono superstizioso, ma questa volta proverei a trovare un altro posto”, ha scritto su X. Roma, 20 ago – Sul possibile faccia a faccia tra Putin e Zelensky, il Cremlino si mostra freddo. Secondo il Wall Street Journal, Putin avrebbe descritto il presidente ucraino come un “burattino dell’Occidente”, sostenendo che “un incontro non ci sarà né velocemente né facilmente” e mettendo in dubbio la sua legittimità a firmare un accordo di pace. Per il leader russo – ancora il WSJ – “sedersi con Zelensky significherebbe contraddire la narrativa con cui ha giustificato l’invasione, rischiando di indebolirsi di fronte all’opinione pubblica interna”. Un nodo che mette Putin davanti a un dilemma: rifiutare l’incontro rischierebbe di irritare Trump, che lo ha già minacciato di nuove sanzioni, ma accettare un tavolo diretto con Zelensky potrebbe apparire come una concessione difficile da spiegare a Mosca. Nel frattempo, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in una telefonata con Putin, ha ribadito al Cremlino il sostegno della Turchia a un “processo di pace giusto e duraturo”, sottolineando l’importanza del coinvolgimento di tutte le parti. Il quadro resta dunque fluido e carico di incognite: Washington accelera, Londra rafforza il fronte militare e quello delle sanzioni, Orbán si propone come mediatore ma frena sull’Ue, Tusk richiama i fantasmi del passato e Mosca continua a giocare di sponda, senza arretrare sulla linea dura. In mezzo, Kiev attende di capire se la pressione internazionale riuscirà davvero a trasformarsi in garanzie concrete. (20 ago – sem)
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