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direttore Paolo Pagliaro

L’APPELLO DEI VESCOVI
PER LE AREE INTERNE

L’APPELLO DEI VESCOVI <BR> PER LE AREE INTERNE

Da ieri a Benevento sono riuniti vescovi di varie aree del Paese per discutere delle problematiche della aree interne.  Per l’occasione 139 vescovi hanno sottoscritto una "Lettera aperta al Governo e al Parlamento" che sarà consegnata all’Intergruppo Parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree Fragii”. Nella lettera i presuli evidenziano che in Italia si sta “allargando la forbice delle disuguaglianze e dei divari”, mentre “le differenze non riescono a diventare risorse, tanto da lasciare le società locali – e in particolare i piccoli centri periferici – alle prese con nuove solitudini e dolorosi abbandoni”. Occorre “una diversa narrazione della realtà” – scrivono i presuli italiani - capace nel contempo di “manifestare una chiara volontà di collaborazione e di sostegno autentico ed equilibrato, al fine di favorire le resistenze virtuose in atto nelle cosiddette Aree Interne, dove purtroppo anche il senso di comunità è messo a rischio dalle continue emergenze, dalla scarsa consapevolezza e dalla rassegnazione”.

Il documento cita il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne che delinea “per l’ennesima volta il quadro di una situazione allarmante, soprattutto per il calo demografico e lo spopolamento, ritenuti nella sostanza una condanna definitiva, tale da far scrivere agli esperti che ‘la popolazione può crescere solo in alcune grandi città e in specifiche località particolarmente attrattive’”. Lo stesso documento indica alcuni obiettivi che – per i vescovi italiani -  per la “stragrande” maggioranza delle aree interne, risultano “irraggiungibili per mancanza di ‘combinazione tra attrattività verso le nuove generazioni e condizioni favorevoli alle scelte di genitorialità’”, come dice lo stesso testo. “Sono molti gli indicatori che fanno prevedere all’ISTAT un destino delle aree interne che, sotto tanti aspetti, sarebbe definitivamente segnato”, sottolinea la lettera dei 139 vescovi,  al punto che l’Obiettivo 4 della Strategia nazionale s’intitola: ‘Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile’. In definitiva, “un invito a mettersi al servizio di un ‘suicidio assistito’ di questi territori. Si parla, infatti – prosegue la lettera - di struttura demografica ormai compromessa, ‘con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse’. In sintesi, il sostegno per una morte felice”.

In questo quadro “complesso – e preoccupante! –, la comunità ecclesiale resta una delle poche realtà presenti ancora in modo capillare sul territorio nazionale”, si legge nel testo che sarà consegnato che sarà consegnata all’Intergruppo Parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree Fragili”. I vescovi della Metropolia di Benevento, gia laucni anni fa avevano redatto un documento dal titolo “Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli Amministratori” che metteva a fuoco “il persistente e grave ritardo nello sviluppo delle cosiddette aree interne”. Da alora prese avvio un percorso che ha avuto i suoi sviluppi. “Via via s’è andata difatti manifestando in maniera crescente anche l’esigenza di mettere a fuoco la questione da un punto di vista più strettamente pastorale”. Per questo dal 2021 ogni anno, a Benevento, s’incontrano vescovi provenienti da tutte le regioni d’Italia al fine di avviare un confronto con l’obiettivo, se “non di enucleare una pastorale per le aree interne, almeno di abbozzarne qualche linea”. La Chuesa in Italia sta avviando un coordinamento nazionale per le aree interne, pure con l’intento di “sostenere le realtà territoriali nell’elaborazione di progetti che promuovano la coesione sociale e favoriscano la ‘restanza’, ovvero – dicono i vescovi italiani - la possibilità concreta per le persone, soprattutto i giovani, di scegliere di rimanere e costruire il proprio futuro nei luoghi in cui sono nati”. Diversi gli interventi promossi con i fondi dell’8xmille che “testimoniano questa attenzione concreta: attivazione di una rete d’infermieri e operatori sociosanitari di comunità, servizi di taxi sociale, valorizzazione delle risorse esistenti per favorire occupazione e imprenditorialità locale”.

Come vescovi e pastori di moltissime comunità “fragili e abbandonate”, “non possiamo e non vogliamo rassegnarci alla prospettiva adombrata dal Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne”. “Non possiamo del resto – scrivono - non considerare come, nel corso degli anni, documenti e decreti governativi e regionali siano finiti in un ingorgo di dispositivi legislativi per lo più inapplicati, non di rado utili soltanto a consolidare la distribuzione di finanziamenti secondo logiche politico-elettorali, mettendo spesso le piccole realtà in contrasto tra loro e finendo per considerare come progetti strutturali piccoli interventi stagionali”. Da qui la richiesta che venga “esplorata con realismo e senso del bene comune ogni ipotesi d’invertire l’attuale narrazione delle aree interne” e si sollecitano le forze politiche e i soggetti coinvolti a “incoraggiare e sostenere, responsabilmente e con maggiore ottimismo politico e sociale, le buone prassi e le risorse sul campo, valorizzando un sistema di competenze convergenti, utilizzate non più per marcare differenze, ma per accorciare le distanze tra le diverse realtà nel Paese”.

“Chiediamo – scrivono i vescovi italiani -  altresì di avviare un percorso plurale e condiviso in cui gli attori contribuiscano a costruire partecipazione e confronto così da generare un ripopolamento delle idee ancor prima di quello demografico”. Va incoraggiato “il controesodo con incentivi economici e riduzione delle imposte, soluzioni di smart working e co working, innovazione agricola, turismo sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, piani specifici di trasporto, recupero dei borghi abbandonati, co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità, telemedicina”, Nelle aree interne in cui la vita “rischia di finire, essa può invece assumere una qualità superiore: guardarli con lo stesso spirito con cui ci si pone al capezzale di un morente sarebbe – oltre che segno di grave miopia politica – un torto fatto alla Nazione intera, poiché un territorio non presidiato dall’uomo è sottoposto a una pressione maggiore delle forze della natura, con il rischio – per nulla ipotetico – di favorire nuovi e sempre più vasti disastri ambientali, senza contare il rischio della perdita di parte di quell’immenso patrimonio artistico-architettonico che fa dell’Italia intera un museo a cielo aperto”.

Da qui l’augurio che queste “nostre riflessioni, frutto di esperienze maturate sul campo, che offriamo in spirito di serena collaborazione, siano fatte oggetto di attenta riflessione da parte del Governo e del Parlamento. Per questo, saremmo lieti di poter esporre le nostre riflessioni in un dialogo sereno e costruttivo, qualora ciò si ritenesse opportuno”.

"La lettera – spiega Mons. Felice Accrocca, Arcivescovo di Benevento, promotore dei convegni sulle Aree interne – è un contributo che offriamo al Governo e al Parlamento, perché non possiamo e non dobbiamo rassegnarci a sancire la morte di una parte significativa della Nazione. Ne sortirebbe un danno per tutti. Noi crediamo che, accanto alle criticità, che pure ci sono, le Aree interne possono vantare grosse potenzialità, che devono però essere valorizzate in un progetto organico che richiede tempi anche lunghi. Una sfida che la politica deve saper cogliere se non vuole assistere al proprio fallimento. Noi siamo già presenti sul campo e siamo disponibili a offrire il nostro contributo". (26 AGO - Leo)

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