di Salvo Falzone
(© 9Colonne - citare la fonte)
In un Medio Oriente, che vive nel cuore della tormenta del conflitto israelo-palestinese, le iniziative politiche spesso vengono dimenticate o semplicemente non considerate. Eppure se si vuole la pace e il rispetto della dignità dei popoli occorre un’iniziativa politica.
Nel 1982, nella cittadina di Fez, in Marocco, il Piano Fahd, principe e poi re dell’Arabia Saudita, prospettava una soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi. L’iniziativa si collocava in un contesto bellico: la guerra civile libanese, l’operazione israeliana in Libano “Pace in Galilea”, gli scontri tra Siria e Israele. Questa prima iniziativa saudita prevedeva il ritiro di Israele dai Territori Occupati nel 1967 ( Gaza, Cisgiordania, Alture del Golan) e il ritiro dal Sud del Libano.
Il piano restava fermo sui punti riguardanti il ritorno dei profughi palestinesi e compensazione per coloro che non desideravano tornare, lo sgombero delle colonie/insediamenti israeliani nei Territori Occupati e la costruzione di uno Stato palestinese su Gaza e Cisgiordania con Gerusalemme come capitale. In un primo momento si specificava di “Gerusalemme araba”. Il documento non citava esplicitamente Israele, ma affermava che “Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite garantirà la pace per tutti gli Stati della Regione, incluso uno Stato palestinese indipendente”. All’epoca il primo Piano Saudita rappresentava un passo importante di apertura per cercare di gettare le basi per la soluzione del conflitto, tuttavia sia il contesto storico, sia l’incomunicabilità tra i diversi attori, rendeva nullo qualsiasi tentativo di pacificazione.
Nel marzo del 2002 a Beirut il principe saudita Abdallah presentava una edizione riveduta del piano, con importanti aperture: si citavano espressamente le due Risoluzioni 242 e 338 nonché il principio “terra in cambio di pace”.
Il Piano adottato dalla Lega Araba ribadiva il ritiro dai Territori Occupati nel giugno 1967, una giusta soluzione sui profughi, citando la Risoluzione dell’Onu 194, la costituzione di uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est capitale. Inoltre, gli Stati arabi si dichiaravano disposti a “considerare finito il conflitto arabo-israeliano, a stipulare un accordo di pace con Israele, e ad assicurare sicurezza per tutti gli Stati della regione”. Anche in questo caso il contesto era di guerra nel pieno della Seconda intifada e delle Operazioni militari israeliane.
Infine, nel 2007 il Piano veniva riproposto e, per la prima volta, l'allora premier israeliano Olmert si diceva disposto ad incontrare i capi di Stato arabi in una discussione costruttiva. Ma in un Medio Oriente dove la politica oscillava -e oscilla- spesso tra guerra a bassa intensità, tentativi negoziali e conflitti allargati il piano rimaneva l’ennesimo tentativo infruttuoso di trovare la soluzione al conflitto arabo-israelo-palestinese.
Il piano restava fermo sui punti riguardanti il ritorno dei profughi palestinesi e compensazione per coloro che non desideravano tornare, lo sgombero delle colonie/insediamenti israeliani nei Territori Occupati e la costruzione di uno Stato palestinese su Gaza e Cisgiordania con Gerusalemme come capitale. In un primo momento si specificava di “Gerusalemme araba”. Il documento non citava esplicitamente Israele, ma affermava che “Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite garantirà la pace per tutti gli Stati della Regione, incluso uno Stato palestinese indipendente”. All’epoca il primo Piano Saudita rappresentava un passo importante di apertura per cercare di gettare le basi per la soluzione del conflitto, tuttavia sia il contesto storico, sia l’incomunicabilità tra i diversi attori, rendeva nullo qualsiasi tentativo di pacificazione.
Nel marzo del 2002 a Beirut il principe saudita Abdallah presentava una edizione riveduta del piano, con importanti aperture: si citavano espressamente le due Risoluzioni 242 e 338 nonché il principio “terra in cambio di pace”.
Il Piano adottato dalla Lega Araba ribadiva il ritiro dai Territori Occupati nel giugno 1967, una giusta soluzione sui profughi, citando la Risoluzione dell’Onu 194, la costituzione di uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est capitale. Inoltre, gli Stati arabi si dichiaravano disposti a “considerare finito il conflitto arabo-israeliano, a stipulare un accordo di pace con Israele, e ad assicurare sicurezza per tutti gli Stati della regione”. Anche in questo caso il contesto era di guerra nel pieno della Seconda intifada e delle Operazioni militari israeliane.
Infine, nel 2007 il Piano veniva riproposto e, per la prima volta, l'allora premier israeliano Olmert si diceva disposto ad incontrare i capi di Stato arabi in una discussione costruttiva. Ma in un Medio Oriente dove la politica oscillava -e oscilla- spesso tra guerra a bassa intensità, tentativi negoziali e conflitti allargati il piano rimaneva l’ennesimo tentativo infruttuoso di trovare la soluzione al conflitto arabo-israelo-palestinese.