Dopo il boom del Covid, il mercato dei videogiochi continua a crescere registrando un incremento del 5% lo scorso anno e raggiungendo i 219 miliardi di dollari di ricavi. Le previsioni indicano una crescita media annua del 4% fino al 2028, escludendo hardware, pubblicità ed e-sport. Come evidenziato in una nuova ricerca di Bain & Company che ha coinvolto oltre 5mila consumatori in sei Paesi (Stati Uniti, Brasile, Indonesia, Giappone, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti) per chi ha meno di 18 anni i videogiochi non sono solo un passatempo: sono il principale mezzo di intrattenimento, più importante della tv, dello streaming o dei social. A differenza degli adulti, i ragazzi vivono costantemente connessi e tendono a condividere tutto con gli amici. Questo fa sì che un titolo di successo diventi virale in fretta, trasformandosi quasi in una moda di gruppo. Il risultato? I gusti dei più giovani sono molto più concentrati su pochi grandi titoli rispetto alle altre fasce d’età. In particolare, chi ha tra i 2 e i 17 anni ha circa il 20% di probabilità in più – rispetto ai gamer over 35 – di giocare e preferire proprio quella manciata di videogiochi che spopolano tra i coetanei. Secondo il report, i giochi “piattaforma” – cioè quelli che offrono mondi vasti, spazi social e strumenti per i creator di contenuti – stanno vivendo una crescita a doppia cifra, attirando giocatori, sviluppatori e persino brand. Titoli di questo tipo aumentano i loro utenti attivi del 10%–20% all’anno e stanno diventando il nuovo “centro di gravità” dell’intero ecosistema videoludico. Al contrario, i grandi giochi AAA si trovano sempre più in difficoltà: i costi di sviluppo aumentano, i margini si riducono e la concorrenza si fa serrata. A prosperare sono invece gli sviluppatori indipendenti, più agili e senza il peso delle strutture tradizionali. Dal 2018 al 2024, i giochi Pc creati dagli indie hanno registrato un tasso annuo di crescita composto del 22%, contro appena l’8% dei titoli AAA/AA. Oggi i contenuti generati dagli utenti (Ugc) stanno diventando protagonisti in tutti i settori dei media, conquistando sempre più tempo e attenzione rispetto ai contenuti professionali. Dalla ricerca emerge come lo scorso anno circa l’80% dei gamer abbia dichiarato di aver provato almeno un gioco con livelli, modalità o oggetti creati dai giocatori. E non solo: quasi la metà dei creatori ha detto di dedicare più tempo alla creazione rispetto all’anno scorso. Il dato è ancora più alto tra i più giovani, ma la crescita riguarda anche chi ha 35 anni e oltre. La socialità è uno degli stimoli maggiori, poiché giocare con i propri amici risulta uno degli elementi principali che spinge i giovani ad interfacciarsi a questi videogiochi, così come avere la possibilità di modificare e personalizzare il mondo di gioco, come anche la presenza di un buon gameplay. Risulterebbe, dunque, che ad invogliare al gioco non sia tanto una grafica realistica o dettagliata, quanto un gameplay valido e accattivante. I gamer giocano sempre di più, ma spendono sempre meno. È il grande paradosso dell’economia del gaming, che mette in difficoltà l’industria. Il prezzo dei videogiochi “tradizionali” è rimasto fermo da vent’anni: 60-70 dollari a titolo. In realtà, se si considera l’inflazione, oggi un gioco da 70 dollari costa ai giocatori circa il 30-40% in meno rispetto a una cartuccia degli anni ’90. Allo stesso tempo, molti titoli sono diventati gratuiti (“free-to-play”), offrendo centinaia di ore di contenuti senza alcun costo iniziale. In questo modello, a finanziare lo sviluppo è una minoranza di giocatori disposti a spendere di più per sbloccare contenuti o funzioni extra. Per compensare il tetto al prezzo di copertina, gli editori hanno introdotto gli acquisti in-game. Ma quando si spinge troppo su questa leva, il rischio è la reazione negativa della community. Alcuni stanno sperimentando formule in abbonamento, ma resta da capire se i grandi titoli riusciranno davvero a fare il salto. In molti, nell’industria, aspettano il prossimo Grand Theft Auto per vedere se sarà l’occasione giusta per alzare il prezzo massimo, con beneficio per tutto il settore. Intanto, il mobile gaming ha trovato una via redditizia nella pubblicità, mentre sulle console e PC gli annunci non hanno ancora preso piede. E qui emerge un’altra contraddizione: i giocatori dichiarano di odiare la pubblicità perché rompe il ritmo di gioco, ma allo stesso tempo le pubblicità mirate portano ad acquisti sempre più frequenti. Il 64% dei giocatori ritiene che gli annunci interrompano l’esperienza di gioco (in crescita di 5 punti rispetto all’anno precedente). Ma nello stesso tempo, il 46% ammette di aver fatto acquisti in-game proprio grazie a quelle pubblicità, un aumento del 6% rispetto all’anno scorso. (8 set – red)
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